La fragilità degli ayatollah
Incontri fra i dirigenti della sicurezza iraniani e statunitensi hanno il fine di bloccare la scalata militare
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Incontri fra i dirigenti della sicurezza iraniani e statunitensi hanno il fine di bloccare la scalata militare
• – Redazione
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• – Redazione
La contaminazione tra il piano giuridico e quello politico rischia di affievolire le speranze di pace
• – Redazione
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• – Redazione
A proposito del libro «Struttura luce poesia», a cura di Ariele Morinini per Casagrande
• – Redazione
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• – Aldo Sofia
Pubblicato da Salvioni Edizioni l’atteso volume che racconta l’appassionante viaggio in bicicletta attraverso l’Europa medievale compiuto da Roberto Antonini e Antonio Ferretti. Verrà presentato martedì 21 maggio alle ore 18 alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano
• – Pietro Montorfani
Il 60% dei ragazzi fino ai 30 anni crede nella Ue. Draghi più amato di von der Leyen. Le indagini condotte da Demos per LaPolis — Università di Urbino
• – Redazione
Un appello affinché torni ad essere una virtù pubblica e politica
• – Redazione
Incontri fra i dirigenti della sicurezza iraniani e statunitensi hanno il fine di bloccare la scalata militare
Certe volte i puri fatti dicono più di cento raffinate analisi. Il presidente della Repubblica Islamica di Iran, Ebrahim Raisi, che muore insieme al suo ministro degli Esteri a bordo di un elicottero americano Bell 212 concepito negli anni Sessanta, ai tempi dello scià, simboleggia la crisi del grandioso progetto rivoluzionario avviato nel 1979 da Khomeini. La carenza di parti di ricambio causa sanzioni può spiegare la meccanica dell’incidente, a meno di non cedere alle tesi complottiste che insinuano l’ipotesi dell’attentato (israeliano, s’intende). Tra queste spicca per macabro umorismo quella secondo cui alla guida dell’apparecchio vi fosse un agente del Mossad di nome Eli Copter.
Inoltre, tragiche ironie della storia a parte, il fatto che il capo formale dello Stato persiano sia stato imbarcato col brutto tempo su un pezzo di antiquariato ne conferma la modesta rilevanza per il suo stesso regime. Infine, i festeggiamenti non troppo privati che hanno salutato a Teheran e in altre città iraniane la scomparsa di Raisi, noto soprattutto per le sanguinose repressioni di cui si macchiò in più giovane età contro seguaci dello scià e oppositori vari, ci ricordano che il grado di legittimazione del regime oscilla attorno alla linea di galleggiamento.
Congiungiamo i dati simbolico, personale e popolare per trarre qualche spunto da un evento che non cambierà la storia dell’Iran. Ma non la cambierà perché sta già cambiando.
Sul piano strategico, la guerra di Gaza con le sue diramazioni che investono l’intero arco di influenza dell’Iran — dall’Afghanistan occidentale a ciò che resta del Libano e dei “territori palestinesi” passando per Iraq e Siria, fino allo Yemen degli huti e oltre — ha infranto l’implicita intesa che aveva impedito lo scontro diretto fra Israele e Iran. La sequenza scattata con la liquidazione da parte israeliana di due potenti generali iraniani a Damasco, seguita da rappresaglia persiana e controrappresaglia israeliana, è stata declassata a recitazione di atti dovuti. Vero, oggi. Ma domani? In termini simbolici — che a quelle latitudini sono questione di vita o di morte — quella tripletta annuncia la fine dell’equazione di sicurezza per cui i due nemici perfetti avevano escluso di combattersi senza intermediari. Per restaurare la deterrenza perduta, o illudersi di farlo, Gerusalemme e Teheran hanno varcato la linea rossa, preoccupandosi di non farsi troppo male, per ora. Non ne hanno ancora fissata un’altra, ma l’antica è archiviata. Peggio: è di fatto elevata al grado nucleare.
Ormai Israele, potenza atomica non dichiarata ma effettiva, si trova di fronte un’altra potenza atomica, non dichiarata ma quasi effettiva. I tecnici valutano in settimane il tempo necessario all’Iran per dotarsi di un piccolo arsenale atomico. Accadrà se e quando il gruppo di potere militare — con residuo abbellimento teocratico incarnato da fragili ottuagenari — che guida il regime vorrà infilare fra le carte alla firma di Khamenei il relativo decreto operativo. Con tanti saluti ai tabù religiosi.
Se osserviamo insieme la crisi che scuote il governo di Gerusalemme mentre ne lacera gli apparati e l’incertezza sul futuro del regime iraniano, constatiamo che una guerra atomica in Medio Oriente è ipotesi estrema però ormai inaggirabile nelle matrici di sicurezza regionali.
Questo spiega l’attivismo diplomatico americano su entrambi i fronti. Esplicito nei confronti dell’amico israeliano, di cui disapprova la tattica adottata a Gaza e non solo. Ma attivo anche nei confronti dell’avversario iraniano, anche per impedire che venga definitivamente associato alla coppia sino-russa (ieri Putin e Xi hanno subito preso contatto con il presidente ad interim Mohammad Mokhber). Incontri riservati fra dirigenti degli apparati di sicurezza iraniani e statunitensi sono ospitati in Oman. Obiettivo: bloccare la scalata militare nella regione prima che finisca fuori controllo.
La prova del nove per il regime dei pasdaran verrà dalle prossime elezioni presidenziali, da tenersi entro cinquanta giorni. Le ultime tornate elettorali, a cominciare da quella che aveva elevato l’alquanto impopolare Raisi alla presidenza — via squalifica di ogni competitore credibile — registrano tassi di partecipazione talvolta infimi, specie a Teheran. La competizione (guidata) per il successore di Raisi non riguarda la conquista di una magistratura secondaria. Investe la legittimità del regime. Ci offrirà l’autoritratto di un regime ammalato, sì, ma dalle crescenti ambizioni strategiche, sostenute da raffinata cultura imperiale.
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