Pechino 2022 nell’anno della tigre: d’acqua, di carta, dai lunghi artigli?
Aperti i Giochi invernali, la sorpresa cinese e il cammino della storia
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Aperti i Giochi invernali, la sorpresa cinese e il cammino della storia
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Aperti i Giochi invernali, la sorpresa cinese e il cammino della storia
Nell’“Anno della Tigre d’Acqua”, la Cina, da molti considerata come la futura massima Potenza Mondiale, non si sa quanto tenera, ha fatto di tutto per dare un’immagine di grandezza, ma anche di rispetto per gli altri con una cerimonia di altissimi contenuti, un son et lumière fine, poetico, elegante, basato sui cicli della natura, diverso dal solito “glamour” hollywoodiano; paragonabile a quella che lo stesso regista, Zhang Yimou, mise in scena nel 2008. Zhang Yimou ha un ricordo indelebile del Ticino: nel 1987 vinse a Locarno con “Sorgo rosso” a cui fece seguito “Lanterne rosse”.
Figlio di un funzionario di Chang Kai-shek, malvisto dal nuovo potere della Repubblica popolare, povero al punto da vendere il suo sangue per comperare una cinepresa, fu osteggiato sino al trionfo di Locarno.
Nel 2008 i telecronisti di tutto il mondo sono testimoni di un contenzioso passato “all’acqua bassa”. Zhang ci presenta la Cerimonia che partirâ con 8 colpi di cannone alle 8 e 08 di sera, il giorno 8 dell’ottavo mese dell’anno, in onore al numero 8, portafortuna per i cinesi: inizio” toppato” dalla sola RSI che aveva mal calcolato la durata dell’inserto pubblicitario.
Zhang preoccupa i cronisti con la durata della banda militare: 9 minuti. Ci mettiamo d’accordo per una protesta formale: è troppo, non siamo a una parata dell’esercito.
Zhang dà un’occhiata all’alto funzionario che gli sta al fianco, e dice: i 9 minuti restano, quando la Cina è rientrata a Los Angeles nel 1984, la fanfara di 800 membri è stata in scena altrettanto a lungo.
Bene: alla prova dei fatti, l’esibizione dell’Esercito Popolare è ridotta a metà! 14 anni dopo i militari (che con i Giochi Olimpici non c’entrano nulla, ma bisogna tollerarli) si limitano a rendere onore alla bandiera olimpica con tanto di passo dell’oca.
Nel 2008 la Cina basò la cerimonia sulle sue grandi invenzioni: la carta, la stampa, il compasso, la polvere da sparo, e sull’armonia, precetto del confucianesimo, osteggiato dal regime comunista, ma riproposto per l’occasione.
Questa volta la massima è “assieme”, secondo il motto del dominicano Henry Didon ripreso da De Coubertin: citius, altius, fortius: non per imporre il proprio “ordine” agli altri: ma per essere, assieme, più veloci, più in alto (in tutti i sensi), più forti.
Together. Assieme ai 19 brani musicali di tutto il mondo, assieme a John Lennon: immaginatevi un mondo senza più guerre, e che non sia un sogno… Assieme ai 76 gruppi etnici della Cina, uiguri compresi. Compresi a tutti gli effetti, pare di no, ma i cinesi negano che siano discriminati. Assieme ai campioni di domani che fanno i primi passi, o piuttosto i primi capitomboli, con un sensazionale cagnolino, ammaestrato immaginiamo, che si mette a scavare la neve. Assieme soprattutto, ed è un “classico” di Zhang Yimou, a 400 bambini che, incredibilmente, cantano in greco l’inno olimpico di Kostas Palamas musicato da Spyros Samaras per i Giochi resuscitati da De Coubertin nel 1886: “antico spirito immortale/ fonte pura del bello, del grande e del vero/ ogni popolo al tuo Tempio accorre/ ogni popolo/ oh antico spirito immortale/ ogni popolo.
I popoli accorsi a Pechino sono 92 contro i quasi 200 delle Olimpiadi estive.
La maggior parte degli umani i piedi li appoggia sulla nuda terra, non sul ghiaccio e sulla neve.
Con il pensiero rivolto ai molti conflitti in atto e potenziali, Thomas Bach ricorda la tregua sacra dei greci, la ekecheiria, decretata da tutti i membri dell’Onu: anche da quelli che preparano la guerra.
Siamo fatti così. Non per questo va tolta alla gioventù la meravigliosa storia dei Giochi, dove il vincitore non umilia e non uccide lo sconfitto.
La cerimonia si chiude come ha avuto inizio: nel segno della poesia, della grazia: la fiamma olimpica è accesa al centro di un grande fiocco-cristallo di neve composto da 91 particelle: come le nazioni partecipanti, da quelle possibili a quelle impossibili, come chi è rappresentato da qualche studente di stanza in Europa, anche nel canton Ticino, e in qualche modo scia. Conta l’idea: accomunare i popoli.
Speriamo che alla bellezza della teoria faccia seguito il bello dei fatti.
Certo è che nessuno, a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, durante la guerra dell’oppio e la rivolta dei “boxer”, avrebbe immaginato in poco tempo un tale progresso ad opera di un Paese smembrato, sbranato da un’orda di cani affamati nelle ultime fasi di un Impero millenario, morente in tutti i sensi, con un’unica eccezione: l’imperatrice e poi reggente Ci Xi, concubina del grado più basso, il quinto, arrivata al trono per aver partorito un figlio maschio: aveva scritto alla Regina Vittoria: “lei come madre, non piangerebbe nel vedere i suoi figli distrutti dall’oppio?”. Gli inglesi avevano obbligato i cinesi a commerciarlo con due precisi intenti: fare soldi e indebolire la resistenza del popolo.
Inghilterra, Stati Uniti, Germania, Austria-Ungheria, Francia, Australia, Italia e Belgio avevano occupato e lacerato la Cina, a cui fu sottratta Hong Kong.
Ora la Cina siede al tavolo dei Grandi da pari a pari: qualcuno dice in attesa di essere la più grande: se e come, ce lo dirà, a breve, la Storia.
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