Da gruppi marginali…
Il controllo di un gruppo di umani da parte di un altro ha chiaramente una lunga storia. Difficile immaginarsi che non vi sia stato da sempre il bisogno di osservare da vicino il nemico, il prigioniero, il suddito, il governante, il debitore, l’impiegato, la folla, il viaggiatore, ecc. I mezzi di controllo si sono sviluppati e affinati col tempo, traducendo spesso i fantasmi dell’epoca. Pensiamo al Panopticon di Jeremy Bentham, che avrebbe dovuto permettere a una sola persona di sorvegliare tutti i suoi prigionieri, in ogni momento. Lo sviluppo di metodi di controllo necessita una sperimentazione per validarne l’efficacia. Quando una ditta farmaceutica sperimenta un farmaco deve chiedere il consenso dei pazienti cavia. Quando un esercito sperimenta nuove tecniche di combattimento non troverà molte resistenze da parte dei suoi militi, e non chiederà il permesso alle truppe nemiche. Più generalmente, il consenso da parte dei soggetti a sperimentazione non è sempre esplicitamente richiesto. Spesso è un prendere o lasciare. Vediamo qualche esempio.
Sono seduto nel treno da Yverdon a Zurigo con il mio amico Stéphane. Lui si rende nella capitale economica del nostro paese per organizzare la sfilata del primo maggio. È contento perché ha appena appreso che il Lausanne Hockey Club, di cui ha tatuato la data di fondazione sull’avambraccio, giocherà la finale del campionato il 30 aprile a Zurigo. “Bella coincidenza—gli dico—non dovrai fare il viaggio due volte”. Invece sì. Per partecipare alla finale doveva tornare a Losanna e ripartire da lì con un treno speciale riservato ai tifosi, inquadrato, andata e ritorno, dalle forze dell’ordine. Non è una novità che i tifosi siano incanalati così, ma a me è in quel momento che è apparsa l’assurdità di questo trattamento. Mi era già successo che l’autobus che avrebbe dovuto portarmi a casa dalla stazione di Lugano non circolava perché la linea era interrotta dal corteo obbligato dei tifosi di squadre ospiti. Mi dicevo che fosse un piccolo disagio per me, ma una grande rottura di scatole per i tifosi.
È risaputo che le tifoserie sono soggette a sorveglianza ravvicinata. Questa prende più forme, che vanno dai controlli al momento dell’acquisto dei biglietti, all’impiego del riconoscimento facciale alle entrate degli stadi. I tifosi non hanno scelta. Ai non tifosi probabilmente non frega un granché. Anzi, vista la copertura mediatica riservata alle malefatte degli ultras, è verosimile che la maggior parte di noi pensi che sia un bene che si cerchi in ogni modo di contenere questi nuovi selvaggi. Di fatto, il problema dell’inquadramento delle tifoserie non ha ancora trovato una soluzione soddisfacente, e porta a spese ingenti da parte della collettività. Detto questo, le statistiche mostrano una diminuzione della violenza negli stadi rispetto a 30 anni fa. Inoltre, è dimostrato che la repressione non riesce a eliminare la violenza, e che la prevenzione com’è per esempio praticata in Germania funziona meglio. Come sostiene Sébastien Louis, specialista del movimento ultra, il mantenimento dei metodi repressivi si spiega con il fatto che gli stadi sono un luogo ideale per verificare l’efficacia di pratiche e di leggi che non sarebbero approvate dalla popolazione.
Cambiamo scenario. Immagino che la prima volta che le forze dell’ordine hanno dovuto far fronte a degli attivisti che si sono incollati al bitume, hanno dovuto sviluppare un approccio nuovo per sloggiarli. Non sono solo le autorità che sviluppano metodi innovativi. La repressione poliziesca può però prendere forme molto diverse. Si parla molto di riconoscimento facciale. È una tecnologia che ha il potenziale di funzionare bene con delle telecamere fisse, o per esempio se istallata a bordo di droni che ricercano obiettivi particolari. Funziona meno bene per controllare una folla di manifestanti, che oltretutto possono coprirsi il volto. E allora? Da qualche anno è in corso la sperimentazione dell’uso di prodotti di marcatura codificata. Questi sono liquidi che contengono del DNA di sintesi, che si rivela solo sotto una luce ultravioletta. Le forze dell’ordine sparano il prodotto sui manifestanti marcandoli (con spray o paintball), senza che questi se ne accorgano, e possono così eventualmente provare che hanno partecipato alla manifestazione (un po’ come il guanto di paraffina serve a individuare la polvere da sparo sulle mani di chi usa armi a fuoco). L’uso di questa nuova arma è stata rivelata da attivisti francesi, che sottolineano la mancanza di un quadro legale per il suo impiego.
Vi sono poi situazioni dove il controllo prende forme meno drammatiche, ma comunque invasive. Per esempio, dal 1° aprile 2025 le autorità svizzere potranno controllare il contenuto di telefoni portabili e computer dei richiedenti di asilo, per determinare la loro identità e nazionalità. Mi si dirà che un tale controllo è legittimo. Di sicuro è legittimato da una richiesta del Parlamento e da una decisione del Consiglio federale. Il punto è che una volta che una pratica è legittimata in un ambito preciso, allora ha il potenziale di essere diffusa più largamente.
…a intere popolazioni
Non è paranoia. Le pratiche di esclusione dagli stadi dei tifosi italiani sono state estese ad altre popolazioni, come i Rom o i venditori ambulanti, e poi a dei cittadini che hanno commesso delitti minori, come per esempio una violazione di un divieto di stazionamento (DASPO Urbano). Le ultime edizioni dei Giochi olimpici sono state l’occasione di dispiegare dispositivi di sorveglianza mai visti, che poi restano attivi. Ma forse basterebbe ricordare che tutti noi abbiamo subìto un controllo d’accesso tramite codice QR durante il Covid-19. Le tecnologie di tracciamento dispiegate in quell’occasione erano state sperimentate altrove, su più piccola scala. Così pure le tecnologie di sorveglianza telefonica come Pegasus della ditta israeliana NSO Group. Ricordiamo che Pegasus—il cui nome simboleggia un cavallo di Troia alato—permette di accedere da remoto a cellulari infettati da un software. È stato usato in tutto il mondo per sorvegliare giornalisti e attivisti, ma anche per più classiche operazioni di spionaggio (sembra che per esempio il Marocco l’abbia usato per spiare il presidente francese Macron). La nascita e le attività di NSO sono descritte in dettaglio nell’interessante libro di Antony Loewenstein “Laboratorio Palestina” (Fazi Editore, 2024), che mette in evidenza come una grande quantità di tecnologie di sorveglianza sono state sviluppate nella Start-up Nation per controllare la popolazione palestinese, per poi essere vendute su scala globale usando l’argomento commerciale “tested on palestinians”.
Sì, perché quello della sorveglianza è un mercato, e anche la Svizzera ne subisce le regole. Così per esempio il nostro paese non sembra aver avuto altra scelta che affidarsi alla ditta Verint Systems per sorvegliare lo scambio di dati via cavo. Verint è basata negli Stati Uniti, ma i suoi ingegneri, sviluppatori e manager sono stanziati in Israele. Come mostra una ricerca pubblicata su Republik il 21 maggio 2024, il sospetto che la tecnologia impiegata permetta una sorveglianza di massa è più che fondato. Inoltre, non è chiaro in che misura la Svizzera non si sia così esposta a un controllo duraturo da parte della ditta israeliana.
Quindi, la Confederazione stessa sviluppa il controllo. Le Ferrovie federali svizzere non sono da meno: hanno già provato a dispiegare sistemi di sorveglianza facciale nelle stazioni ferroviarie, dicendo di ambire a meglio conoscere le nostre abitudini di consumo. L’Ufficio federale della protezione della popolazione collabora con Swisscom per identificare i movimenti delle persone; in teoria per avvertirle in caso di pericolo. Le scuole zurighesi spingono l’uso dell’intelligenza artificiale nelle proprie aule, il che potrebbe portarle a raccogliere dati personali sugli allievi dedotti per esempio dall’analisi della loro scrittura. I contatori del consumo di elettricità letti a distanza, permettono non solo di avere un’idea precisa del consumo in tempo reale, ma anche di promuovere un certo uso degli apparecchi domestici. L’home office che si è generalizzato dopo il Covid-19 ha il potenziale di permettere alle aziende di penetrare nella nostra vita privata, basta che per il lavoro facciamo uso dei nostri telefoni e computer personali. Autovetture come le Tesla raccolgono dati sui passeggeri, e in questo non fanno che emulare quanto già praticato dai vari Google, Amazon, Facebook, ecc.
Come resistere? Sembra che non vi siano grandi possibilità di resistere alla tendenza generale di aumentare il controllo sulle nostre vite. Questo è legato al tipo di sistema economico che si è sviluppato da qualche decina di anni, e che è stato chiamato da Shoshana Zuboff capitalismo della sorveglianza. Le grandi imprese che ne sono l’anima non mirano più a estrarre risorse naturali e a dominare la natura, ma—come dice Zuboff—mirano a dominare la natura umana, inducendo dei comportamenti volti a massimizzare i propri profitti. È per modificare i comportamenti che usano i dati.
Vediamo allora come le tecnologie di controllo e sorveglianza sono legate a questo sviluppo dell’economia. Inoltre, le guerre spingono a un aumento di controllo, e il cambiamento climatico e la sempre più grande scarsità di risorse giustificano pure maggiori controlli. In maniera generale, ogni rischio di crisi può essere usato per giustificare un aumento del controllo. Abbiamo appena appreso che la Svizzera reintrodurrà controlli alle frontiere in concomitanza con lo svolgimento dell’Euro 2024 e dei Giochi olimpici di Parigi. Questa deroga agli accordi di Schengen sarà provvisoria, ma c’è da scommettere che le nuove tecnologie permetteranno di rispettare gli accordi pur mantenendo la sorveglianza. Basta ispirarsi a quanto ha fatto l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (FRONTEX), che ha introdotto l’uso massiccio di droni per la sorveglianza nel Mediterraneo; questo le ha permesso per esempio di avere dati più precisi sui migranti, senza dover però intervenire immediatamente in loro soccorso come avrebbe dovuto fare se li avesse avvistati da un battello. Sembra che questo approccio sia già stato emulato da sei paesi della NATO che hanno appena annunciato la loro volontà di erigere un “muro di droni” lungo il confine russo dalla Norvegia alla Polonia, una specie di nuova cortina di ferro tecnologica, che si potrà spostare su altri fronti.
Quindi, come resistere? Si possono immaginare azioni di resistenza individuale, come quelle dei protagonisti di varie opere letterarie o cinematografiche. Penso al racconto di Heinrich Böll “Al di là del ponte”, nel quale il protagonista si rifiuta di includere la sua amata nella statistica di coloro che attraversano il ponte che è pagato per sorvegliare. O al film “Le vite degli altri” che racconta come un capitano della Stasi incaricato di sorvegliare un’artista nella Berlino Est del 1984 decide di redigere dei rapporti incompleti o addirittura falsi. La presa di coscienza di ognuno di noi è importante, ma probabilmente non basta. Meglio un movimento d’insieme. Nel 1948 il National Party ha vinto le elezioni nell’Unione sudafricana istaurandovi il regime di segregazione razziale. Nel 1994 è arrivato al potere Nelson Mandela. Questo è il genere di movimento che ci vuole. Però, come ha sottolineato il difensore dei diritti umani Eitay Mack, citato nel libro di Loewenstein: “oggi, siamo in grado di identificare e fermare la sorveglianza del prossimo Nelson Mandela ancora prima che sappia di essere Nelson Mandela”. Non c’è quindi nessuna speranza? Ma sì! Da un lato, la tecnologia non funziona sempre come dovrebbe, e anche la tecnologia di sorveglianza può essere hackerata. Dall’altro, visto che—come dice ancora Zuboff—“una società di sorveglianza democratica è un’impossibilità esistenziale e politica” la soluzione è in fondo molto semplice: basta preservare la democrazia! In particolare, bisogna preservarla dalle tendenze etno-nazionaliste, cioè le tendenze nazionaliste colorate di preferenze etniche, che nutrono l’industria del controllo. Purtroppo queste tendenze sono ben vive anche dalle nostre parti, come mi sembra di leggere nei sotto-titoli dell’iniziativa “Stop agli abusi in materia di asilo (Iniziativa per la protezione delle frontiere)” appena presentata dall’UDC.
À suivre…
Nell’immagine: panopticon digitale nel film The Batman, di Matt Reeves (2022)