G7, la leadership paralizzata dell’Occidente
In crisi davanti a guerre e crisi che avanzano
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In crisi davanti a guerre e crisi che avanzano
• – Redazione
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• – Franco Cavani
Nello scenario un po’ vero e un po’ finto di Borgo Egnazia, Bergoglio avanza faticosamente carico di malanni. A coloro che rappresentano il potere in una metà del pianeta, non può imporre nulla. Li può solo implorare che facciano il possibile per la pace
• – Redazione
Per allietare la vostra giornata un testo leggermente adattato del famoso brano musicale di Enzo Jannacci, che amava far ridere senza perder tempo dietro a questioni politiche
• – Redazione
La decisione dell'UE di aumentare fino al 48% i dazi doganali sulle vetture a batteria dalla Cina, che sta invadendo il vecchio continente. Europa (ma anche Svizzera) sempre in ritardo sulla transizione ecologica, tabù dell'estrema destra
• – Aldo Sofia
Il nuovo direttore dell'Autorità dei mercati finanziari si mette in una situazione impossibile. È l'uomo sbagliato?
• – Redazione
Pensando al grande scrittore nel secondo anniversario della morte: in un momento così tragico, è il caso di riaffidarsi al suo pensiero complessivo capace di traghettare il paese fuori dalla crisi
• – Sarah Parenzo
Un ricordo di A. B. Yehoshua nelle parole della sua amica e collaboratrice Sarah Parenzo
• – Simona Sala
Come gli Springbocks, la sua leggendaria nazionale di rugby, il Sudafrica pronto a realizzare un governo di coalizione quasi all’ultimo minuto
• – Carla Ferrari
Sono i giovani della seconda generazione di immigrati gli eroi ( italiani ma anche svizzeri ) dell'atletica
• – Redazione
In crisi davanti a guerre e crisi che avanzano
I Grandi, i Sette Grandi della terra! Se sovrapponiamo la enfatica definizione ai connotati invadenti dei protagonisti di Puglia tra uliveti, trulli e castelli avvertiamo subito, con un senso di imbarazzo, che la parola si disfa, come se qualcosa di molle e limaccioso vi si fosse infilato dentro. Altre parole, purtroppo, non solo resistono, ma si levano splendenti e terribili senza perdere nemmeno un millimetro della loro forza di verità, lapidi ed editti che rendono il nostro tempo così duro, vitreo e terribile. E queste parole sono guerra massacri miseria e miserie, separazioni e odio.
Li contempliamo, attoniti, i Sette, per un attimo allineati nella foto ricordo, come se aprissimo l’anta di un frigidaire. Facciamo scorrere i volti. Poi richiudiamo l’anta e speriamo di toglierci dalla coscienza un filmato di repertorio, innocuo e sorpassato, su cui sarebbe ora di mettere un buon pizzico di naftalina. Invano.
Sono questi i Grandi della terra? Sono loro a cui affidiamo il compito di fermare il precipizio più cupo e terribile? Una Santa Alleanza di mediocri sopravvissuti dell’Ancien Régime? Quali speranze si possono ritrovare nei cascami cinerei puntigliosi irritati e minaccianti dei loro discorsi, negli affannosi e asfittici sunti di due giorni di “lavori’’, in cui si sguazza tra chiacchiere a vantaggio di politica interna, sorrisi fasulli e menu stellari, per nascondere la digestione del niente? Questi ubriachi del Libero Mercato, apostoli della santità della Concorrenza ma per utile già diventati beccai infuriati del protezionismo… Se i Grandi sono costoro ti vien voglia di sgolare l’orazione rivoluzionaria.
E si rischia la guerra mondiale perché un prepotente, Putin, vuole essere riammesso proprio al sinedrio di questi Grandi fantasmi, non come utile collaboratore ma come protagonista che può fare la voce grossa!
Spengler ha impiegato centinaia di pagine per raccontare, forse un po’ in anticipo, il tramonto dell’Occidente. Se fosse stato a Borgo Egnazia in questi giorni gli sarebbe stata sufficiente una frase per fissare la ennesima fine dei pusilli e dei pitocchi dell’ultimo impero. Guardavamo, nel Novecento, il corpo e la maschera di Leonid Breznev esposti come un oggetto inerte sulla balaustra della piazza Rossa. Ti veniva voglia di metter la mano nella redingote per sentire se il cuore batteva regolarmente. Capivamo che l’Unione sovietica, “il presidio della rivoluzione mondiale”, era già un cadavere in attesa della constatazione burocratica di morte.
Ma quello era un sistema autoritario, difendeva sé stesso negando perfino la realtà, cercando di illudere che un mausoleo fosse vita e la agonia un raffreddore. Il caso di Biden, della democrazia americana a cui è riuscita la magia di convincerci che è la eterna giovinezza del mondo, è la vitalità scientifica sociale politica, è diverso. Se l’America pretende di dettare la linea, di scegliere i buoni e i cattivi, ha il dovere di restare fedele al mito tutto in stampatello. Non può imporre antropologicamente la realtà del suo progressivo e rapido indebolimento. Le potenze che si accorgono di invecchiare, di avere avversari più feroci e determinati, sono pericolosissime, perché sono indotte a commettere errori per cercare di smentire la realtà, di giocare bluff insensati trascinandovi dentro anche gli altri. Chi suggerisce a questo uomo smarrito, incatenato, non so se per ambizione senile o per scelta di altri, alla ardua recitazione del Potere, le decisioni da prendere? Chi firma in nome suo impegni bellici che dureranno dieci anni eternizzando scelte che potrebbero risultare sbagliate o azzardate?
E gli altri? Se non fossero registrati nella foto apula sarebbero per tutti una x, dei signor nessuno, bottegai di provincia ammessi per cortesia al Rotary. Ex potenze irrancidite scese nella cripta dei secoli che suonano la campana a stormo della guerra obbligatoria per non constatare la irrimediabile irrilevanza. Un cancelliere che ha raccolto meno voti di un partito di nostalgici nazisti e un “monsieur le président” a cui solo i provvidenziali meccanismi della monarchia inventata dal Generale consentono di far finta di niente di fronte alle sconfitte elettorali. Impegnatissimi a cercare di nullificare i segnali arrivati dalle urne sciaguratamente indotte a malumori estremisti proprio dalle loro bugie e insufficienze. E poi c’è l’Italia, Grande davvero ma nei debiti, e addendi del potere americano come il Canada e il Giappone.
L’adesso, il qui, il qui storico , questi e non altri, i giorni dati a noi che li viviamo nella prospettiva di terribili precipizi: ovvero due giorni infarciti di “svolte storiche”, che sarebbero una guerra che continuerà con i soldi degli altri dopo esser stata fatta con i morti degli altri (e il vero cruccio erano i soldi da spendere non i cadaveri che non si contano nemmeno); e le solite mercificazioni dell’Africa che si cerca penosamente di nobilitare con i finti colori dello “sviluppo”, astratto almeno quanto concreta e laida è la mercificazione a nostro vantaggio. Non abbiamo, noi, per ora cupe frontiere, non abbiamo, noi, per ora gli affronti atroci delle prigioni. Ma possiamo accontentarci di questo non esistere, di queste provvisorie assenze? E a Borgo Egnazia i milioni di umili, di sconosciuti itinerari di sofferenza, di pene, di strazio e di agonia che appartengono all’addizione dei nostri peccati e colpe appunto di Grandi, di cui formano il precipizio più cupo e terribile, chi li ha rappresentati? Questa è la domanda.
Nell’immagine: i cosiddetti grandi nella foto ricordo
Un appello affinché torni ad essere una virtù pubblica e politica
Le strade del dialogo nella realtà globale, multiculturale e multietnica in un articolo del grande giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, a 15 anni dalla sua scomparsa