Chi ci guadagna dallo smantellamento della SSR?
Gli appetiti sono molti, ma di carattere politico. L'interesse del Paese non è certo l'obiettivo principale
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Gli appetiti sono molti, ma di carattere politico. L'interesse del Paese non è certo l'obiettivo principale
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• – Redazione
Alcuni parlamentari parlano di precipitazione da parte del governo. Possiamo crederci? Il controprogetto soddisfa le nostre aspettative?
Scegliendo il titolo “200 franchi bastano”, il comitato dell’iniziativa – composto essenzialmente da membri dell’UDC – ha voluto dare ad intendere che il suo obiettivo principale è quello di far risparmiare le famiglie. Infatti, con l’iniziativa, non solo le famiglie pagherebbero 200 franchi anziché 335, ma le imprese sarebbero completamente esentate dal canone e il finanziamento delle emittenti private con licenza sarebbe preservato. Ciò significa che, mantenendo le attuali chiavi di ripartizione, la quota del canone a carico della SSR scenderebbe da 1.265 milioni di franchi a circa la metà, ovvero 630 milioni di franchi. Analogamente, per la RSI la riduzione sarebbe da 280 a 138,6 milioni di franchi. Le famiglie pagherebbero il 40% in meno, ma la SSR dovrebbe dimezzare le sue entrate (per questo l’iniziativa è chiamata “Halbierungsinitiative” in tedesco). Quindi, se l’iniziativa fosse accettata, la SSR dovrebbe (molto rapidamente) ridimensionarsi, che è ovviamente il vero obiettivo del comitato dell’iniziativa. A sostegno di questa affermazione, basti ricordare che i membri di questo comitato hanno sostenuto l’iniziativa No-Billag, che mirava all’abolizione totale del canone. (Il popolo l’ha respinta con una maggioranza del 71,6%). Il comitato non ha spiegato come dovrebbe essere ridimensionata la SSR, suggerendo che la discussione in vista del voto sull’iniziativa sarebbe stata l’occasione per discutere il merito della questione, ossia il futuro desiderato per i media di servizio pubblico.
Prima di vedere come il comitato intende affrontare la questione, esaminiamo altri aspetti dell’iniziativa e alcune cifre. L’iniziativa chiede che il canone di 200 franchi sia inserito nella Costituzione e che il legislatore definisca cosa si intende per “servizio [della SSR] indispensabile alla collettività”. Questi punti possono sembrare insignificanti, ma sovvertono l’attuale divisione dei poteri tra il Consiglio federale (CF) e l’Assemblea nazionale. Attualmente, il Consiglio federale controlla la SSR attraverso due strumenti interconnessi: la fissazione del canone e la definizione della concessione. È la licenza che specifica il servizio che la SSR deve fornire. Questa organizzazione ha dimostrato la sua validità e, come ha osservato il Tribunale amministrativo federale in una sentenza del novembre 2023: “il legislatore si è deliberatamente astenuto dal precisare l’importo del canone a livello legislativo, per evitare che il Parlamento possa influenzare indirettamente la programmazione, se necessario riducendo i fondi, il che metterebbe a repentaglio l’indipendenza della radio e della televisione garantita dall’art. 93 cpv. 3 della Costituzione”.
Si potrebbe quindi pensare che il comitato d’iniziativa stia cercando di aggirare un principio costituzionale. Come se non bastasse, l’iniziativa prevede anche che il canone venga utilizzato solo per finanziare i servizi lineari, ossia la radio e la televisione. Tuttavia, come osserva il Consiglio federale, “la fruizione dei media si sta spostando sempre più dai programmi radiotelevisivi lineari ai media online e ai social media”, e possiamo persino affermare con la Commissione federale dei media (COFEM) che “per il servizio pubblico dei media, la trasformazione in un fornitore multimediale di servizi giornalistici è inevitabile”. Limitare il finanziamento del canone ai soli servizi lineari significa quindi impedire alla SSR di seguire un percorso di sviluppo necessario, condannandola così a non essere all’altezza delle sfide del nostro tempo.
Vediamo alcune cifre. Si potrebbe pensare che la SSR sia un gigante che beneficia di finanziamenti eccessivi. In realtà è la più grande azienda mediatica della Svizzera, con 7.200 dipendenti e 5.700 posti di lavoro a tempo pieno, il che equivale all’incirca alla forza lavoro combinata di Ringier (2.300), TX-Group (ex Tamedia, 3.700) e NZZ-Mediengruppe (850). Tuttavia, nel confronto europeo, non è la meglio finanziata: le emittenti pubbliche tedesche dispongono di risorse finanziarie quasi 10 volte superiori a quelle della SSR, quelle del Regno Unito 6,5 volte, quelle francesi 4 volte e quelle italiane 3 volte. Inoltre, nel 2014 il canone è già stato ridotto da 412 franchi agli attuali 335 franchi.
In queste condizioni, è difficile capire come l’iniziativa possa portare a un dibattito sereno sulla sostanza. A queste considerazioni si aggiunge il fatto che uno dei membri del comitato d’iniziativa ha appena presentato in Consiglio nazionale una mozione che chiede l’abolizione della COFEM. Le sue motivazioni sono pretestuose: la accusa di essere influenzata ideologicamente, lontana dalla realtà e dalla pratica economica. Tuttavia, la composizione della Commissione contraddice quest’ultima affermazione, e il fatto che il CF tenga regolarmente conto dei pareri della COFEM dimostra che le sue analisi non hanno alcun pregiudizio ideologico di rilievo. Di recente la COFEM ha pubblicato alcuni spunti di riflessione su “I media di servizio pubblico nell’era digitale”, tra i quali sostiene che “i media di servizio pubblico devono rinunciare totalmente alle entrate pubblicitarie a favore di un finanziamento pubblico stabile, affidabile e sufficiente”. Questo è chiaramente l’opposto di ciò che sostiene il comitato d’iniziativa e mi sembra un motivo più credibile per l’insoddisfazione del parlamentare che vorrebbe vedere la Commissione scomparire. Purtroppo, questa mozione di censura sembra indicare come la commissione intende condurre il dibattito sul merito.
È quindi positivo che il Consiglio federale abbia formulato un controprogetto all’iniziativa, a livello di ordinanza. Ciò significa che il Consiglio federale sta facendo una proposta nell’ambito delle sue competenze. Propone di ridurre gradualmente il canone per le economie domestiche a 300 franchi entro il 2029 e di specificare il mandato di prestazioni della SSR nella nuova concessione (la concessione attuale sarà prorogata fino al 2028). Le aziende non saranno esentate e l’80% di esse dovrà pagare il canone. La SSR vedrebbe quindi ridotta la sua quota di canone di 120 milioni di franchi: una riduzione considerevole, ma non letale.
Prendiamo in esame il canone per le imprese, visto che i loro rappresentanti politici proclamano a gran voce che è ingiusto per loro pagare questa tassa progressiva calcolata sulla base del fatturato, che può ammontare a diverse migliaia di franchi. In effetti, le imprese contestano regolarmente questo pagamento, che è dovuto dal 2019.
Queste contestazioni hanno portato a modifiche di dettaglio della legge, ma il Tribunale amministrativo federale ha appena ribadito che si tratta di una tassa giustificata da un “criterio di imponibilità territoriale”, perché “anche le persone giuridiche beneficiano di un sistema di radiodiffusione funzionale e indipendente”, anche se “non possiedono apparecchi di ricezione e non consumano programmi radiofonici o televisivi”.
Visto il modo in cui il Consiglio federale ha operato in passato, si spera che – se il controprogetto verrà accettato – il nuovo mandato di prestazioni tenga conto delle idee delineate dalla COFEM. Si tratta di “ancorare il servizio pubblico dei media a un’infrastruttura moderna, neutrale dal punto di vista tecnologico e dei formati, accessibile a tutta la popolazione, in tutte le regioni del Paese, su base paritaria e senza barriere”. Neutralità tecnologica significa non privilegiare un mezzo di comunicazione rispetto a un altro. Inoltre, i servizi mediatici del servizio pubblico dovrebbero essere “chiaramente definiti in termini di contenuti e differenziati dalle offerte commerciali” e, come abbiamo visto, la COFEM chiede un cambiamento nel sistema di finanziamento, rinunciando del tutto alle entrate pubblicitarie. Infatti, “la pubblicità sarebbe ancora consentita sulla televisione lineare, ma le entrate sarebbero collettivizzate a favore del sostegno generale ai media”.
La SSR è sotto pressione e, dato il clima creato dalle iniziative che si sono succedute, tendiamo a non perdonarle i pochi errori che commette. Gli errori gravi possono essere corretti da audit interni o esterni, come le deliberazioni dell’Autorità indipendente di ricorso in materia radiotelevisiva (AIRR), che per il 2023 ha accolto tre ricorsi (che riguardavano la RTS e la SRG) su 31 presentati. Un servizio mediatico pubblico di alta qualità è fondamentale per la democrazia, soprattutto di fronte alla crescente disinformazione.
Il fatto che i parlamentari vogliano aumentare il loro controllo sul servizio pubblico non è di buon auspicio, soprattutto perché il Consiglio degli Stati ha appena formulato un postulato che potrebbe ostacolare il lavoro dei giornalisti investigativi in Svizzera. Incaricando il CF di esaminare “se la pubblicazione di dati raccolti illegalmente debba essere resa punibile”, mette a rischio chi segnala situazioni problematiche e rende giuridicamente insicuro il lavoro dei giornalisti, che per poter svolgere efficacemente il loro lavoro hanno spesso bisogno di informazioni confidenziali.
Infine, osserviamo che se l’iniziativa “200 franchi bastano!” mira a promuovere l’emittenza privata a scapito di quella pubblica, va sottolineato (insieme al Consiglio federale) che solo un piccolo numero di servizi attuali della SSR potrebbe essere rilevato da fornitori privati svizzeri. Inoltre, i media privati (stampa) non se la passano bene e sono (anche loro) costretti a tagli e licenziamenti. Non è quindi ragionevole indebolire troppo un fornitore di servizi come la SSR, che in fin dei conti svolge il suo compito in modo soddisfacente.
Nell’immagine: la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa “200 franchi bastano!”
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