Ecco cosa accende la rivolta studentesca
Oggi il fatto di protestare contro la guerra a Gaza scatena una levata di scudi da parte di personalità ebree, che vi vedono una manifestazione di antisemitismo sotto mentite spoglie
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Oggi il fatto di protestare contro la guerra a Gaza scatena una levata di scudi da parte di personalità ebree, che vi vedono una manifestazione di antisemitismo sotto mentite spoglie
• – Redazione
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• – Aldo Sofia
Oggi il fatto di protestare contro la guerra a Gaza scatena una levata di scudi da parte di personalità ebree, che vi vedono una manifestazione di antisemitismo sotto mentite spoglie
La Francia della tristezza e del malessere politico scopre che gli studenti sono contestatari per natura. Qualcuno rievoca il fatto che le rivolte del maggio 1968 erano cominciate in seguito all’arresto a Parigi di due studenti vietnamiti che si opponevano alla guerra che l’America conduceva contro il loro popolo.
Oggi il fatto di protestare contro la guerra a Gaza scatena una levata di scudi da parte di personalità ebree, che vi vedono non una contestazione della politica di uno Stato che commette crimini di guerra, ma una manifestazione di antisemitismo sotto mentite spoglie. Per queste personalità, è l’odio verso l’ebreo che traspare da questa rivolta.
Oggi essere antisionisti, vale a dire contro la politica di colonizzazione e occupazione dei territori palestinesi, per molti ebrei di Francia, se non per tutti, equivale a essere antisemiti. La vedova di Robert Badinter, ex ministro della Giustizia di François Mitterrand, e l’ex giornalista Anne Sinclair si sono pronunciate in questo senso sul quinto canale della televisione francese. Nessun distinguo: quello che succede nelle università americane e francesi è razzismo antiebraico.
Quello che sta succedendo da alcune settimane a Sciences Po, la facoltà di scienze politiche, dove si sono creati dei gruppi per manifestare solidarietà al popolo palestinese, è una novità. Questi studenti, certamente radicalizzati, reagiscono come reagivano i loro predecessori durante la guerra in Vietnam negli anni 70.
Ma il fatto di rimettere la Palestina, che tutti avevano dimenticato, al centro della scena internazionale, è importante e innervosisce i sostenitori dello Stato di Israele.
A complicare le cose, in Francia, ci si mette La France Insoumise, il partito di Jean-Luc Mélenchon, che si schiera al fianco degli studenti filopalestinesi. Rappresentanti eletti di questo partito partecipano alle riunioni nell’università.
Quello che gli altri partiti non perdonano a Mélenchon è di essersi rifiutato di definire «terrorista» Hamas: per lui i miliziani del movimento islamico sono resistenti che combattono in un Paese occupato; e gli studenti che manifestano sono «l’onore della Francia». La deputata Rima Hassan, franco-palestinese, è stata convocata dalla polizia a fine aprile con l’accusa di fare «apologia del terrorismo» semplicemente perché denuncia i massacri ai danni degli abitanti della Striscia di Gaza e sostiene Hamas che resiste contro gli attacchi israeliani.
Tutto era cominciato proprio con Mélenchon, che avrebbe dovuto tenere una conferenza sulla situazione in Medio Oriente all’Università di Lilla: quando è arrivato lo stop, la situazione si è incendiata.
Le università americane, nel frattempo, erano già mobilitate. Sono stati importati da Oltreoceano slogan come «Dal fiume al mare» (dal Giordano al Mediterraneo), che ha una forte radicalità e rimane controverso. Alcuni l’hanno interpretato come un’aggressione contro gli ebrei, un appello alla distruzione dello Stato di Israele, tanto più che fu utilizzato per la prima volta da Arafat in un discorso che proclamava l’obiettivo di recuperare i territori occupati da Israele dopo la sconfitta del giugno 1967. Altri, come un professore ebreo della Columbia, intervistato dalla Cnn, hanno detto (cito a memoria): «Si tratta di uno Stato unico per i due popoli, con gli stessi diritti per tutti. È un invito ad accettare di vivere insieme nel rispetto reciproco, a condizione di avere gli stessi diritti».
Ma spesso e volentieri è l’aspetto provocatorio antisraeliano che rimane impresso. Il fatto che Khamenei, la guida suprema iraniana, si congratuli con questi studenti non aiuta, perché è un sostegno che viene da un uomo che impicca i giovani per reati insignificanti e reprime ogni manifestazione per la libertà di girare e vestirsi come si vuole. Avere l’appoggio di un capo di Stato che reprime selvaggiamente il suo popolo non è un vantaggio per la causa palestinese.
Bisognerebbe ricordare a Khamenei che la causa palestinese era laica fin dai tempi di Arafat e che è diventata in parte religiosa con Hamas, sostenuto e probabilmente finanziato dall’Iran.
La politica interna francese si è già impadronita di questa contestazione: il Rassemblement National (l’ex Front National, il cui fondatore, Jean-Marie Le Pen, non nutre un particolare amore verso gli ebrei) difende la comunità ebraica e il 23 novembre 2023 ha partecipato alla grande manifestazione contro l’antisemitismo; la France Insoumise non c’era.
È in questa confusione e strumentalizzazione della contestazione studentesca che i partiti preparano le elezioni europee del prossimo giugno, in cui l’estrema destra è data largamente in testa dai sondaggi. È una premessa inquietante per le presidenziali del 2027.
Nelle università americane le contestazioni proseguono, anche se alcuni mezzi di informazione sottolineano che la deriva antisemita non è un’invenzione e che i manifestanti fanno l’amalgamata tra ebrei e israeliani.
Tutti riconoscono l’orrore del massacro del 7 ottobre. Perfino i vertici di Hamas hanno riconosciuto l’aspetto abominevole di quella tragedia, ma non si sono spinti fino a condannarla. Ma resta il fatto che la risposta israeliana ha superato ogni limite e ha massacrato un numero considerevole di abitanti della striscia: si parla di 40.000 morti, 12.000 dei quali minori. Ma le cifre esatte sono secondarie: l’orrore è una realtà e degli innocenti sono stati uccisi scientemente dai soldati di Netanyahu.
È questo che ha risvegliato le coscienze degli studenti in tutto il mondo. Sono state le università americane a dare il segnale e in Europa, un po’ dappertutto, con intensità diverse a seconda dei Paesi, hanno seguito l’esempio.
È la prima volta che la causa palestinese diventa una causa quasi universale.
In Francia i media, sentendo la pressione implicita della comunità ebraica (più di seicentomila persone), evitano di dare la parola agli uomini e alle donne che sostengono questa causa. Valérie Pécresse, che dal 2015 è presidente del consiglio regionale dell’île-de-France, la regione parigina, ha sospeso i finanziamenti a Sciences Po per denunciare la solidarietà e la radicalità di questi studenti filopalestinesi, che anche lei considera antisemiti.
È un ricatto che funziona alla perfezione. Gli ebrei francesi, anche se in maggioranza sono inorriditi dalla politica di Netanyahu, non sopportano che si faccia l’amalgama tra israeliani ed ebrei. Per loro il sionismo è l’ideologia di base su cui è stato costruito e strutturato lo Stato di Israele. Essere antisionisti è semplicemente essere contro l’esistenza di quello Stato, e quindi volere la sua sparizione. È per questo che lo slogan americano «dal fiume al mare» è percepito in modo tanto negativo e fa nascere sentimenti di angoscia che hanno una loro legittimità.
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