Piazza della Loggia, le parole non dette
Sembra quasi impossibile che il vertice governativo si sia mostrato reticente, e riluttante a nominare apertamente la matrice fascista della strage
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Sembra quasi impossibile che il vertice governativo si sia mostrato reticente, e riluttante a nominare apertamente la matrice fascista della strage
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Sembra quasi impossibile che il vertice governativo si sia mostrato reticente, e riluttante a nominare apertamente la matrice fascista della strage
C’è qualche cosa di triste nella difficoltà manifestata dalla presidente del consiglio a partecipare alla riflessione pubblica che nel nostro paese ha accompagnato il 50º anniversario della strage di piazza della Loggia a Brescia. Una riflessione alla quale naturalmente ha dato il via con la propria autorevolezza il capo dello Stato che ha ben sottolineato come si sia trattato di un episodio fra i più efferati di una strategia della tensione volta a minare le fondamenta morali e per conseguenza politico-istituzionali della Repubblica democratica. Una strategia indubitabilmente di destra, fascista, nella ideazione e nell’esecuzione.
Riconosciuta e ricordata in quanto tale, cioè con questa matrice e con queste finalità,la strage di piazza della Loggia fa parte dell’identità italiana. Superato il pericolo immediatamente politico da essa rappresentato, come da altri stragi di analoga matrice, non è superata la sua efficacia nella memoria collettiva, a rafforzare le motivazioni ideali della nostra coesistenza civile. Da questo punto di vista, il dramma di Brescia è patrimonio comune di tutta Italia.
Ora, sembra quasi impossibile che il vertice governativo si sia mostrato reticente, e riluttante a nominare apertamente la matrice fascista della strage. Generando così quasi altrettanto sconcerto che se fosse rimasto in silenzio, come inizialmente si era temuto. D’accordo, il governo non ha la funzione di rappresentare l’unità nazionale. È una istituzione politica, quindi di parte in quanto gode della fiducia della maggioranza del parlamento. È suo diritto interpretare e condurre l’azione governativa secondo specifiche e peculiari linee ideologiche e operative. Tuttavia, particolarmente da un governo che fonda la propria politica sopra la rivendicazione dell’identità italiana, dell’orgoglio nazionale e della tradizione patria, ci si aspetta una piena adesione ai punti di svolta, ai momenti critici, alle sfide più drammatiche da cui quell’identità, quella tradizione, sono state messe alla prova. Ci si aspetta insomma la capacità di interpretare la storia d’Italia secondo una direttrice e in una cornice adeguata all’impianto costituzionale e ai valori repubblicani e democratici che si sono iscritti. Tanto più che su episodi come la strage di piazza della Loggia è ben difficile che vi siano punti di vista alternativi o rivendicazioni di un qualche suo significato politico positivo. Non c’è spazio per la controversia politica a questo riguardo.
La sconcertante lontananza dei vertici del governo dalla comune e condivisa sensibilità storica della democrazia italiana non può nascere dall’adesione ideologica al fascismo storico, per evidenti motivi di distanza temporale e di assoluta diversità delle condizioni storico politiche; e naturalmente non può nemmeno essere motivata dalla vicinanza operativa con le frange fasciste che furono la manovalanza degli anni Settanta, al servizio di poteri antidemocratici. No; si tratta semmai di una lontananza culturale, di una malcelata separatezza dal cammino democratico del paese, e quindi anche da una debole partecipazione alle tragedie che l’hanno segnato. Una sindrome da stranieri in patria, insomma, da cui lentamente gli eredi della destra prima neofascista poi post fascista infine afascista si sono detti liberati, ma evidentemente non del tutto, come se la loro provenienza da lontano non permettesse di aderire pienamente alle gioie e ai dolori della Repubblica democratica. Come se al governo della Repubblica ci fossero donne e uomini politici che con la Repubblica non si identificano pienamente. Come se la fedeltà al passato — all’esilio interno della prima Repubblica, all’esclusione subita con rabbia e orgoglio — non passasse mai.
È per questo motivo, per questa estraneità, che l’antifascismo come parola, prima che come valore, non rientra nel lessico politico della destra al governo. Ed è per questo motivo che una strage fascista non ha in questo governo la risonanza che dovrebbe avere. Un’occasione sprecata per storicizzare il proprio passato, per affermare con un gesto e con una parola un’identità politica di destra sì, ma lontana dal neofascismo. Cioè conservatrice, come si proclama oggi FdI. Il giorno anniversario della strage di piazza della Loggia poteva — doveva — essere utilizzato per una riconciliazione con la storia democratica di tutto il paese. Perché non è ancora il momento?
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