Svizzera – Israele: tra neutralità e complicità sistemica
La lunga e non sempre edificante storia dei rapporti militari fra i due Paesi - Di Tobia Schnebli
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La lunga e non sempre edificante storia dei rapporti militari fra i due Paesi - Di Tobia Schnebli
Appena quattro giorni dopo gli efferati attacchi militari dello Hamas del 7 ottobre, che certamente includono gravi crimini di guerra, il Consiglio federale propone di mettere al bando Hamas come organizzazione terrorista, un’opzione respinta appena due anni prima dal parlamento. Interrogato il giorno dopo da Le Temps sul possibile ruolo di mediatore della Svizzera per fermare la guerra a Gaza, che già si profilava devastante, il Consigliere federale Ignazio Cassis rispondeva «Non è il momento dei buoni uffici. Siamo in guerra» (13 ottobre).
Dopo poche settimane, ecco i tagli alle sovvenzioni di ONG palestinesi impegnate per il rispetto dei diritti umani, e in dicembre e gennaio gli attacchi del parlamento prima e del Consiglio federale poi per sopprimere o dilazionare il più possibile la sovvenzione annua all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU che si occupa dell’assistenza alimentare, medica e scolastica di più di 5,5 milioni di rifugiati palestinesi, un terzo dei quali vive rinchiuso nella Striscia di Gaza. L’obiettivo di far sparire l’UNRWA, da decenni sull’agenda dello Stato d’Israele, è ormai fatto proprio dalla destra maggioritaria nel parlamento e nel governo svizzeri. Tra le recenti prese di posizione sempre più vicine alle posizioni israeliane e statunitensi, va ricordata l’astensione nel Consiglio di sicurezza e all’assemblea generale dell’ONU in merito al riconoscimento della Palestina come Stato membro.
La neutralità della Svizzera non è mai stata un principio o un obiettivo politico stabilito nella Costituzione, ma un concetto funzionale agli interessi delle classi dominanti svizzere. Nella Seconda guerra mondiale la Svizzera neutrale ha fornito armi e servizi finanziari alla Germania nazista con i cannoni della Bührle e col riciclaggio dell’oro saccheggiato dai nazisti in Europa. Vanno poi ricordate due scelte gravi: nel 1938 la domanda di stampigliare la «J» nei passaporti degli ebrei tedeschi, e durante la guerra, almeno fin verso la fine del 1943, il respingimento di migliaia di profughi ebrei. E ancora lo scandalo dei fondi ebraici detenuti dalle banche svizzere fino al 1998.
Alla fine della Seconda guerra mondiale la Svizzera ha dovuto cambiare la sua politica di neutralità. Con l’accordo di Washington del 1946, gli alleati imposero alla Svizzera un risarcimento parziale degli affari conclusi con la Germania a scapito dei paesi aggrediti da Hitler, sotto forma di un contributo di 250 milioni di franchi alla ricostruzione dell’Europa. Per ridare un’immagine rispettabile della Svizzera nell’Europa in rovine, il Consiglio federale passò a una neutralità «attiva» di sostegno a valori umanitari universali. Il «Dono svizzero alle vittime della guerra» fu istituito già nel 1944 e fino al 1948 distribuì aiuti umanitari in Europa per 204 milioni di franchi.
La partecipazione della Svizzera all’elaborazione delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 per la protezione delle vittime e delle popolazioni civili nelle guerre e i contributi svizzeri all’UNRWA, istituita dall’ONU nello stesso anno, faceva parte di questo nuovo corso.
Con la creazione dello Stato di Israele e la tragedia della Nakba per i palestinesi, la neutralità svizzera rimane comunque funzionale alla salvaguardia degli interessi economici nazionali. Nel 1951 la Svizzera è il terzo paese esportatore verso Israele e mantiene rapporti economici importanti con i paesi arabi vicini, in particolare l’Egitto. Per mantenere l’immagine di paese neutro, la Svizzera nel 1955 decide di proibire le esportazioni di materiale bellico svizzero sia verso Israele che verso i paesi arabi vicini rimasti in conflitto con Israele dal 1948. Questa proibizione rimane formalmente in vigore, anche se è largamente svuotata della sua portata dalla collaborazione col complesso militare-industriale israeliano a partire dagli anni ’70.
Dopo l’insediamento dell’UNRWA nei paesi di arrivo dei profughi palestinesi (Gerusalemme-Est, Cisgiordania e Gaza, Giordania, Libano e Siria), a inizio 1950, il Consiglio federale aspetta un anno prima di sottoporre una richiesta di un credito di 7 milioni di franchi al parlamento «per la continuazione delle opere di soccorso internazionali» nel 1952 e 1953. Nei 65 anni successivi il sostegno finanziario all’UNRWA cresce tendenzialmente, facendo della Svizzera uno dei finanziatori più importanti dell’agenzia dell’ONU fino al 2019, quando Cassis, col pretesto di un’inchiesta per presunte irregolarità nella gestione dell’UNRWA, sospende provvisoriamente la sovvenzione annua.
La vittoria israeliana nella guerra dei Sei giorni suscita in Svizzera un’identificazione euforica: il piccolo paese che si difende dalle potenze ostili che lo circondano grazie al proprio esercito rilancia la mitologia ufficiale della Svizzera che aveva saputo difendersi da Hitler nella Seconda Guerra mondiale (e che ancora era pronta a farlo nei confronti della minaccia comunista). Il governo esprime entusiasmo, il 5 giugno 1967, quando l’aviazione israeliana attacca a sorpresa gli aeroporti egiziani: «Il Consiglio federale condivide i sentimenti del popolo svizzero, il quale in questi giorni si è reso nuovamente conto, in modo evidente, che per un piccolo Stato neutrale la premessa fondamentale della propria esistenza e dei propri diritti vitali risiede nella fedeltà al diritto e nella decisa affermazione della propria volontà di difendersi» (dodis.ch/33961). Parole che generano vivaci critiche da parte di otto paesi arabi che intervengono a Berna per chiedere spiegazioni richiamandola alla sua neutralità. Il Consiglio federale teme addirittura lo spostamento della sede europea dell’ONU da Ginevra a Vienna. Il 19 giugno, dopo un primo versamento di 250’000 franchi al CICR del 13 giugno, il Consiglio federale corre ai ripari con un ulteriore contributo di 750’000 franchi all’UNICEF, all’UNRWA e alla FAO: «un aiuto complementare particolarmente generoso tanto più che questo aiuto andrebbe prima di tutto a beneficio delle popolazioni arabe – i loro bisogni sono i più estesi – e permetterebbe di introdurre un elemento di equilibrio rispetto ai doni considerevoli che saranno stati raccolti in favore di Israele dal Comitato d’azione ‘Pro Israele’» (verbale del CF, dodis.ch/33953).
L’ammirazione per la vittoria militare del 1967 dà il via anche alla collaborazione tra l’esercito svizzero e quello israeliano. I Mirage appena acquistati dall’aviazione militare svizzera sono una versione di poco più recente degli stessi velivoli con i quali l’aviazione israeliana ha vinto lo scontro con i Mig di fabbricazione sovietica in dotazione all’aviazione egiziana e siriana. Negli anni ’70-’80 l’esercito svizzero cerca di compensare la propria mancanza di esperienza bellica con scambi di piloti militari con Israele e con il Sudafrica. Programmi di scambi avvengono anche tra servizi di informazione militari. Mentre gli scambi col Sudafrica sono stati documentati da inchieste ufficiali della Confederazione a partire dal 1993, dopo la fine del regime dell’Apartheid, quelli con Israele restano in gran parte segreti. Qualche indizio ce lo dà Peter Regli, pilota militare airolese a capo dei servizi d’informazione delle truppe d’aviazione e della contraerea dal 1981 e capo di Stato maggiore dei servizi di informazione dell’esercito dal 1991. Regli organizza gli scambi di piloti col Sudafrica dal 1983 al 1988. In un rapporto su un viaggio in Sudafrica nel 1984 fornisce osservazioni interessanti anche sulle misure di sicurezza negli aeroporti israeliani, oltre a usare il conetto di «antiterrorismo» per le guerre sudafricane (contro i movimenti di liberazione dall’Apartheid) e israeliane (contro il movimento di liberazione della Palestina): «il pericolo che minaccia l’Africa del Sud si differenzia da quello che minaccia l’Europa, nel senso che laggiù, la guerra dell’ombra – il terrorismo come forma particolare di guerra – è la principale preoccupazione. A questo proposito i mezzi militari sono impiegati per combattere i nidi di terroristi (SWAPO, ANC) in tutto il paese e nei paesi limitrofi (…). Si può costatare che questo tipo di minaccia è ben calcolato, lo si può costatare dappertutto. Le misure di sicurezza sono molto simili a quelle prese da Israele e costituiscono per noi degli esempi (gli aerodromi, per es.).»
Con gli scambi di piloti inizia anche la collaborazione in materia di acquisti e fabbricazione di armi. Tra il 1982 e il 1991 la Svizzera acquista all’industria statale Israel Military Industries (IMI) bombe a frammentazione e munizioni per carri armati per 597 milioni di franchi. La fabbrica federale di munizioni di Altdorf partecipa a una parte minoritaria della produzione. Nel decennio seguente, fino al 1999, gli acquisti di materiale bellico israeliano arrivano a un miliardo e 132 milioni: oltre alle munizioni arrivano i primi droni della Israel Aircraft Industries (acquisto preparato già negli anni ’80), sistemi di ricognizione elettronica della Elta Ltd., sistemi integrati di condotta di tiro INTAFF della Tadiran. Insieme alla Ruag, di proprietà della Confederazione, anche molte imprese private svizzere beneficiano di partecipazioni: tra le più importanti, Oerlikon-Contraves e Ascom.
Con la «guerra globale e permanente» dichiarata dagli Stati Uniti di George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 e con la guerra in Afghanistan (2001) e Irak (2003), inizia anche per la Svizzera una nuova fase di riposizionamento, anche in materia di neutralità. La Svizzera non partecipa alle guerre delle coalizioni occidentali in Medio Oriente. Nel 2002, nel contesto della seconda Intifada e della rioccupazione militare della Cisgiordania, con la distruzione del campo profughi di Jenin da parte del governo Sharon, il Consiglio federale decide addirittura una sospensione della collaborazione militare con Israele, sospensione annullata già nel 2004, quando, con l’entrata in governo dell’UDC Christof Blocher al posto della democristiana Ruth Metzler, la destra, più filoisraeliana, diventa maggioritaria (2 UDC + 2 PLR).
Un ultimo sussulto della «neutralità attiva», ancora preconizzata dalla ministra degli esteri Calmy-Rey, si ha nell’estate del 2006, in occasione dell’operazione militare israeliana «Piogge estive» e della seguente guerra e invasione del Libano. Il Dipartimento di Calmy-Rey condanna gli attacchi sproporzionati sulle infrastrutture civili a Gaza e i bombardamenti delle popolazioni civili nel Libano come altrettante violazioni delle Convenzioni di Ginevra. Blocher, che era in vacanza, va su tutte le furie e nell’agosto del 2006 il Consiglio federale mette fine alla «neutralità attiva» interpretata dalla Calmy-Rey. Da allora la Svizzera non ha più preso posizioni di condanna nei confronti di violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, in particolare in occasione delle guerre contro Gaza (2008-9, 2012, 2014, 2021 e quella attuale).
Nell’ultimo decennio la collaborazione col complesso militare-industriale israeliano si è intensificata, in particolare con l’acquisto (350 milioni di franchi) dei droni Hermes della Elbit Systems, il più grande fabbricante di armi e di sistemi di sorveglianza israeliano. Una cinquantina di ditte svizzere partecipano agli affari di compensazione legati a questo acquisto. Elbit Systems ha addirittura aperto nel 2020 una filiale in Svizzera, pure beneficiaria di affari di compensazione legati alla fornitura della stessa Elbit di nuovi sistemi di telecomunicazione per l’esercito svizzero (per un valore fino a 1,7 miliardi fino al 2035). Già nel 2014 Elbit Systems finanziava un laboratorio di ricerche al Politecnico federale di Losanna e quest’anno, sulla scia delle occupazioni studentesche, il settimanale Wochenzeitung ha scoperto un progetto di ricerca finanziato dalla Elbit all’Università di San Gallo (WoZ 23.05.24). Sempre in quel contesto, un giornalista della radio romanda ha scoperto 210 collaborazioni e ricerche con entità israeliane, alcune delle quali «con implicazioni di securitario», al Politecnico federale di Zurigo e una trentina in quello di Losanna.
Il caso della Elbit Systems è emblematico dei legami sistemici dell’economia e della finanza svizzere col complesso militare-industriale israeliano. Come segnalato recentemente da un servizio della RTS, la BNS è il sedicesimo investitore istituzionale nella società Elbit Systems (dati NASDAQ del 31 marzo 2024), e ne trae cospicui benefici. Tra i primi cento, dopo la BNS, troviamo anche altre banche svizzere: UBS, CS, Pictet, banca cantonale di Zurigo…
I legami tra la piazza finanziaria svizzera e le industrie militari, della sicurezza e del controllo israeliane andrebbero analizzati nell’ambito del contesto della spirale delle guerre e del riarmo alla quale assistiamo in questi ultimi anni. È possibile che qui si possa trovare una spiegazione per le posizioni svizzere così apertamente favorevoli alla guerra israeliana in corso a Gaza.
Questo articolo esce in questi giorni, in versione un po’ ridotta, sul numero 55 (giugno 2024) del trimestrale «Nonviolenza»
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