Incontro di civiltà
Le strade del dialogo nella realtà globale, multiculturale e multietnica in un articolo del grande giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, a 15 anni dalla sua scomparsa
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Le strade del dialogo nella realtà globale, multiculturale e multietnica in un articolo del grande giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, a 15 anni dalla sua scomparsa
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Le strade del dialogo nella realtà globale, multiculturale e multietnica in un articolo del grande giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, a 15 anni dalla sua scomparsa
Di Ryszard Kapuscinski, da Internazionale (traduzione di Vera Verdiani)
Certe volte, ripensando a tutti i miei viaggi, ho l’impressione che il problema principale non siano stati i confini, i fronti di guerra, le difficoltà e i pericoli, ma la continua incertezza su come sarebbe stato l’incontro con gli altri, con quelli che avrei trovato strada facendo. Ho sempre saputo che da questo elemento dipendeva tutto, o quasi tutto. Ogni nuovo incontro era un’incognita: come sarebbe cominciato, come si sarebbe svolto, come si sarebbe concluso? La domanda in sé non è nuova. L’incontro con un altro uomo, con altri uomini, è da sempre l’esperienza universale e fondamentale del genere umano. (…)
Si può scegliere il duello, il conflitto, la guerra. Di eventi del genere conservano memoria gli archivi, i campi di battaglia, i resti di rovine sparse nel mondo intero. Sono testimonianze della sconfitta dell’uomo, della sua incapacità – o non volontà – d’intendersi con gli altri. Un tema al quale, nelle sue infinite varianti, si è ispirata la letteratura di ogni epoca e paese.
Ma può anche succedere che, invece di aggredire e combattere, la nostra famiglia-tribù decida di separarsi e isolarsi dagli altri. Un atteggiamento che nel tempo ha prodotto fenomeni sostanzialmente simili tra loro: la Grande Muraglia cinese, le porte di Babilonia, il limes romano e le mura di pietra degli Incas.
Per fortuna, ci sono prove che il genere umano è capace anche di un altro atteggiamento. Sono prove di collaborazione: resti di mercati, luoghi di sosta per rifornirsi d’acqua, dove si trovavano agorà e santuari, dove sorgono tuttora le sedi di antiche università e accademie o dove ancora si conservano tracce di vie commerciali come la via della Seta, dell’Ambra o del Sahara.
Tutti luoghi dove la gente si è incontrata, ha scambiato idee e merci, ha fatto affari, ha stretto patti e alleanze, ha scoperto finalità e valori comuni. L’altro, il diverso, non era sinonimo di estraneità, ostilità ed eventuale morte. Ciascuno scopriva di avere in sé una piccola parte dell’altro, ci credeva e viveva con quella convinzione.
Ogni volta che l’uomo incontra l’altro gli si presentano tre possibilità: fargli guerra, ritirarsi dietro a un muro, aprire un dialogo.
L’uomo esita da sempre tra queste tre opzioni e – a seconda della situazione e della cultura – sceglie l’una o l’altra. Le sue scelte sono mutevoli: non sempre si sente sicuro. (…) Viviamo nella transizione dalla società di massa a quella planetaria. Molti fattori contribuiscono a questo passaggio: la rivoluzione elettronica, l’incredibile sviluppo delle comunicazioni, l’estrema facilità nel collegarsi e spostarsi, oltre alla nuova consapevolezza nata tra le giovani generazioni e nella cultura in senso lato.
In che modo cambierà il rapporto tra noi e i rappresentanti di un’altra o di altre culture? Come influirà sul rapporto “io-altro” nell’ambito della mia cultura, oltre che fuori di essa? Una domanda a cui è difficile rispondere in modo univoco e definitivo, poiché si tratta di un processo ancora in atto, nel quale siamo personalmente coinvolti e quindi privi della distanza necessaria per giudicare.(…) La cultura diventa ogni giorno più ibrida ed eterogenea. (…) Oggi ci sono vere e proprie scuole di filosofia, antropologia e critica letteraria che studiano questo processo di ibridazione, innesto e trasformazione culturale. È un processo in atto soprattutto nelle regioni dove i confini statali sono anche frontiere tra culture (come quella tra America e Messico), o nelle gigantesche megalopoli (San Paolo, New York, Singapore) dove si mescolano razze e culture d’ogni genere. Quando si dice che il mondo è diventato multietnico e multiculturale, non è perché oggi ci siano più etnie e culture di prima, ma perché oggi esse parlano con voce più forte, autonoma e decisa, pretendendo di essere accettate, riconosciute e invitate alla tavola rotonda delle nazioni. (…)
Oggi sul nostro pianeta, abitato per secoli da un ristretto gruppo di gente libera e da larghe masse di prigionieri, emerge un numero sempre crescente di nazioni e comunità convinte di possedere un valore individuale. Questo processo di consapevolezza si compie spesso a costo di difficoltà, conflitti e drammi di vasta portata.
Probabilmente ci stiamo inoltrando in un mondo così nuovo e diverso che le esperienze storiche attraversate finora si riveleranno insufficienti a capirlo e a muovercisi dentro. Comunque, il mondo nel quale stiamo entrando è il Pianeta della Grande Occasione: un’occasione non certo incondizionata, aperta solo a coloro che prenderanno sul serio il loro compito, dimostrando però di non prendere troppo sul serio se stessi. Un mondo che se da un lato può dare molto, dall’altro pretende anche molto, e dove chi cerca scorciatoie spesso non arriva da nessuna parte.
Incontreremo continuamente il nuovo altro, che pian piano emergerà dal caos e dalla confusione del mondo contemporaneo. Forse questo altro scaturirà dalla fusione tra le due opposte correnti della cultura moderna: quella che tende a globalizzare la nostra realtà, e quella che conserva la nostra individualità e unicità. L’altro potrebbe essere il frutto e l’erede di queste due correnti. Ecco perché dovremmo cercare di stabilire con lui un dialogo e un’intesa. L’esperienza acquisita in lunghi anni di convivenza con altri mi ha insegnato che la benevolenza è l’unico atteggiamento capace di far vibrare nell’altro la corda dell’umanità.
Chi sarà questo nuovo altro? Come si svolgerà il nostro incontro? Che cosa ci diremo? In quale lingua? Riusciremo ad ascoltarci? Riusciremo a far risuonare ciò che – come dice Conrad – “suscita la nostra capacità di provare meraviglia e ammirazione, il senso di mistero della vita, il nostro sentimento della pietà, del bello e del dolore, la segreta comunione con il mondo, la sottile ma indomabile certezza della solidarietà che unisce infiniti cuori umani, quell’identità di sogni, gioie, dolori, aspirazioni, illusioni, speranze e timori che accomuna l’uomo all’uomo e unisce l’intera umanità: i morti ai vivi e i vivi a chi non è ancora nato”?
Ryszard Kapuscinski, morto il 23 gennaio 2007, è stato uno dei più importanti giornalisti contemporanei, autore di numerosi saggi e reportage. Era nato nel 1932 a Pinsk, nella Polonia orientale, oggi Bielorussia.
Adattamento della redazione
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