Di Riccardo Staglianò, La Repubblica
Bjørn Lomborg è cintura nera di benaltrismo. Gli dici “ad aprile era già caldo come a luglio» e lui ti risponde «ma la tubercolosi, allora? E la fame? E la mancanza di istruzione?“. C’è sempre qualcosa di più importante, peccato che con un Pianeta in fiamme tutti gli altri problemi rischiano di sciogliersi come il ghiacciaio dell’Adamello. Però è proprio quest’ordine di priorità che il polemista danese contesta: il cambiamento climatico non è il problema, ma un problema. Che, per di più, staremmo affrontando male. Quindi ciò che un’inedita ecumene di scienziati denuncia a pieni polmoni, al grido di “presto ché è tardi”, per questo dottorato in scienze politiche sarebbe un “Falso allarme”. Come da titolo del suo libro del 2020 che arrivato in Italia per Fazi. Due decenni fa, con un altro libro, “L’ambientalista scettico”, questo biondissimo cinquantanovenne divenne una star istantanea dei negazionisti globali del riscaldamento climatico. Diceva, in un linguaggio molto più forbito dei suoi fan, ciò che loro amavano sentire. In poche parole: non facciamola lunga con questa storia del global warming. La popolarità di quel testo convinse Yale University Press a dare alle stampe “The Lomborg Deception”, volume che lo confutava colpo su colpo. Da allora innumerevoli scienziati hanno preso le distanze dal suo cherry picking, ovvero l’uso altamente selettivo che Lomborg fa dei dati.
La rete pullula di debunking delle sue tesi, come se fosse un terrapiattista qualsiasi. Numeri buoni mischiati con altri vecchi, gonfiati, inventati. Ma Lomborg, che fa impazzire i negazionisti, non è tecnicamente uno di loro. Corrisponde al sottoinsieme più sofisticato, quindi più insidioso, dei lukewarmer. Gli “stiepidatori”: ammettono che il problema esiste, l’Uomo l’ha peggiorato, ma poi ti portano su un’altra strada – drammaticamente fuori strada – quando si tratta di applicare le soluzioni su cui i climatologi concordano. Se il dibattito internazionale è incandescente, lui ci butta su delle secchiate d’acqua e lo raffredda. Fin quando il problema non spaventa più nessuno. Se continuiamo a comportarci come abbiamo sempre fatto, scrive, “entro la fine del secolo il costo del cambiamento climatico ammonterà a circa il 3,6% del Pil globale. Ciò significa che i redditi, anziché crescere del 450% entro il 2100, potrebbero salire solo del 434. Si tratta chiaramente di un problema, ma è altrettanto evidente che non siamo di fronte a una catastrofe“. Peccato che l’ennesimo studio appena uscito dal rinomato Potsdam Institute (Pik) i danni li quantifichi in 38 trilioni di dollari l’anno, vale a dire una riduzione di almeno il 19 per cento della ricchezza complessiva, in metà tempo e oltre cinque volte quel che sostiene il nostro. Con un conto finale sei volte maggiore alle politiche di mitigazione necessarie per mantenere l’aumento della temperatura entro i 2 gradi. Tanto per fare un esempio su cento dell’aria che tira nella fantastica Lomborglandia.
Istruzioni per l’uso
Per tutti questi motivi, la mia prima reazione a questa proposta di intervista era stata: lasciamo perdere, è pur sempre pubblicità a un mestatore nel torbido. Mi ero confrontato con alcuni economisti ambientali più un paio di climatologi, e nessuno aveva intenzione di apparire nemmeno come fonte delle obiezioni che gli avrei fatto. Perché, a loro modo di vedere, sarebbe stato come legittimare il personaggio. Però la versione inglese del libro, su Amazon, ha 2.718 recensioni per una media di 4,5 stelle su 5. E non escludo che andrà bene anche in Italia. Quindi un po’ di contestualizzazione, di consigli su come maneggiarlo, secondo noi erano meglio che un pietoso silenzio. Perché è facile credere a uno che dà numeri precisi, cita organizzazioni scientifiche rispettabili e paper circostanziati. Mentre è molto più difficile capire quanto lascia fuori, trucca, manipola.Così, per iniziare, gli chiedo di scegliere i tre principali errori che commetteremmo nella lotta al riscaldamento globale. «Per prima cosa illuderci che dipenda da noi, piccola Europa, o peggio ancora dalla sua Italia o dalla mia Danimarca. Perché i veri grandi inquinatori ora sono Cina, India e Africa. E non possiamo certo convincerli dicendo loro “dovete rinunciare a un sacco di ricchezza” per la lotta al riscaldamento globale». (Nel 2021 l’Ue-27 più il Regno Unito erano responsabili di circa il 7,5 per cento delle emissioni globali di CO2, terzi dopo Cina e Stati Uniti, col 31 e 14). «Il secondo grande errore è concentrarci troppo sull’elettricità. Solare e eolico funzionano essenzialmente per quella. Ma se anche riuscissimo magicamente a renderla pulita avremmo provveduto solo a un quinto del fabbisogno energetico totale che include trasporti, riscaldamento, industria pesante. Quanto ai costi, poi, quelle rinnovabili sono più economiche solo quando il sole brilla e il vento soffia perché se si considerano i costi di stoccaggio diventano infinitamente care». Nel libro, peraltro, Lomborg scrive che eolico e fotovoltaico coprono l’1,1% del fabbisogno energetico totale. La verità è che sono già oltre il doppio. E se avesse conteggiato idroelettrico e biomasse le rinnovabili ne garantirebbero già oltre il 12 %. Percentuale che in Italia nel 2022 era già del 18,5. Ma anche limitandoci a sole e vento l’Agenzia Internazionale per l’Energia smentisce l’argomento dei costi alti prezzando il Megawattora di rinnovabili a metà di quello da gas e a un terzo rispetto al carbone. Glielo faccio presente, non si scompone e dice che mi farà avere i dati. “Il terzo errore è sopravvalutare le auto elettriche. Certo, guidare una Tesla è divertente, ma non è affatto parte della soluzione. Intanto solo i ricchi possono averle. Poi, in generale, le auto elettriche pesano più di quelle a combustione ed è noto che auto più pesanti negli incidenti uccidono più persone. Quindi, magari, potremmo risparmiare un po’ di CO2 ma a patto di avere più vite sulla coscienza“ (Tra i vari argomenti contrari, tipo la valutazione di tutto il ciclo di vita, compresa la CO2 prodotta per le batterie, questa della maggior letalità è una novità assoluta. E, ancora, una volta, fa sbandare il ragionamento).
Condizionatori come brioche
Gli chiedo poi del titolo, che è un’istigazione a mettersi tranquilli. “L’ha scelto il mio editore. Quello più accurato sarebbe stato ‘Quello sulla fine del mondo è un falso allarme’, ma capisce da solo che è meno titolo. E poi il sottotitolo spiega bene: il catastrofismo costa un sacco di soldi, fa danni ai poveri e non risolve il problema“. Questo del danno ai poveri è uno degli argomenti più pelosi. Gli esempi su come il riscaldamento globale abbia un impatto sproporzionato proprio sui Paesi poveri si sprecano. Dalla peggiore siccità in 40 anni che nel 2022 ha messo a rischio oltre 20 milioni di persone nel Corno d’Africa, all’innalzamento dei mari che potrebbe far sfollare 17 milioni di persone entro il 2050. Nel libro, lui sceglie l’esempio surreale dell’isoletta di Tuvalu che, invece di andare sott’acqua, si sarebbe addirittura allargata grazie alla terra sbriciolata dall’erosione costiera. Evviva! Rilancia: “Ciò che molti sbagliano, ipotizzando l’innalzamento di un metro del livello del mare, è assumere che gli esseri umani subiranno immobili. E invece alzeranno le barriere e affronteranno il problema. Sa che il 40% dell’Olanda è sotto il livello del mare e che dove ora sorge l’aeroporto di Schiphol una volta ci facevano le battaglie navali?“.
Sul punto delle ondate di calore che ogni estate stecchiscono sempre più anziani si registra il primo rialzo della temperatura, diciamo 1,5-2 gradi come da soglia Ipcc, della nostra lunga conversazione. Dice Lomborg: “C’è però un dato assai curioso: lo studio (allarmista, secondo lui, ndr) presuppone che nessuno in quelle città riuscirà a fare qualcosa di sensato, come ad esempio acquistare un condizionatore d’aria“. Oltre a suonare come una versione climatica delle brioche di Maria Antonietta, meno di un terzo delle famiglie globali possiede un condizionatore: solo l’8% dei 2,8 miliardi di persone che vivono nelle zone più calde del mondo, constata l’Harvard China Project. E poi l’aria condizionata, che pure può salvare vite, non va alla radice del problema climatico ma lo esacerba, assorbendo molta elettricità e sputacchiando getti caldi nelle strade.
I ricchi inquinano meno?
Questo esempio non è un isolato difetto di produzione nella catena di montaggio mentale di Lomborg, ma corrisponde alla sua progettazione. Lo scrive chiaramente: “Via via che Paesi e individui diventeranno più ricchi, l’inquinamento atmosferico si ridurrà ulteriormente“. Gli faccio il controesempio della Cina che, uscendo dalla povertà, ha superato gli Stati Uniti quanto a inquinamento e a Pechino l’aria è irrespirabile: “Certo, all’inizio inquinano di più ma poi, quando stanno meglio, decidono che è arrivato il momento di comprarsi un po’ di salvaguardie ambientali, fanno leggi più stringenti e così via. Ciò che mi propongo con questo libro è dimostrare che è irrealistico pensare di fare la transizione troppo alla svelta, bruciando centinaia di trilioni di dollari. Continuando su questa strada non solo i Paesi poveri, ma anche in Europa si ribelleranno e alle elezioni vinceranno tanti piccoli Trump. La gente vuole avere una vita migliore. Se tu gli dici di vivere peggio non vincerai mai le elezioni“. E qui lo scambio si accalora ulteriormente, direi a più 4 gradi, ovvero il rialzo che lui reputa tranquillo e che raggiungeremo senza agire. La politica dovrebbe proporre le scelte giuste, anche se impopolari, non il contrario. Dire: i broccoli fanno bene, anche se tutti amano gli hamburger. Come politico, ironizza, durerei un giorno. Poi: “Il mio libro è sul fare la cosa giusta, non su vincere le elezioni. Ma è un po’ colonialista pensare di insegnare ai Paesi in via di sviluppo cosa mangiare e quale energia usare, no? Il punto è: quanti tagli si possono accettare con la giustificazione di aiutare le persone? Io so che, per sostenere l’Etiopia, sarebbe meglio agire sulla nutrizione, sull’istruzione e così via“. Ovvero su alcune delle dodici politiche che, sul finale del libro, lui e il suo Copenaghen Consensus (astutissima scelta di nome, giacché il consenso degli scienziati è tutto contro di lui), liquidano in un paio di paginette come alternative di miglior rapporto qualità/prezzo contro i veri problemi del mondo.
La gente si adatterà
Mi sono tenuto le obiezioni più dure verso il fondo, per scongiurare la fine precoce dell’intervista. Lei denuncia i 141 miliardi di dollari di sussidi globali a eolico e solare ma dimentica di citare, dalla stessa pubblicazione, che i fossili ne ricevono più del doppio e che, in uno studio del Fondo monetario internazionale, diventano 15 volte di più: “Certo. Io sono per la fine di tutti i sussidi. Ma senza fossili non ci sarebbero fertilizzanti e, senza, metà del mondo non mangerebbe“. L’effetto fertilizzante della CO2 gli fa anche dire che “non tutta la CO2 va combattuta“, come se l’atmosfera distinguesse tra anidride carbonica buona e cattiva.Lei scrive che, per mantenere gli impegni ambientali assunti dalla Ue, dovremo spendere 2.000 miliardi di euro all’anno fino al 2050. Io ho trovato che al massimo sono la metà: le sembra serio prendere un dato e raddoppiarlo? “I modelli previsionali ci offrono vari possibili scenari e, come sa chiunque abbia fatto lavori in casa, i preventivi tendono a non venire rispettati. Come credo avverrà in questo caso“.
Bob Ward, della London School of Economics, elenca un sacco di numeri che Lomborg cita ma negli studi cui li attribuisce non ci sono: “Talvolta sono d’accordo con Ward, ma è un geologo, non un climatologo, perlopiù a busta paga del Grantham Institute. Io preferisco rifarmi ai modelli del Nobel William Nordhaus“. Per la cronaca, il nostro si è dottorato su una tesi dal titolo “Simulating Social Science” e il Grantham Institute è un rispettatissimo centro di ricerca. Quanto ai calcoli di Nordhaus, nel tempo, sono stati fortemente riconsiderati dalla comunità scientifica. Potremmo andare avanti a lungo, moltiplicare gli esempi, ma un’idea del modus operandi di Lomborg ve la sarete fatta. “Il cambiamento climatico non distruggerà il mondo“ scrive “piuttosto ne rallenterà leggermente il progresso“. Non so se ridere o piangere. A Copenaghen, oggi, possono essere tutti d’accordo che il riscaldamento permette loro di prendere l’aperitivo fuori come a Capri. Ma domani, andando avanti di questo passo? Ormai ci appigliamo entrambi agli ultimi scampoli di buona educazione come il ghiacciaio Twaithes all’Antartide, che se si staccherà presto, come si teme, potrebbe far innalzamento di 65 centimetri i mari. Conclusione: «La gente si adatta. Il global warming è un problema, ma gestibile. Moderato. Non l’unico e neanche il primo». La cosa triste è che Lomborg non è affatto stupido. Ma l’intelligenza, come per quelli che scrivono in bella prosa di tutte le cause sbagliate, è un’aggravante.
Nell’immagine: Bjørn Lomborg, il sedicente “ambientalista scettico”