“Hanno ucciso metà della mia anima”
"ma continuerò con la metà che mi rimane" promette la vedova. Il discorso integrale di Yulia Navalnaya
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"ma continuerò con la metà che mi rimane" promette la vedova. Il discorso integrale di Yulia Navalnaya
• – Redazione
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La testimonianza dalla Striscia. Abbiamo deciso di non spostarci nella tendopoli sulla spiaggia e attendere che l’invasione di Rafah si faccia imminente. Lì non avremo cibo, medicine, telefoni. Ma intanto qui continuano morti e bombardamenti
• – Redazione
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• – Franco Cavani
Quel Ticino di sempre che si ritrova già nelle “Semplici verità sulle finanze” scritte 170 anni fa da Stefano Franscini
• – Silvano Toppi
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• – Yurii Colombo
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• – Redazione
"ma continuerò con la metà che mi rimane" promette la vedova. Il discorso integrale di Yulia Navalnaya
Tutti questi anni sono stata accanto ad Aleksej: elezioni, manifestazioni, arresti domiciliari, perquisizioni, fermi, carceri, avvelenamento, di nuovo manifestazioni, arresti e carcere di nuovo. Il nostro ultimo incontro è stato a metà febbraio del 2022. La nostra ultima foto insieme. Esattamente due anni dopo Putin lo ammazzerà.
Tutti questi anni sono stata insieme ad Aleksej, ero felice di stare con lui e di sostenerlo. Ma oggi voglio essere con voi, perché so che anche voi avete subito una perdita non minore della me. Aleksej è morto nella colonia dopo tre anni di sofferenze e torture. Non stava scontando la sua pena come fanno gli altri detenuti, ma veniva torturato, tenuto in carcere di rigore, in una scatola di cemento armato. Immaginatevi soltanto questo: è una stanza di 6-7 metri quadrati, dove non c’è niente salvo uno sgabello, un lavandino, un buco nel pavimento al posto del bagno e un letto che viene attaccato al muro per impedire di sdraiarsi. Un bicchiere, un libro e una spazzola da denti. Non c’è di più, non c’è nient’altro. E così è stato per centinaia di giorni. Lui veniva maltrattato, separato dal mondo, non gli davano la penna né la carta per scrivere una lettera a me o ai nostri figli, lo affamavano da tre anni.
Ma lui non si arrendeva e ci sosteneva in continuazione. Ci risollevava il morale, rideva, scherzava, incoraggiava, non dubitava nemmeno per un attimo per che cosa stava lottando e per che cosa stava soffrendo. Era impossibile sottomettere mio marito e proprio per questo Putin l’ha ammazzato in modo vergognoso e codardo, senza mai decidere di guardarlo negli occhi o semplicemente citare il suo nome. E nello stesso modo infame e codardo ora nascondono il suo corpo, non lo fanno vedere a sua madre, non glielo concedono e mentono in modo meschino aspettando che spariscano le tracce del nuovo Novichok di Putin.
Sappiamo in modo preciso per quale motivo Putin ha ammazzato Aleksej tre giorni fa. Ve lo racconteremo presto, scopriremo assolutamente chi e in che modo ha eseguito questo delitto. Citeremo i nomi e faremo vedere le facce. Ma la cosa più importante che possiamo fare per Aleksej e per noi stessi è continuare a lottare. Lottare di più, in modo più accanito e audace di prima. Lo so che sembra che non sia possibile fare di più, ma bisogna farlo. Bisogna riunirsi, diventare un pugno solido e sferrare con questo pugno un colpo a questo regime impazzito, a Putin, ai suoi amici, ai banditi con le spallette, ai ladri e agli assassini che hanno mutilato il nostro Paese.
Lo so, lo sento che vi sta dilaniando la domanda: ma perché è tornato, perché si è consegnato volontariamente nelle grinfie di quelli che una volta l’aveva quasi ammazzato? A che serve un sacrificio del genere? Avrebbe potuto vivere tranquillamente, occuparsi di se stesso, della famiglia. Avrebbe potuto non parlare, non fare inchieste, non intervenire e non lottare. Ma lui non poteva non farlo. Aleksej più di tutto al mondo amava la Russia, amava il nostro Paese, voi, credeva in noi, nella nostra forza, nel nostro futuro, nel fatto che meritiamo una vita migliore. Ci credeva non a parole, ma coi fatti. Ci credeva in modo così profondo e sincero che era pronto a sacrificare per questo la propria vita. E il suo grande amore ci basterà per continuare la sua causa per tutto il tempo che ci vorrà, nello stesso modo accanito e coraggioso di Aleksej.
Tutti pensano adesso: ma dove possiamo prendere queste forze, come continuare a vivere? Ecco dove possiamo prendere queste forze: nella sua memoria, nelle sue idee, nei suoi pensieri, nella sua inesauribile fede in noi. Io cercherò le mie forze proprio in questo. Avendo ammazzato Aleksej, Putin ha ammazzato metà di me, metà del mio cuore, metà della mia anima. Ma mi è rimasta la seconda metà e mi suggerisce che non ho diritto di arrendermi. Continuerò la causa di Aleksej Navalny, continuerò a lottare per il nostro Paese e vi invito a starmi accanto, a condividere non solo il crepacuore e il dolore infinito che ci ha avvolti e non ci lascia. Vi prego di condividere con me la furia, la rabbia, l’odio nei confronti di quelli che hanno osato ammazzare il nostro futuro. Mi rivolgo a voi con le parole di Aleksej nelle quali lui credeva tanto: “Non è vergognoso fare poco, è vergognoso non fare niente, è vergognoso lasciarsi intimidire”. Dobbiamo sfruttare ogni occasione, lottare contro la guerra, contro la corruzione, contro l’ingiustizia. Lottare per le elezioni oneste e per le libertà di parola, lottare per restituire il nostro paese a noi stessi.
Una Russia libera, pacifica e felice, una Russia bella del futuro che sognava così tanto mio marito: ecco quello che ci vuole. Voglio vivere in una Russia così, voglio che ci vivano i nostri figli. Voglio costruirla assieme a voi. La voglio costruire giusto così come se la immaginava Aleksej Navalny, piena di dignità, equità e amore. Solo così e in nessun altro modo.
Il sacrificio impensabile che ha fatto lui può diventare non inutile. Lottate e non arrendetevi. Io non ho paura di niente e non abbiate paura di niente anche voi.
Traduzione di Aleksej Larionov
Nell’immagine: Yulia Navalnaya
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