L’ombra di Navalny perseguita Putin
Un gruppo di medici russi, ma anche alcune inchieste giornalistiche, contestano ancora la versione ufficiale della morte in carcere dell’oppositore più importante per il capo del Cremlino
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Un gruppo di medici russi, ma anche alcune inchieste giornalistiche, contestano ancora la versione ufficiale della morte in carcere dell’oppositore più importante per il capo del Cremlino
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Un gruppo di medici russi, ma anche alcune inchieste giornalistiche, contestano ancora la versione ufficiale della morte in carcere dell’oppositore più importante per il capo del Cremlino
Nella Russia che anche molti giornalisti occidentali considerano normalizzata, il cadavere di Alexey Navalny continua a far paura al potere.
La scorsa settimana, durante la notte, in diverse città sono state effettuate perquisizioni e fermi nei confronti di alcuni medici. A Ryazan è stata arrestata l’operatrice sanitaria Ekaterina Terekhina, che partecipava a una “chat room” in cui alcuni medici discutevano della necessità di sostenere i colleghi arrestati perché firmatari di un appello per fare luce sulle circostanze della morte in prigione lo scorso 16 febbraio del leader dell’opposizione russa. L’azione repressiva sarebbe ancora in corso, e si attendono nuovi sviluppi nei prossimi giorni.
La retata dei servizi russi è da collegare alla coraggiosa richiesta sottoscritta nell’agosto scorso da 188 tra medici e paramedici, indirizzata al Comitato Investigativo, e anche direttamente a Vladimir Putin: in essa si chiedeva l’apertura di un’accusa penale contro ignoti in relazione alla morte di Navalny. “È evidente che la morte di Navalny è stata causata dalla negligenza dei dipendenti dell’Amministrazione carceraria”, si leggeva nell’appello.
Gli autori della lettera facevano riferimento alla sentenza della commissione investigativa di qualche settimana prima, in cui veniva sostenuto, abbastanza curiosamente, che la morte del dissidente moscovita era stata dovuta a “cause naturali”. Nel documento si sosteneva inoltre che la causa del decesso di Navalny nella colonia penale era dovuta alla combinazione di una serie di fattori quali “ipertensione con danni vascolari e a vari organi, miocardiosclerosi diffusa, complicata dallo sviluppo di edema cerebrale, fibrillazione ventricolare del cuore, edema polmonare”.
Secondo i medici sottoscrittori dell’appello però questi disturbi si sviluppano normalmente in seguito a una prolungata “ipertensione con un marcato aumento della pressione sanguigna”. “Tuttavia, ad Alexey – si leggeva nella dichiarazione – non era stata prescritta una terapia ipotensiva, ed è stato in seguito regolarmente inviato in isolamento punitivo, nonostante le controindicazioni mediche esistenti”, che alla fine hanno portato, secondo la risoluzione presentata, “allo sviluppo di complicazioni minacciose dell’ipertensione, come l’edema polmonare, l’edema cerebrale, la fibrillazione ventricolare e la morte”.
I medici firmatari, che vivono ancora in gran parte in Russia, avevano accusato di fatto il leader del Cremlino di essere dietro la morte precoce del leader liberale: “Anche se ipotizziamo che la causa della morte di Navalny non sia stata violenta, Lei [Putin, ndr] ne è responsabile, perché ha ignorato il parere degli esperti della comunità medica sul pericolo di morte rappresentato dalle condizioni di detenzione di Alexey”, avevano concluso gli autori della denuncia.
Il 26 luglio, la moglie del dissidente russo, Yulia Navalnaya – che tra poche settimane presenterà in volume le memorie del marito che escono in molte lingue, italiano compreso, contemporaneamente – aveva ricevuto, da parte dall’investigatore Alexander Varapaev, il referto della morte del congiunto in cui si rifiutava l’apertura di un caso penale.
Navalnaya afferma però che il coniuge non aveva avuto alcuna malattia cardiaca nella sua vita. I medici a cui la vedova ha mostrato la diagnosi hanno concluso che il corpo del marito era stato sottoposto ad autopsia, ma, non avendo voluto appurare nulla, hanno parlato di aritmia “pur di scrivere qualcosa”.
Yulia, tra l’altro, continua a richiedere gli effetti personali di Alexey, che non gli sono stati ancora restituiti. “Non ci danno i vestiti, i libri, i quaderni e i taccuini con i suoi appunti; non ci danno nemmeno la croce che portava al collo. La spiegazione può essere una sola. L’unica. È stato ucciso e ora stanno cercando di non farci accedere alle prove”, ha concluso amara Yulia Navalnaya. Il 29 settembre scorso, il portale russo d’opposizione “The Insider” ha sostento che secondo il giudice istruttore l’oppositore russo aveva lamentato dolori allo stomaco, convulsioni e vomito poche ore prima della morte. “Il 16 febbraio, il detenuto Navalny A. A. – si legge nel documento – mentre si trovava nel cortile del carcere, ha avvertito un forte peggioramento della sua salute e dopo essere stato portato all’interno, il detenuto si è sdraiato sul pavimento, ha iniziato a lamentare un forte dolore nella zona addominale, ha iniziato a espellere il contenuto dello stomaco, ha avuto convulsioni e ha perso conoscenza, cosa che è stata immediatamente riferita al personale medico del penitenziario”. Il sito ha anche pubblicato un inventario degli “oggetti sequestrati”, che comprende anche “campioni di vomito”, che vennero consegnati per essere esaminati.
Secondo il rianimatore Alexander Polupan, che aveva curato Navalny in un ospedale di Omsk dopo l’avvelenamento da Novichok nel 2020, “la causa ufficiale della morte – disturbo del ritmo cardiaco – non spiegherebbe in alcun modo i sintomi che leggiamo nella sentenza: dolore acuto all’addome, vomito e convulsioni. Questi sintomi difficilmente possono essere spiegati da qualcosa di diverso dall’avvelenamento”. Altri medici intervistati da “The Insider” concordano con le conclusioni di Polupan.
Così, secondo questa accusa, il secondo tentativo di eliminare l’oppositore russo per mezzo di un veleno sarebbe infine riuscito quando il detenuto era ormai pienamente sotto controllo del potere repressivo e quando il veleno sarebbe potuto essergli facilmente somministratogli con i pasti. Tutte informazioni che ovviamente i mass-media russi si guardano bene dal fornire per mantenere la propria opinione pubblica nella confort zone dell’idea che Navalny sarebbe morto per “cause naturali”.
La pianificazione dell’eliminazione di Navalny, del resto, iniziò già ben prima del 2020, afferma il quotidiano spagnolo “El Mundo”,sulla base di informazioni raccolte dai servizi segreti polacchi. Secondo questo dossier il giornalista spagnolo Pablo González avrebbe lavorato come agente russo per quasi un decennio, raccogliendo informazioni su Navalny, oltre che su vari gruppi di opposizione russi e bielorussi. González, imprigionato dalle autorità polacche con l’accusa di spionaggio, è stato rilasciato e spedito a Mosca all’inizio di agosto in quello che è stato considerato “il più grande scambio di prigionieri dai tempi della guerra fredda”.
Secondo quanto venuto a galla, il “giornalista” avrebbe anche informato il GRU (l’intelligence militare) sulla “questione dei processi di adesione degli Stati post-sovietici” e sugli “atteggiamenti dei membri e aspiranti membri della NATO nei confronti della Russia”, a riprova che le attività della spia non avevano solo finalità legate alla politica interna russa ma erano volte a destabilizzare anche il quadro europeo.
Inevitabilmente, come se vede, l’ombra di Navalny e della sua misteriosa morte è quindi destinata a restare un elemento chiave della politica russa. Da una parte chi si oppone alla guerra in Ucraina vuole non solo perpetuarne la leggenda, ma vuole costruire attorno alla sua figura una narrazione dell’“alternativa possibile”; dall’altra il governo continuerà a tentare di sradicare ogni velleità tra chi guarda al suo esempio per immaginare nel futuro una transizione democratica in Russia.
Nell’immagine: Navalny incarcerato
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