Kenya, finito il sogno degli “afro-ottimisti”
Da «ribellione» a «rivoluzione». La sfida della Generazione Z è un’intifada di nuovo stampo contro leader “democratici”, fedeli a Usa e Fondo monetario
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Da «ribellione» a «rivoluzione». La sfida della Generazione Z è un’intifada di nuovo stampo contro leader “democratici”, fedeli a Usa e Fondo monetario
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Da «ribellione» a «rivoluzione». La sfida della Generazione Z è un’intifada di nuovo stampo contro leader “democratici”, fedeli a Usa e Fondo monetario
Il fatto è nuovo, rimarchevole: gli insorti di Nairobi non si sono dedicati alla sterile modalità dei moti africani per la fame, ovvero assalti e saccheggi di supermercati, pogrom contro i negozi di minoranze ricche e per questo detestate come gli indiani. I manifestanti contro le tasse e il malgoverno di un presidente sanguisuga erano dapprima pacifici e quieti. Di fronte alla tradizionale abitudine manesca di polizia ed esercito hanno scelto una nuova meta, occupare il parlamento, il luogo del Potere. Che cosa ci insegna questa lezione?
Che c’è della stoffa finalmente rivoluzionaria in questa generazione ribelle; segno che qualcosa sta cambiando dal Nord al Sud del continente. Questo è un Paese in cui anche l’opposizione è marcia, tanto che per riempire le piazze ricorre al sistema di pagare i disperati delle bidonville perché irrobustiscano i suoi cortei, e grida ai colossali brogli elettorali (verissimi) ma solo con la speranza di ripeterli la prossima volta a suo vantaggio. Ebbene: balza su una intifada di nuovo stampo, consapevole che il nemico, in tutto il continente, sono i presidenti “democratici”, funzionari obbedientissimi di Stati Uniti e Fondo monetario, i proconsoli corrotti e bugiardi dei miracolosi “aggiustamenti strutturali” a spese dei poveri, monatti senza scrupoli di un potere finanziario e politico mondiale di cui le plebi di Nairobi e di Kinshasa, di Dakar e del Cairo sono l’eterno combustibile umano, manipolabile e straccione.
Ora bisognerà vedere se questa generazione di rivoltosi, quel 60% di kenioti che hanno meno di 35 anni, saprà diventare una generazione di rivoluzionari, ovvero saprà saldare il suo no alla immensa fanteria rivoluzionaria delle baraccopoli, dando loro parole d’ordine e strategia. Perché è lì, in quella pentola bollente, tra vampe di rabbia e odori grevi, che è sempre la chiave della vittoria: portare i diseredati fuori dai loro tuguri e muoverli verso il triangolo della Nairobi dei ministeri e dei ricchi, dove i turisti vanno a comperare il souvenir masai made in China.
Una sfida difficile, sul filo del rasoio. Metton dubbi le parole dello stizzito presidente dove spunta la micidiale parolina di ogni repressione: difendere la «sicurezza nazionale», e spiccano le accuse ai quelli che fino a ieri erano «meravigliosi ragazzi» e che adesso sono stati retrocessi a teppaglia «infiltrata di gruppi criminali». Ieri ha ritirato la legge finanziaria ammazza poveri: puntare sul tempo, dividere i frondisti, offrire miraggi ai palati più rozzi.
Signori afrottimisti, forsennati dei dossier speciali sull’“Africa che avanza”, come la mettiamo con il Kenya? Sì, l’ottimismo consolatorio, impastato di “la democrazia avanza!”, internet, i “pil in ascesa”, manager e start up, adieu a genocidi e massacri, a carestie e tribalismo omicida, è proprio una storia meravigliosa. Il problema purtroppo è che non esiste alcuna ragione per ritenere che sia vera. In termini più crudi, non basta dire che abbiamo la coscienza a posto perché tutto finirà bene, prima o poi: i miracoli del mercato, la globalizzazione, i piani Mattei eccetera. La colpa, proprio perché la descrizione è fondata su false premesse, è che si danno false speranze a genti che hanno un disperato bisogno di rivoluzioni. L’Africa vera un chilometro al di là degli hotel, dei saloni conferenze, dei ministeri degli afrottimisti, è una serie di Ground Zero dove la gente non ha elettricità e vive con un dollaro al giorno. Dirlo è cinismo, pessimismo rassegnato? È solo senso della realtà per quanto si possa desiderare che le cose stiano diversamente. Perché poi un mattino spuntano i roghi e le sparatorie nel centro di Nairobi. Diavolo! Ma non stavano diventando ricchi e felici?
Negli schemi di questi (sprovveduti? Consapevoli?) agit prop della ricolonizzazione sorridente, il Kenya era un esempio della Meraviglia che verrà, un’“economia dinamica” deliziosa metafora, un pilastro del nuovo gigante economico del ventunesimo secolo sulla via di prender il testimone dell’America e dell’Europa. Nientemeno. L’afrottimismo respinge milioni di africani nelle tenebre della statistica, fa, a tavolino, il maquillage a questo universo di vittime e vampiri che è l’Africa reale. Nello schema l’africano è tollerato e simpatico a condizione di non contraddirci e di fare i nostri interessi. Semplicemente il vecchio atteggiamento dell’imperialismo ribaltato. Sono i professionisti dell’ottimismo che hanno preso il posto dei sorpassati professionisti della commozione. Degli uni e degli altri l’Africa nuova, che deve essere rivoluzionaria e quindi violenta se vuole esistere, si sbarazzerà.
Ecco: il Kenya del nostro carissimo presidente Ruto. Milionario fai da te autoproclamatosi rappresentante dei poveri. Vecchia bugia. Baldanzoso, astuto il presidente: alleanza granitica con Washington, sì perché a Nord e a Sud, in Somalia e Mozambico, crepitano i kalashnikov jihadisti. E poi, volpina novità, è l’alfiere dell’afro-green, nuovo grimaldello per aprire i cuori dei donatori occidentali. D’altra parte sulle Verdi Colline d’Africa ormai allevano, a causa del mutamento climatico, i cammelli e non più le vacche dei masai.
Chissà se gli afrottimisti sanno come è stato ribattezzato, il presidente, dai poveri che aveva promesso di arricchire: “Zakayo”. Ovvero Zaccheo, il pubblicano, la sanguisuga del Nuovo Testamento che attende il passaggio di Gesù ben nascosto sul sicomoro. Già: «Ruto must go», togliti dai piedi, era scritto sui cartelli della rivolta domata nel sangue. L’ennesimo ben retribuito funzionario periferico del Fondo monetario. La sua specialità sono le tasse, in un paese dove un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà e dove l’economia di sopravvivenza è per la maggior parte informale. Sedici per cento in più sul pane e una stangata sulle auto private, godetevela l’austerity del milionario che ha fatto rimettere a nuovo i Palazzi, moltiplicato sprechi e assunzioni clientelari, comprato un aereo nuovo per andare in pompa dall’amico americano.
Ma bisogna rientrare dal deficit monumentale di 64 miliardi di euro, il 50% delle entrate finisce nel rimborso ogni anno. Chi pagherà per evitare il fallimento e non far arrabbiare gli amici d’Occidente? Nessuna suspence: i soliti poveracci a cui aveva chiesto i voti. Perché a Nairobi, come ha sintetizzato un esponente dell’opposizione peraltro parolaia e connivente, «tassano anche l’aria che respiriamo». Fondo monetario. Applausi. Sipario.
Nell’immagine: I manifestanti si disperdono mentre la polizia spara acqua con gli idranti durante la protesta a Nairobi, in Kenya
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