Erosione
Non molto dopo la promozione da parte di Montesquieu della separazione dei tre poteri fondamentali dello stato, si è riconosciuto anche alla stampa l’importanza per il buon funzionamento della democrazia. Sono ormai passati trecento anni da allora, le democrazie si sono evolute confermando le idee del barone di La Brède, e i mezzi di comunicazione sono diventati sempre più importanti. Non vi è però ragione per cui i quattro poteri garanti della buona salute democratica persistano indefinitamente. Di fatto, osserviamo una loro erosione.
La partecipazione alle urne è in calo, e una larga fetta della popolazione non si sente più rappresentata correttamente dalla classe politica. In Svizzera poi, molto spesso l’iniziativa legislativa proviene dall’amministrazione, e l’esecutivo non esita ad affermare il suo potere varando ordinanze. Di riflesso, l’esecutivo è sorvegliato a vista dal legislativo. A queste frizioni interne alla politica bisogna aggiungere l’azione insistente di lobbysti e potenti difensori di interessi particolari, che aggiungono complessità e opacità ai giochi di palazzo.
La giustizia ha guadagnato potere dalla fondazione della Confederazione, e il Tribunale federale è perfino diventato un attore politico, che con le sue decisioni senza appello ha imposto il modo di procedere in diversi ambiti, che vanno dalla protezione dell’ambiente, al diritto di voto femminile, passando per le pratiche di naturalizzazione. Ma – forse anche per questo – troppo spesso la politica non dà al potere giudiziario i mezzi necessari perché svolga correttamente il suo lavoro.
Mi sembra, però, che dei quattro poteri quello che sta soffrendo maggiormente è il quarto. Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione elettronici, è stato sovvertito il funzionamento della pubblicità, e le fonti di informazione si sono moltiplicate. Questo ha messo in crisi il finanziamento dei media classici – stampa, radio e televisione – e li ha pure obbligati a confrontarsi con una richiesta di fruizione à la carte sul modello delle reti sociali. Indeboliti e sempre più dipendenti dai loro finanziatori, molti media subiscono attacchi che potrebbero portarli a scomparire. Il giornalismo di inchiesta si fa raro e poche sono le testate che possono offrire regolarmente approfondimenti su temi che non riguardano la cronaca quotidiana, come per esempio quelli scientifici. Questo rende i media ancora più vulnerabili, al punto che alcuni cercano di far credere che presto i giornalisti potranno essere sostituiti da macchine.
Come se questa erosione di ognuno dei poteri non bastasse, assistiamo in questi giorni a diverse scaramucce, che potremmo anche trascurare, se non fosse per lo sfondo appena abbozzato. Credo invece che indichino un pericolo per le nostre istituzioni.
Il siparietto dei roditori di Strasburgo
Il 9 aprile 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato la Svizzera per violazione dei diritti umani, visto che – così dice la sentenza – il nostro Paese non fa abbastanza per la lotta contro il cambiamento climatico. La maggioranza dei nostri parlamentari ha denunciato un’invasione di campo da parte dei giudici di Strasburgo, che rosicchierebbero così il nostro potere politico. Sì, perché siamo esemplari per quel che riguarda il controllo delle emissioni di gas a effetto serra. Malgrado un aumento della popolazione del 22%, dal 1990 abbiamo ridotto queste emissioni del 19%, e abbiamo quindi essenzialmente rispettato gli impegni presi nell’ambito del Protocollo di Kyoto, che implicavano una riduzione del 20%. Bravi tutti, e soprattutto bravi i proprietari di immobili, che hanno fatto bene la loro parte! Insomma, a Strasburgo non si è data la necessaria attenzione a tutti gli sforzi profusi in questi ultimi trent’anni.
Vi sono però altre cifre che spiegano il grande divario che resta da colmare: nel 2022, le emissioni di CO2 pro capite in Svizzera ammontavano a 12 tonnellate, quando la media mondiale si situava un po’ sotto alle 5 tonnellate; gli Stati Uniti erano a 15, la Germania a 9, l’Italia e l’Austria a 7, la Francia a 6, ecc. Di fatto non abbiamo un piano chiaro per arrivare a rispettare gli obiettivi che ci siamo fissati aderendo agli accordi di Parigi del 2015. Le leggi che abbiamo votato non sono abbastanza precise, e forse l’averlo sentito dire dalla CEDU non è piaciuto. Purtroppo non basterà produrre più energia elettrica pulita, visto che importiamo il triplo delle emissioni che produciamo.
È vero che è strano associare diritti umani e cambiamento climatico, anche perché sembrerebbe che malgrado le canicole degli ultimi anni la speranza di vita aumenta, e quindi i senior non dovrebbero avere di che lamentarsi. Ma perché non sarebbe bastato prendere atto della decisione della CEDU senza commentarla, e inviare un funzionario a Strasburgo a spiegare il nostro operato, impegnandoci a fare ancora meglio in futuro, come già promesso? Perché una larga parte della politica ha infierito, alimentando la sfiducia in un’istituzione della quale siamo membri? Mi sembra chiaro che, oltre a nascondere le proprie insufficienze, si è cercato di creare un po’ di confusione per far planare lo spettro di un’ingerenza generica da parte dell’Unione Europea nei nostri affari.
L’importanza del terzo potere
Analogamente a quanto appena discusso, in Corea del Sud, 62 bambini di meno di 5 anni, rappresentati dai loro genitori, hanno portato davanti alla Corte costituzionale il loro governo, perché stimano che non faccia abbastanza per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.
Il 30 maggio 2024, lo Stato del Vermont ha promulgato una legge che intende far pagare alle (grandi) imprese petrolifere le conseguenze del cambiamento climatico di cui sono responsabili. Si prospettano aspre battaglie giuridiche per tradurre in pratica questa volontà politica.
Questi esempi mostrano come il potere giudiziario possa funzionare in maniera complementare e sana, rispetto ai poteri politici. Il ricorso alla CEDU è stato possibile solo dopo che l’associazione delle “Anziane per il clima” aveva esaurito le vie di ricorso in Svizzera. Il principio generale che si debba cercare di mettere ordine in casa propria, prima di fare appello a una giurisdizione superiore, è fondamentale. È questo principio che ha legittimato l’entrata in materia della Corte internazionale di giustizia riguardo alla situazione in Palestina, come pure quella della Corte penale internazionale riguardo alle responsabilità dei leader israeliani e palestinesi per quel che succede a Gaza.
La complementarità dei poteri sta giocando appieno anche in Argentina, dove un giudice ha intimato al governo di Milei di distribuire 5.000 tonnellate di beni di prima necessità a mense per i poveri e ad asili nido, ai quali erano destinati, piuttosto che all’esercito. Abbiamo tutti sentito dei processi che implicano Trump. Forse non è un caso che siano politici che governano con uno stile—diciamo—berlusconiano a finire davanti ai tribunali. Questo stile è stato qualificato recentemente da un biografo del Cavaliere come quello dell’eccesso, dell’andare fuori misura. Figuriamoci quindi cosa un tale politico può pensare di un’istituzione il cui ruolo è di far rispettare le leggi.
In questo contesto generale, le tensioni ticinesi tra politica e giustizia possono sembrare non degne di troppa attenzione. Eppure c’è chi nei problemi apparsi con le nomine dei procuratori, nelle accuse incrociate tra giudici, e nelle prese di posizione del Direttore del dipartimento delle istituzioni e del Presidente uscente del Tribunale d’appello vede una situazione molto critica, e un’erosione della fiducia nella giustizia, o perlomeno una riduzione del suo rilievo simbolico.
Il ruolo del quarto
Quanto descritto fino a qui è desunto per l’essenziale da una lettura regolare di una mezza dozzina di quotidiani svizzeri. Si potrebbe quindi dire che da noi la stampa sembra poter svolgere il suo ruolo correttamente. È una misura della qualità del dibattito democratico che questa possibilità esista. (Così forse la migliore prova che per esempio Israele sia effettivamente una democrazia è che un giornale come Haaretz possa continuare a esistere).
Eppure, i media sono sotto pressione. Alcuni sono ormai in mano a potenti interessi privati, si pensi ai media del miliardario Bolloré in Francia, che in questo momento festeggiano le vittorie del partito della Le Pen alle quali hanno contribuito, o alla Fox News filo-Trump di Murdoch. Anche nel nostro piccolo possiamo osservare pressioni esercitate da chi detiene un potere economico. L’ultima di un certo rilievo in ordine di tempo è quella che ha subito Ringier da parte di Migros, dopo che nel Blick era apparso un articolo che criticava il “gigante arancione” a seguito della pubblicazione dei suoi non brillanti risultati del 2023. È proprio perché già subiscono questo tipo di pressioni, che la politica dovrebbe sostenere i media, e non infierire contro di loro con iniziative come quella che prevede una drastica riduzione del canone radio-televisivo. Per non parlare del comportamento deplorevole di singoli politici che non sopportano i giornalisti del servizio pubblico che … fanno il loro lavoro come si deve.
La situazione del servizio pubblico radio-televisivo è ormai diventata molto difficile, quasi impossibile: ogni critica, anche fondata e costruttiva nei suoi confronti viene ormai utilizzata per giustificare un suo ridimensionamento. Se per esempio dedica troppe ore alla copertura della recente esercitazione della nostra aviazione militare sulla A1, non va bene perché così fa propaganda all’esercito. Se dà risalto alla scoperta di una tomba con iscrizioni naziste in un cimitero di Coira, non va neppure bene perché disturba il nostro quieto vivere. Eccetera.
Ci sono ancora diversi media in Svizzera che svolgono un ruolo importante per il buon funzionamento della democrazia, al di là del fornire notizie rilevanti e verificate. Così per esempio un servizio dell’emittente locale TV Léman Bleu ha recentemente spinto a guardare da vicino le spese di campagna di una Consigliera di Stato ginevrina, e il quotidiano on-line Republik ha effettuato una serie di approfondimenti sulle pratiche di sorveglianza di massa vigenti nel nostro Paese. Altri, danno spazio alla satira: il vallesano Le Nouvelliste ha per esempio ripreso un “cruciverba sovversivo” in cui diversi partiti e aziende sono definiti in modo poco ortodosso; La Regione ha dal canto suo pubblicato un arrangiamento della canzone di Enzo Jannacci “Ho visto un re”, ispirato dal fatto che – come ha detto un suo fan – un senatore ticinese ha “asfaltato” un giornalista.
Mi rode dentro
Non si insiste però abbastanza sull’importanza dei diversi poteri istituiti. Il che non esclude di mantenere un’attitudine critica nei loro confronti, richiedendo che ognuno nel suo ruolo non perda di vista che se può svolgerlo è per servire l’interesse generale. In particolare, se governanti, parlamentari, giudici, o giornalisti hanno il privilegio di esercitare il loro potere, non è per servire interessi economici. È questo che mi rode dentro: che sotto sotto sia questo potere non numerato ad avere la prevalenza. Di indizi che confermino questa tesi mi sembra che ve ne siano abbastanza.
Vorrei anche generalizzare il proposito di una studentessa appena apparso su La Regione: c’è troppo rumore silenzioso. Il peggio è quello di cui non si parla, l’assenza di coraggio nell’affrontare questioni di fondo in maniera tranquilla e ponderata, ribadendo i principi che stanno alla base del buon funzionamento della nostra società.
C’è chi ha detto che la reazione di Berna nei confronti di Strasburgo abbia siglato un bell’uno a zero per la democrazia. Altri, al contrario, pensano che abbia minato la democrazia e i diritti dell’uomo. Ci si può felicitare che vi sia dibattito sulla questione. Ci sono però anche tanti temi di cui non si parla abbastanza, e certi siparietti prendono troppo spazio, occultando cose importanti. Forse è anche per questo che si vota e ci si informa di meno. Intanto, il consumo aumenta.
Nell’immagine: la Rivoluzione francese, fucina dei princìpi delle democrazie liberali