La conferenza di Lucerna riafferma le basi legali per la pace in Ucraina
Troppe semplificazioni nell'analisi dei risultati raggiunti al Bürgenstock, che non sono irrilevanti
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Troppe semplificazioni nell'analisi dei risultati raggiunti al Bürgenstock, che non sono irrilevanti
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Troppe semplificazioni nell'analisi dei risultati raggiunti al Bürgenstock, che non sono irrilevanti
Sulle notizie che concernono la guerra in Ucraina l’approssimazione e l’eccessiva semplificazione non sempre delinea il quadro della realtà. Nelle analisi di eventi di rilievo come quello della Conferenza di alto livello organizzata dalla Confederazione Elvetica, occorre uno sforzo in più da parte degli analisti. Al momento ci si è limitati ad enfatizzare il mainstream sulla mancata adesione al documento finale da parte di dodici Stati: ma dodici ‘riserve’ non sono solo una netta minoranza rispetto agli 80, fra Stati e organizzazioni, che vi hanno aderito? Sarebbe il caso di sottolineare comunque la prevalenza delle adesioni e di interrogarsi con spirito costruttivo – per un’idea di pace condivisa – sulla valenza del contenuto del documento in sé. Poi certamente vanno considerate le implicazioni delle astensioni, di minoranza, valutandone però le ragioni che non sempre – come si vedrà – sono di netto allineamento alla Russia.
La dichiarazione finale del vertice svoltosi a Bürgenstock il 15 e 16 giugno merita essere analizzata nelle sue importanti affermazioni di principio – specie sotto il profilo del diritto internazionale – e nelle finalità che si propone. Il documento, approvato anche da Ue e Consiglio d’Europa, ha ottenuto la condivisione su cinque punti fondamentali: la sicurezza nucleare, con particolare riferimento alle misure per la centrale di Zaporizhzhia, la sicurezza alimentare con il ripristino della libertà di navigazione per il traffico commerciale nel Mar Nero, il rientro in patria dei bambini ucraini trasferiti in Russia nell’ambito di un quadro più ampio di scambi di prigionieri, l’affermazione della ‘sovranità, indipendenza e integrità territoriale’ dell’Ucraina, e, infine, la prospettiva per la ripresa del dialogo per i negoziati. Si parla infatti già di una nuova Conferenza da convocarsi entro novembre, prima della elezioni statunitensi, dal cui esito dipenderà la conferma di Biden di fronte allo sfidante Trump.
È dunque chiaro l’ obiettivo del percorso intrapreso: convergere attorno a “una interpretazione comune” delle basi legali per “una pace giusta e duratura”, in sostanza una dichiarazione su ciò che prevede in questi casi il diritto internazionale. Non a caso nel documento approvato a Bürgenstock vengono richiamate le risoluzioni A/RES/ES-11/1 e A/RES/ES-11/6 adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che condannano l’aggressione all’Ucraina e impongono il cessate il fuoco con il ritiro della forze russe dai territori illegalmente occupati. La linea d’azione dunque è per “una pace globale, giusta e duratura, basata sul diritto internazionale, compresa la Carta delle Nazioni Unite”. In particolare, si riafferma l’impegno “ ad astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato” e ad affermare “i principi di sovranità, indipendenza e integrità territoriale di tutti gli Stati, compresa l’Ucraina”.
Viene perciò riaffermato il principio fondamentale della “risoluzione delle controversie con mezzi pacifici” in conformità al diritto internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite. Da qui i corollari su specifici aspetti ritenuti più urgenti. In particolare, le centrali e gli impianti nucleari ucraini, compresa la centrale nucleare di Zaporizhzhia, devono operare in modo sicuro e protetto “sotto il pieno controllo sovrano dell’Ucraina” e sotto la supervisione dell’Aiea. Più specificamente è posto un divieto assoluto anche alla retorica della minaccia nucleare: “Qualsiasi minaccia o uso di armi nucleari nel contesto della guerra in corso contro l’Ucraina è inammissibile”. Per la “sicurezza alimentare globale”, considerato che dipende dalla produzione e dalla fornitura “ininterrotte” di prodotti alimentari, la navigazione commerciale deve essere “libera, completa e sicura”, affinché si consenta l’accesso ai porti marittimi del Mar Nero e del Mar d’Azov. In sostanza, la sicurezza alimentare “non deve essere usata come arma in alcun modo”, e i prodotti agricoli ucraini devono essere forniti “in modo sicuro e garantito” ai paesi terzi interessati.
Per quanto riguarda i prigionieri di guerra si prevede la liberazione totale, mentre “tutti i bambini ucraini deportati e sfollati illegalmente, e tutti gli altri civili ucraini detenuti illegalmente, devono essere rimpatriati in Ucraina”.
Infine c’è l’intesa per il “coinvolgimento e il dialogo tra tutte le parti” – che nessuno aveva mai escluso– nonché l’enunciazione del principio ispiratore su cui indirizzare le tappe successive dei negoziati: “La Carta delle Nazioni Unite, compresi i principi del rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità di tutti gli Stati, può servire e servirà come base per raggiungere una pace globale, giusta e duratura in Ucraina”.
Si è detto che la contrarietà al documento è stata espressione principalmente del Global South, quel Sud Globale – comprensivo di Africa, America Latina, Asia, Oceania – tanto evocato nella retorica di Russia e Cina. Queste si sono accattivate le simpatie di molti paesi del Sud Globale non solo nella prospettiva di un nuovo ordine “multipolare”. Da un lato hanno un ruolo il petrolio a basso costo e i servizi della Wagner diffusi dalla Russia specie nei paesi africani che si sono voluti affrancare dalla Francia, dall’altro ci sono gli investimenti della Via della Seta, su cui Pechino sta già vincolando molti paesi africani, asiatici e latino-americani nella trappola dei debiti sovrani.
Ma è davvero totale l’allineamento del Global South sulle posizioni della Russia? Dalla consultazione dell’elenco di chi ha sottoscritto la dichiarazione finale non si direbbe. Sono diversi i paesi del Sud Globale che hanno aderito al documento e alcuni non sono certo irrilevanti: Argentina, Benin, Capo Verde, Cile, Comore, Costa Rica, Costa d’Avorio, Repubblica Dominicana, Ecuador, Figi, Gambia, Ghana, Guatemala, Kenya, Liberia, Nuova Zelanda, Palau, Perù, Filippine, Qatar, Sao Tomè e Principe, Somalia, Suriname, Timor Est, Uruguay. Altri due paesi hanno ‘ritirato’ la firma dal documento: l’Iraq, praticamente uno stato che stenta a rinascere sotto influenza dell’Iran, e la Giordania, che guarda ai riflessi delle scelte dell’Arabia Saudita. Anche questa non ha sottoscritto il documento, probabilmente per mantenere una fama di “neutralità” anche per il processo di distensione sui cui punta in Medio Oriente (nonostante la crisi di Gaza) – pure per meglio curare i propri affari – dovendo tener conto dell’Iran, che ha solidi legami con la Russia.
Certo ci sono le astensioni di Sud Africa e India, ma le loro posizioni vanno meglio chiarite. Secondo il sito della Conferenza intervenire il Ministero degli affari esteri cinese ha dichiarato di attribuire “grande importanza all’organizzazione del primo vertice per la pace in Ucraina da parte della Svizzera”, anche se la sua riserva è stata opposta perché si devono “coinvolgere i Paesi del Sud del mondo e integrare la Russia nel processo di pace”. Tuttavia la Svizzera aveva già chiarito che non proponeva un “foro negoziale”, ma una piattaforma iniziale con cui promuovere i “buoni uffici” per i successivi negoziati tra le parti. Quanto al Sud Africa, è indicativo lo statement di disaccordo presentato dal professor Sydney Mufamadi, consigliere per la sicurezza nazionale della Repubblica sudafricana. Il governo di Pretoria ha aderito al vertice condividendo i “percorsi verso una pace globale, inclusiva, giusta e duratura in Ucraina e nella regione”.
Tra i motivi della della mancata adesione c’è la presenza di Israele: il Sud Africa ritiene che non abbia diritti ad intervenire in un forum che richiama la Carta delle Nazioni Unite posto che a suo carico pende l’accusa di genocidio (di cui il governo di Pretoria è promotore) davanti alla Corte internazionale di giustizia. Inoltre secondo il delegato sudafricano “il linguaggio adottato nel comunicato per quanto riguarda la minaccia o l’uso di armi nucleare restringe il divieto al solo contesto dell’Ucraina”, mentre va sostenuta la “proibizione totale della minaccia o dell’uso di armi nucleari in qualsiasi contesto”. Ciononostante nello stesso statement il professor Mufamadi riconosce “l’importanza che questo processo ha attribuito alla Carta delle Nazioni Unite, al diritto internazionale e ai diritti umani” ed è esplicito: “Il Sudafrica ha sostenuto l’applicazione uniforme dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, compreso il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina”.
In sostanza, in queste posizioni è arduo leggere un deciso allineamento alle posizioni della Russia, specie per le pretese sui territori ucraini. Emergono storiche ambiguità del Sud Africa e allo stesso modo dell’India e degli altri astenuti. Argomenti diversi ma sostanziali ambiguità strategiche denotano solo interessi contingenti: in diversi casi al momento la Russia è un loro utile partner commerciale, specie per il petrolio a basso costo, per gli armamenti e il supporto della Wagner, ma gli stessi interessi le situazioni possono evolvere. Un prolungamento della guerra in Ucraina nuoce anche alle popolazioni, e in ogni caso converrà a tutti ristabilire l’ordine internazionale basato sul Rule of Law. Questo dovrebbero capirlo tutti i Paesi.
Nella prospettiva di Putin dunque molto è cambiato: dopo le Risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite anche per quanto deciso alla Conferenza di Lucerna dovrà prendere atto che secondo il diritto internazionale non può “sostenere argomenti per rivendicare i territori occupati e la legittimità della sua «guerra di aggressione”. Ora che l’Occidente e una parte del Sud Globale, anche dopo le decisioni assunte al G7 di Borgo Egnazia, sono apparsi uniti su principi fondamentali per il futuro dell’umanità, Putin dovrà presto accettare di negoziare senza la pretesa di imporre le sue condizioni contrarie all’integrità dell’Ucraina.
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