Le colonne d’Ercole della destra
Se l’Europa non è più considerata un “popolo” unico
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Se l’Europa non è più considerata un “popolo” unico
• – Redazione
I fanatici di Kabul stanno per rientrare all’Onu, gli Usa si appellano a Sinwar. Quando toccherà allo Zar?
• – Redazione
In Italia la tragica morte di un immigrato irregolare fa “scoprire” la tragedia della schiavitù nell’agricoltura; una vergognosa farsa politica, a destra e a sinistra
• – Aldo Sofia
“Attento a te Ps, ti stai scavando la fossa!”. In termini coloriti ed esagerati, è questo il messaggio che l’editorialista de laRegione (Scarinci, 13.6.24) lancia al partito...
• – Martino Rossi
Il Madagascar è oggi il principale fornitore di zaffiri per le marche svizzere di gioielli e orologi, come Cartier o Gübelin. Ma lo Stato malgascio e le decine di migliaia di piccoli minatori che li estraggono difficilmente beneficiano di questa preziosa risorsa
• – Roberta Bernasconi
Ieri manifestazioni in tutta Israele per un accordo sugli ostaggi e contro il governo. E lo scrittore avverte: “Ora o mai più”
• – Redazione
I sindacati denunciano da anni, la politica non raccoglie
• – Redazione
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Tutto capita come se gli avvenimenti caotici, anche del nostro tempo, si moltiplicassero e si rafforzassero reciprocamente, fino a una forma di destabilizzazione generale del nostro sistema
• – Silvano Toppi
Il vescovo Viganò - anticonciliare e grande contestatore di papa Bergoglio - è accusato dal Sant'Uffizio di essere scismatico. Perché il pontefice ha deciso di riportare in primo piano un caso quasi dimenticato
• – Aldo Sofia
Adesso è ben chiaro che le elezioni europee invece che una resa dei conti definitiva erano soltanto il primo tempo della grande partita politica che si sta giocando sul nostro futuro. Fuori dalle urne si intrecciano tre sfide, collegate tra loro: la contesa parlamentare per il governo dell’Europa in una fase decisiva per il suo destino, quella culturale tra la destra radical-populista e la sinistra occidentale, e infine quella nazionale tra il sovranismo al potere e le opposizioni sparse. Mai come in questo caso l’Europa è il paesaggio di fondo di tutte le nostre scelte, vincolante e legittimante. Ma quale Europa?
Siamo costretti a chiedercelo, perché per la prima volta l’idea della Ue come unione sovranazionale tra 27 Paesi, basata sullo stato di diritto e sui principi della democrazia liberale, è insidiata nella sfida di vertice da un modello concorrente, quello della destra estrema. Questo progetto alternativo nega l’esistenza di un “popolo europeo”, si richiama mitologicamente all’Europa secolare di Atene e Roma per realizzare in concreto un’alleanza europea delle nazioni basata sull’identità dei popoli e sulla cooperazione volontaria degli Stati, che tesaurizzano ogni aspetto della loro sovranità, e non la cedono. Dunque non più un’Unione ma uno spazio di libera cooperazione tra nazioni sovrane, che si riappropriano di ogni potestà politica, economica, diplomatica, di difesa spogliandone la Ue, condannata a ridimensionarsi.
Silenziosamente, stanno ritornando le colonne d’Ercole, rinchiudendo nuovamente l’Europa nella dimensione domestica del Mediterraneo, prigioniera della sua geografia e privata dell’ambizione di far valere il suo accumulo di storia, agendo nelle grandi crisi del mondo come un soggetto politico, senza essere un impero. Questa volta l’interdetto ad entrare “nell’alto mare aperto” non viene dal dio fenicio Melqart che fissò il limite per gli uomini sulle due rupi di Calpe e di Abila nello Stretto di Gibilterra, ma dall’ossessione della destra estrema per ripoliticizzare gli Stati, disarmando politicamente l’Unione, negandole ogni facoltà di esprimere un’interpretazione comune dell’idea di Europa e di rappresentarla sullo scenario mondiale, secondo la maledizione geopolitica lanciata da Marine Le Pen alla Ue: “Non è uno Stato, e deve restare al suo posto”.
Una vera e propria rivoluzione, nascosta dietro la battaglia per le poltrone europee di vertice. E infatti c’è una coerenza “rivoluzionaria” nell’arrembaggio all’idea di Europa a Bruxelles e Strasburgo e nell’arroccamento domestico sull’idea di nazione da parte della nuova destra radicale. Mentre la dimensione epocale delle sfide che investono il continente (dalla crisi finanziaria alla pandemia, alla guerra) chiede di uscire dalla configurazione tradizionale degli Stati per costruire risposte e difese sovranazionali, la destra presidia le paure e le solitudini politiche recintandole nella chiusura dell’egoismo identitario, nell’avarizia dei diritti, in una nuova gelosia del welfare: trasmettendo la percezione che il futuro non può più essere condiviso, ma deve per forza essere conteso, anzi sottratto ad altri, in una competizione di sopravvivenza — dunque tragica — fondata sull’esclusione. Questa concezione che gerarchizza l’universalità dei diritti si accompagna allo scacco degli organismi internazionali di garanzia e di prevenzione dei conflitti, realizzati negli anni di pace e disabilitati dal ritorno della guerra: che ha mandato in tilt tutta la costruzione della rete di salvaguardia sovranazionale realizzata dallo slancio dell’ultima generazione “costituzionale”, quella dei nostri padri.
Adesso siamo qui, nudi ed esposti, armati soltanto degli ideali che dovrebbero costituire la nostra identità, ma che scopriamo arrugginiti nel momento di tradurli dalle parole ai fatti: intaccati dal cinismo, dallo scetticismo, da un nuovo agnosticismo democratico. Nella radicalità della sfida, che torna ai concetti basici di fondo, destra e sinistra si trovano in realtà davanti al nodo della democrazia nel nuovo secolo. Che farne? La sinistra sa che è la sua ultima bandiera ed è pronta a difenderla, però vuole valutare prima il costo, intende discutere il prezzo, si domanda se sia proprio l’Ucraina l’indirizzo giusto per questa prova di fedeltà concreta ai principi astratti di libertà e giustizia, dubita ancora che l’identità occidentale sia il porto migliore per l’approdo definitivo della sua storia travagliata, difende giustamente i diritti dei palestinesi ma non parla di Hamas, non capisce che l’antisemitismo non è un problema esclusivo degli ebrei ma del consorzio civile, dell’umanità. La destra, conquistato il governo attraverso la democrazia, vuole forzarla: non attaccarla e colpirla, ma riformularla nella sua espressione istituzionale e costituzionale, dunque nella gerarchia dei poteri, adattandola a sé, mentre il senso comune le consigliava di adattarsi allo spirito della Costituzione.
Questa partita decisiva è appena incominciata e ha come posta l’egemonia culturale, in una sola mossa. La contesa infatti è tra l’idea di Repubblica, fondata sull’eguaglianza dei cittadini nei diritti e nei doveri scritti nella Costituzione, e l’idea di Nazione come custodia etnico-genealogica di una comunità di discendenza, dunque di sangue. Due concezioni contrapposte, da cui derivano due diverse interpretazioni dello Stato e del Paese. Per la destra la Costituzione è un’incompiuta: non solo è segnata dalla religione civile dell’antifascismo, ma è preoccupata più di armonizzare il gioco dei diversi poteri che di realizzare la summa potestas, cioè il libero e pieno esercizio di comando del vincitore delle elezioni. E’ questo limite supremo la vera ossessione della destra, quasi che partendo dalla geografia fosse giunta oggi davanti alle colonne d’Ercole della democrazia, convinta che al di là c’è un tesoro politico nascosto, una riserva mitologica di potere supplementare e risolutivo, ciò che manca oggi nella dotazione legittima del premier per poter mantenere le sue promesse.
Per raggiungere questo obiettivo non basta una riforma, serve una frattura. Se è possibile doppia, in Europa facendo marcia indietro verso la resurrezione degli Stati, depotenziando l’Unione, e in Italia perfezionando l’unione mistica tra il popolo e il leader, sovraordinandolo comunque, non importa come, agli altri poteri. Perché ciò che la destra vuole realizzare, dopo il cambio di governo, è un cambio di sistema, a Roma e a Bruxelles. Bisogna saperlo, per trasformare ogni atto politico in un grande referendum permanente sul destino liberal-democratico della democrazia europea
L’Isis rischia di aprire un terzo fronte sullo scacchiere mondiale dopo quello in Ucraina e a Gaza
Raccolte in un volume le dichiarazioni pronunciate dagli imputati nei processi politici svoltisi in Russia