Ecco perché la morte di Navalny è anche colpa nostra
Tutti ora piangono Aleksej. Temo non abbiano la più pallida idea di essere indirettamente corresponsabili
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Tutti ora piangono Aleksej. Temo non abbiano la più pallida idea di essere indirettamente corresponsabili
• – Redazione
Il sogno ecologista bloccato dalle pressioni politiche. Bonelli: “Le energie pulite dovrebbero marciare tre volte più veloci per rispettare gli impegni”. Silvestrini: “Ma il mondo ormai ha deciso. La transizione è inarrestabile”
• – Redazione
In votazione una questione cruciale che riguarda il sostegno verso i meno abbienti ed il mantenimento di un primo pilastro le cui sorti non dipendono dall’invecchiamento della popolazione ma dal fatto che si alimenta anche con investimenti finanziari a rischio
• – Spartaco Greppi
La Svizzera moderna non ha conosciuto la violenza dei «pogrom» e le deportazioni sistematiche attuate dai regimi totalitari. Non per questo la sua politica è stata esemplare nel favorire l’emancipazione delle comunità ebraica, sia in campo civile che religioso
• – Orazio Martinetti
Ai progetti che prefigurano sedicenti “Consigli comunali dei bimbi” meglio opporre modelli di funzionamento collettivo e collegiale delle classi, affinché la scuola sia laboratorio di convivenza e collaborazione, non copia dei consessi politici attuali
• – Adolfo Tomasini
"ma continuerò con la metà che mi rimane" promette la vedova. Il discorso integrale di Yulia Navalnaya
• – Redazione
La scomparsa di Cornelio Sommaruga, storico presidente del CICR
• – Paolo Bernasconi
Pubblicato in italiano il libro che ha più indagato sul radicalismo afroamericano
• – Francesca Coin
Politica cantonale e preventivo: un chiaro esempio del pressapochismo di politici che propongono soluzioni abborracciate e rabberciate senza nessuna idea sulle conseguenze che tutto ciò comporta, soprattutto nella sanità, nel sociale, nella formazione
• – Andrea Ghiringhelli
Gli svizzeri condividono molte cose con i loro vicini europei, e l'Unione europea è il principale partner commerciale del nostro Paese. Ma questo non basta a definire il rapporto della Svizzera con con l’Unione. Affinché sia stabile e duraturo è necessario un accordo istituzionale
• – Boas Erez
Tutti ora piangono Aleksej. Temo non abbiano la più pallida idea di essere indirettamente corresponsabili
Siamo di fronte alla tragedia di un popolo intero schiacciato tra due violazioni del diritto. La nostra e quella moscovita. Perché i Russi sono cattivi, che diamine: il megafono mediatico dell’Alleanza atlantica ci ha imbottito le menti con questa infantile stupidaggine e noi l’abbiamo ripetuta a pappagallo, accusando di complicità con Putin chiunque in Italia non fosse d’accordo con il teorema di cui sopra.
Per servilismo, abbiamo bandito Dostoevskij e abbiamo lasciato abbattere la statua di Puskin a Kiev e togliere gli autori russi dalle antologie scolastiche ucraine. Guai far sapere che esistono russi buoni. Meglio che la loro voce non compaia.
Navalny lo abbiamo ammazzato anche noi europei, inseguendo una visione manichea che non appartiene al nostro mondo.
L’America stessa, di fronte alla notizia, si è mossa con goffaggine e incoerenza. Trumpbarcolla: prima invita la Russia a invadere l’Europa, poi evita di accusare Putin e infine si dichiara vittima come Navalny. Lo smemorato Biden protesta senza far nulla, e intanto costringe Julian Assange — anima gemella di Navalny — all’esilio sorvegliato in Inghilterra.
E la storia, dopo la prima ondata di emozione, sta già per essere catturata dal pantano dell’indifferenza e dell’oblio. Notizie enormi come questa sono destinate ad affogare nel frastuono dei notiziari e dei social per essere rapidamente dimenticate.
Il mondo va avanti. I ricchi si arricchiscono, discettano a Davos sui destini del mondo, e degli Altri chi se ne importa. Cadono bombe sulle navi nel Mar Rosso, i noli delle navi aumentano del 30 per cento e gli armatori brindano a champagne. L’altezza dei bimbi inglesi continua a calare per malnutrizione. Un iceberg grande come l’Islanda si stacca dal Polo e punta sulle Svalbard. A Boston la General Electric ottiene un contratto da cinque miliardi per forniture di armi all’Ucraina.
In questo frastuono che disorienta, l’appello di Yulia Navalnaya mi ha fatto vergognare come europeo. L’ho ascoltato in silenzio, come ottant’anni fa si ascoltava Radio Londra. Le parole di lei cadevano come pietre sulle nostre coscienze. Yulia non parlava solo ai russi ma a tutto il mondo libero.
«E voi, non condividete con me la pena, ma la rabbia e l’odio per quelli che distruggono il nostro futuro». Quando ho sentito questa frase, pronunciata con la forza e la grazia della lingua di Puskin, ho capito di essere davanti alla Russia eterna, quella che non abbiamo saputo vedere. La Russia resistente delle donne, il Paese di Anna Politkovskaja, uccisa per aver svelato i crimini di Putin in Cecenia.
Ho riconosciuto in lei la forza di un popolo oppresso capace di benedire lo straniero consegnandogli pane, sale e pesce secco nel segno della Croce.
In quella donna parlava la terra di Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Svetlana Aleksjevi?. O di Nadežda Mandel’štam, che conservò, imparandole a memoria, le poesie proibite del marito, mandato a morire in Siberia.
Triste concludere che in questo nostro Occidente non esistono figure capaci, come lei, di trasformare in luce anche l’ora più buia.
Nell’immagine: Roma, Campidoglio. Fiaccolata in memoria di Navalny
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