Tornare a Guido Rivoir

Tornare a Guido Rivoir

La scomparsa della targa a lui dedicata nel “Giardino dei Giusti” al Ciani è ancora un brutto segnale: proprio nel momento in cui guerre e repressioni ci fanno invece capire la lezione politico-umanitaria del pastore valdese che operò per l’assistenza alle vittime di Pinochet


Danilo Baratti
Danilo Baratti
Tornare a Guido Rivoir

11 settembre 1973-11 settembre 2024. In occasione di questo anniversario del colpo di stato in Cile fa bene «Naufraghi/e» a riportare l’attenzione su Guido Rivoir e sulla sua singolare presenza-assenza nel Giardino dei Giusti di Lugano.

Il Municipio era stato sollecitato a due riprese (interrogazioni 1014 e 1323) affinché posasse una targa commemorativa sulla casa in cui Rivoir ha abitato per oltre mezzo secolo. Più recentemente era stata presentata un’interpellanza (4267 del 6 dicembre 2023) in merito alla scomparsa, e mancata sostituzione, della sua targa nel Giardino dei Giusti. La stessa era stata oggetto, pare, di vandalismo (non sappiamo se con motivazioni politiche). Per bocca del vicesindaco, il Municipio aveva così rassicurato gli interpellanti: «Al fine di risolvere in maniera definitiva la problematica della sostituzione continua delle targhe le divisioni coinvolte hanno posato, a fianco del totem introduttivo, un secondo totem che riunisce le biografie delle sei figure ricordate nel Giardino dei Giusti, con l’intento di eliminare le attuali targhe, che saranno quindi rimosse. Si segnala inoltre che una nuova targa commemorativa dedicata a Guido Rivoir verrà posta sulla casa di Viale Stefano Franscini 11 nei primi mesi del 2024, come proposto con interrogazione no. 1323».

Tutto qui

Davvero? I primi mesi del 2024 sono passati e la targa in Viale Franscini non c’è. E nel Giardino dei Giusti si vede sì un totem con le sei brevi biografie accanto a quello, un po’ danneggiato, con le indicazioni generali. Ma ai piedi degli ulivi, di cinque ulivi, si trovano ancora le targhe dedicate alle Giuste e ai Giusti di Lugano. Non a quello che sarebbe di Rivoir, desolatamente muto. Quel vuoto chiama quindi, fintanto che le cose restano così, una sua targa. Vediamo se rimane quella posata oggi “abusivamente”.

Possiamo anche dare credito alle ripetute affermazioni del Municipio e riconoscere che la volontà di procedere ci sia. Ma allora il problema sta nei modi e tempi. Anche nella fissazione di dover inquadrare tutto il “targabile” dentro un concetto unitario, delegato in questo caso alla Commissione stradario, che deve poi interagire con altri livelli dell’amministrazione comunale. Commissione che intende, si diceva in risposta all’interrogazione 1323 (21 aprile 2023) «inserire questo genere di iniziative nel più ampio progetto di segnaletica storica che la Divisione cultura sta portando avanti e ha dato mandato alla stessa per elaborare i contenuti commemorativi che potranno essere posti nei pressi o sulle case dei dedicatari, su targhe o totem che rispettano e continuano la linea grafica inaugurata appunto per la segnaletica storica, in accordo anche con la Divisione Comunicazione e relazioni istituzionali» (¡Pucha!, potrebbe commentare un cileno).

C’è una distanza abissale tra le procedure del macchinoso impianto amministrativo della città e l’umana semplicità con cui il pastore Guido Rivoir, nel febbraio del 1974, aveva risposto “presente” all’invito di assumere il coordinamento dell’Azione Posti liberi, operazione lanciata qualche settimana prima dal prete cattolico Cornelius Koch e dagli ambienti della cooperativa Longo Maï. Grazie al lavoro dell’Azione posti liberi, portato avanti a tratti sul filo dell’illegalità, qualche centinaio di profughi cileni in fuga dalla dittatura di Pinochet aveva trovato asilo in Svizzera. Su questo impegno, che è valso a Guido Rivoir la presenza nel Giardino dei Giusti, rimando a un intervento pubblicato su questo sito un anno fa o all’autobiografia dello stesso Rivoir (Le memorie di un valdese, 2012).

Qui mi limito a sottolineare l’importanza di un segno di attenzione nei confronti di quella vicenda, e di quella persona, in un momento dove armi e violenza la fanno da padrone, dove si distruggono scientemente vite e ambienti di vita (e quindi altre vite), dove i profughi si moltiplicano esponenzialmente, dove la tortura sistematica diventa sistemica, dove si calpestano ormai alla luce del sole i diritti più elementari. Dove molti – troppi – tacciono e acconsentono. Guido Rivoir avrebbe parlato, e fatto il possibile. Mostrare la via della responsabilità personale e della solidarietà in una società sempre più indifferente e segnata da un cieco individualismo è lo scopo del Giardino dei Giusti. Piantare degli ulivi non basta, e nemmeno rimettere una targa. Tuttavia serve. Serve a ricordare che azioni di solidarietà dal basso sono state possibili un tempo, e che forse lo sono ancora in questo momento particolarmente spaventoso. Speriamo.

Danilo Baratti è consigliere comunale dei Verdi a Lugano

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