Di Vladimiro Zagrebelsky, La Stampa
Il ruolo che possono utilmente svolgere i giudici internazionali, per dare concreto effetto alla assunzione da parte della Comunità internazionale della responsabilità di prevenire e reprimere i più gravi crimini di guerra e contro l’umanità, è stato ed è tuttora controverso. Contro il modo di lavorare che è proprio di qualunque giudice – applicare le norme giuridiche ai fatti accertati – si oppone il vantaggio della duttilità propria dell’agire politico, che può arrivare addirittura a garantire salvacondotti a chi si sia reso responsabile di quei crimini. Utile o dannoso l’intervento dei giudici? Vi sono argomenti in vario senso, ma, per iniziativa delle Nazioni Unite, la scelta è stata fatta nel 1998 con lo Statuto di Roma, che ha istituito la Corte penale interazionale.
Sono 123 gli Stati che l’hanno ratificato. Vi sono importanti rifiuti. Tra gli altri non hanno accettato di partecipare al sistema della Corte, gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, la Turchia, Israele, l’India, Pakistan: i governi più potenti. Importanti e concreti intralci al funzionamento della Corte nel corso del tempo sono venuti dagli Stati Uniti e dalla Russia. Quest’ultima ha addirittura minacciato i giudici della Corte che hanno ordinato l’arresto di Putin. E questa volta la Corte penale internazionale e il suo Procuratore sono stati oggetto di minacce, il cui contenuto non è noto, ma deve essere grave se è stato necessario farne oggetto di pubblica denuncia. La dichiarazione pubblicata dal Procuratore rende noto il quadro di prove e i crimini che si presentano ora alla valutazione dei giudici; nel contesto delle minacce ricevute, la pubblicità data serve anche a proteggere la procedura e i giudici.
Per la credibilità del diritto internazionale umanitario e per il sistema internazionale di giustizia, sarebbe drammatico che l’impegno preso dagli Stati venisse ora ignorato o addirittura trasformato in una accusa di insensibilità o faziosità politica rivolta al Procuratore e ai giudici della Corte penale internazionale. Il colpo sarebbe forse definitivo: in campo, con le loro pretese di immunità, rimarrebbero solo i governi più potenti (e aggressivi). In passato sono state rivolte alla Corte penale internazionale accuse di occuparsi solo dell’Africa e di numerosi governanti africani. Il lavoro di indagine svolto dal Procuratore della Corte penale internazionale e le conclusioni che lo hanno portato a richiedere ora alla Corte di emettere mandati di arresto per assicurare la presenza degli imputati al processo, dimostrano che quelle accuse di parzialità e discriminazione non erano fondate. È in corso un conflitto che vede impegnato il Procuratore della Corte penale internazionale ad indagare crimini internazionali da una parte e dall’altra. La Corte penale internazionale giudica persone, non Stati, e la responsabilità penale è personale. Con l’istituzione della Corte penale internazionale – che generalizza l’esperienza fondamentale dei processi di Norimberga e Tokio – è stata esclusa ogni forma di immunità legata alle funzioni di vertice statale svolte dai responsabili dei crimini elencati dallo Statuto della Corte. Si tratta di una Corte diversa dalla Corte internazionale di giustizia, che invece giudica il comportamento degli Stati. Davanti a quest’ultima Corte pende un procedimento, allo stadio preliminare, in cui è stata prospettata e non esclusa la commissione di genocidio da parte dello Stato d’Israele. Dal comunicato del Procuratore apprendiamo che le sue richieste di mandati di arresto riguardano tre capi di Hamas, nonché il primo ministro israeliano Netanyahu e il ministro della difesa Gallant. L’elenco dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità contestati agli uni e agli altri sono diversi ma tutti di estrema gravità. Ai capi di Hamas con riferimento ai fatti del 7 ottobre 2023 e successivi, si contestano i crimini di guerra e contro l’umanità di sterminio, omicidio, presa ostaggi, violenze sessuali e torture contro gli ostaggi.
Ai governanti israeliani, il Procuratore contesta i crimini di guerra e contro l’umanità di aver affamato la popolazione di Gaza come metodo di guerra, di aver commesso omicidi e stragi di civili, di aver inferto danni fisici e alla salute della popolazione civile, di aver compiuto persecuzione di un’intera collettività causandole gravi sofferenze. Fatti tutti da inquadrare in una punizione collettiva della popolazione civile, unitamente allo scopo di eliminare Hamas e liberare gli ostaggi.
È difficile dire se il grave punto di arrivo della indagine del Procuratore e la decisione che seguirà da parte dei giudici, servano alla pace. Sarebbe però gravissimo che gli Stati (e l’Unione Europea) non dessero peso e conseguenze ai fatti che il Procuratore espone e ai crimini corrispondenti. Il sistema internazionale di giustizia verrebbe messo nel nulla. Mentre forte è l’esigenza esposta dal Procuratore in chiusura del suo comunicato, che “le leggi internazionali umanitarie, fondamento della condotta umana durante i conflitti, si applichino in modo eguale a tutti gli individui… Ciò proverà tangibilmente che le vite di tutti gli esseri umani hanno egual valore”.
Nell’immagine: la sede della Corte penale internazionale, all’Aia