Tracce di rosso – Rifugiati
Dal volume appena pubblicato dalla Fondazione Pellegrini Canevascini per i centro anni della presenza socialista nel governo ticinese, un capitolo di particolare attualità dedicato al tema dei rifugiati
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Dal volume appena pubblicato dalla Fondazione Pellegrini Canevascini per i centro anni della presenza socialista nel governo ticinese, un capitolo di particolare attualità dedicato al tema dei rifugiati
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La politica di accoglienza dei fuoriusciti italiani fu sicuramente uno dei temi più celebrati del primo socialista in Consiglio di Stato; lo stesso ambasciatore italiano Egidio Reale ricordò Guglielmo Canevascini come il «più vecchio amico ticinese dei profughi italiani». A testimonianza di un impegno di lungo periodo in favore dei rifugiati antifascisti, troviamo oggi negli archivi una fitta corrispondenza che data già degli anni 1920 fino al secondo dopoguerra. La storia della politica di asilo del Canton Ticino per il periodo successivo, al centro di questo breve intervento, è tuttavia ancora tutta da scrivere. Ardua è l’impresa se si ricorda che la solidarietà ai rifugiati è in realtà trasversale alle forze politiche e spesso ha impegnato attori associativi militanti al di fuori delle istituzioni. Tale ambito rileva poi innanzitutto che la Confederazione e i consiglieri di Stato socialisti ticinesi hanno raramente diretto il Dipartimento di giustizia che si occupa appunto dei richiedenti di asilo.
Nel corso degli anni 1950 e 1960 la Svizzera si distinse per una generosa accoglienza dei profughi tibetani, ungheresi e cecoslovacchi, che fuggivano rispettivamente dalla dittatura comunista cinese e sovietica. Nel 1956 gli avvenimenti ungheresi furono sfruttati dagli ambienti borghesi per rafforzare la posizione antisovietica nell’opinione pubblica in un clima piuttosto anticomunista: a livello cantonale ne è un esempio la polemica scoppiata sul Popolo e Libertà a seguito di un infelice intervento di Silvano Ballinari su Libera Stampa che sembrò difendere i comunisti. Qualche tempo dopo, forse per placare la polemica, lo stesso Canevascini, che era rimasto piuttosto ai margini della questione, presentò al PST un intervento che superava il duro scontro avvenuto all’interno dei vertici; pubblicato poi su Libera Stampa, illustrava la posizione dei socialisti ticinesi di condanna dell’invasione dell’Ungheria.
La generosità si confermò dodici anni dopo nel quadro dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia del 1968 con l’accoglienza di 13’500 profughi, nonostante un clima politico già segnato da qualche iniziativa xenofoba nel 1965 e 1969. L’accoglienza dei rifugiati da parte della Confederazione fu meno calorosa dopo il 1973: i sostenitori del socialista Salvador Allende, perseguitati da Augusto Pinochet a seguito del colpo di Stato cileno, furono considerati elementi pericolosi dalla Confederazione, la quale obbligò i richiedenti d’asilo a ottenere un visto di entrata prima di poter giungere in Svizzera.
Il Canton Ticino, e dunque anche il suo consigliere di Stato socialista, sostenne invece – con il versamento delle diarie della seduta del Gran Consiglio del 4 marzo 1974 – il comitato di aiuto ai profughi cileni nel quadro di quella che oggi è ancora conosciuta come l’Azione posti liberi del sacerdote Cornelius Koch e continuata dal pastore valdese Guido Rivoir, e che permise di far entrare illegalmente numerosi cileni in Svizzera.
Come accennato, l’apporto puntuale dei consiglieri di Stato socialisti nell’ambito dell’asilo era reso difficile anche dall’assegnazione dei dipartimenti in seno al Consiglio di Stato. Lo stesso Pietro Martinelli, non ottenne nel 1987 il Dipartimento di polizia di solito associato alla giustizia, e racconta delle difficoltà di ottenere alcune pratiche relative ai casi di rigore per ricorrere contro la Confederazione. Il suo intervento fu possibile esclusivamente grazie al lavoro preliminare di una rete di giuristi e avvocati come Giorgio Snozzi, ed egli riuscì a portare avanti solo tre delle cinque pratiche alla fine della legislatura nel marzo 1991.
La politica d’asilo della Confederazione assunse a partire dagli anni 1990 e 2000 un carattere sempre più securitario inasprendo il sistema assistenziale per i richiedenti di asilo, ampliando la carcerazione amministrativa e in generale delegando ai cantoni l’applicazione della legge con l’organizzazione dei centri per asilanti e dei rimpatri. In tale senso oltre al Dipartimento delle istituzioni è possibile fare riferimento anche al Dipartimento sanità e socialità, ma ulteriori ricerche dovrebbero essere fatte attorno all’impegno della consigliera di Stato Patrizia Pesenti. Le difficoltà di gestione pratica – e politica – del tema dell’asilo nel contesto politico ticinese si evince però dal numero crescente di mozioni e interrogazioni parlamentari di vario colore politico, come anche dalle manifestazioni e dalle petizioni portate avanti da attori molto diversi tra loro. Sembra dunque sempre più urgente una storia non solo sociale, ma anche politico-amministrativa, che permetta di far ordine e comprendere più chiaramente le responsabilità del governo cantonale – e l’impegno del PS – nella politica di asilo.
Saffia Elisa Shaukat
Il libro “Tracce di rosso” è disponibile nelle librerie ticinesi
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