La solitudine di Volodymir
Per non perdere la guerra deve dimostrare di non averla combattuta invano. E la grande incognita sono le elezioni americane
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Per non perdere la guerra deve dimostrare di non averla combattuta invano. E la grande incognita sono le elezioni americane
• – Redazione
L’avvicinamento circospetto all’indefinito, ai «mali oscuri» dell’anima, spesso attraverso il racconto dei sogni, è un motivo ricorrente nelle sue opere. Tra i più giovani a essere premiata dall'Accademia svedese, la prima coreana: «La vegetariana» è il suo libro più noto. Nel catalogo Adelphi quattro titoli: un quinto è in uscita a fine ottobre
• – Redazione
Bjørn Lomborg è il capofila della scuola di pensiero secondo la quale il cambiamento climatico non è un problema così urgente e lo dimostra con dati scientifici. Peccato che siano numeri buoni mischiati con vecchi, gonfiati, inventati
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Michele Ferrario
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• – Federico Franchini
Di Vladimiro Zagrebelsky, La Stampa Julian Assange è stato finalmente liberato dal carcere inglese ove era detenuto da oltre cinque anni. Tanta è stata l’attesa – in carcere – per...
• – Redazione
Tutto è iniziato negli anni 70 con la “strategia del tabacco”. Da allora le lobby cercano di screditare la scienza a colpi di controinformazione. Oggi il “nemico” di chi manipola i dati è l’ambientalismo
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• – Franco Cavani
Il celebre regista svizzero Milo Rau denuncia l'inquietante avanzata dell'estrema destra in Europa, e i suoi effetti sulla democrazia e le libertà artistiche
• – Redazione
Per non perdere la guerra deve dimostrare di non averla combattuta invano. E la grande incognita sono le elezioni americane
Volodymyr Zelensky giunge a Roma con un grosso peso sulle spalle. Nemmeno la cordialità nell’incontro di ieri sera con Giorgia Meloni lo nascondeva. La guerra logora. Da 31 mesi l’Ucraina è in guerra difensiva contro l’invasione russa. Solo dieci di meno di quanto durò la Grande Guerra per l’Italia (41: maggio 1915–novembre 1918) con analogo scenario di trincee, martellamenti di artiglierie e salasso di vite umane. L’Ucraina è pure sotto bombardamenti contro città, porti e infrastrutture che arrivano fino a Leopoli, come se nel ’16-17 fossero state colpite Napoli o Reggio Calabria. Tante cose sono diverse ma il raffronto aiuta a capire i sentimenti del leader di un’Ucraina più che determinata a resistere ma consapevole del costo crescente in risorse, gente sacrificata e stanchezza psicologica del suo Paese.
Per far finire la guerra l’Ucraina deve riuscire a non averla combattuta invano. Questo il dilemma del piano di pace ucraino: come porre fine alle ostilità ma garantire la sicurezza al riparo non solo da future aggressioni russe, ma anche da interferenze politiche intese a riportare l’intero Paese nell’orbita di Mosca. Zelensky dice che il documento sarà pronto a novembre. Si può immaginare un cessate il fuoco a bocce ferme, che lasci in mano ai russi il territorio che occupano senza riconoscergliene la sovranità; rinuncia territoriale di fatto in cambio di garanzie di sicurezza americane ed europee, in attesa della promessa “membership” della NATO, e dell’accelerazione dell’adesione all’Ue.
Il blitz europeo del Presidente ucraino – Londra, Parigi, Roma, Vaticano, Berlino, in soli tre giorni – ha lo scopo di convincere i principali governi europei che l’Ucraina ha un piano che “può far finire la guerra nel 2025”. I suoi interlocutori non chiedono di meglio. Primo, lo devono rassicurare. Echeggia ancora lo scandaloso discorso di Viktor Orbán a Strasburgo; non era mai successo che il Presidente di turno dell’Ue esprimesse una linea diametralmente opposta a quella di quasi tutti i governi dell’Unione. Sul piano gravano tre incognite: la tenuta militare dell’Ucraina sottoposta ad una lenta, massiccia e sistematica pressione russa che non bada a perdite pur di guadagnare manciate di territorio e di villaggi; gli aiuti militari americani, senza cui Kiev non può farcela (che gli europei possano sostituirvisi è un’illusione); la risposta russa – ad oggi, Vladimir Putin non ha mai parlato di pace se non quando tutti gli obiettivi russi siano stati conseguiti.
La tenuta dell’Ucraina non è proibitiva se non le verranno fatte mancare le armi e munizioni necessarie. A dare una mano arrivano i mesi delle piogge. Zelensky chiede insistentemente l’autorizzazione a colpire in profondità obiettivi militari russi. È esattamente quanto stanno facendo i russi contro l’Ucraina il che la mette in condizione d’inferiorità. Sorvolando sull’ostinazione del governo italiana a negarla per sistemi d’arma per i quali il problema non si pone, la luce verde dipende da Washington.
Come pure la seconda incognita: cosa farà la prossima amministrazione Usa. Le sette telefonate di Donald Trump a Vladimir Putin, di cui abbiamo notizia grazie all’impareggiabile Bob Woodward, avranno fatto correre un brivido nella schiena al Presidente ucraino. Il piano ucraino dovrà essere calibrato su quanto Kiev potrà contare in termini di appoggio americano dopo il 20 gennaio 2025. Se l’appoggio ci sarà l’Ucraina sarà in una posizione di relativa forza per proporre un cessate il fuoco a condizioni che ne facciano salva indipendenza nazionale e futura sicurezza. Putin potrebbe respingerlo ma, a quel punto, se ne assumerebbe una pesante responsabilità di fronte alla sua nazione e all’intera comunità internazionale, anche dei “neutrali”. Non ci sarebbero più “se e ma” al sostegno di Kiev.
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