La ‘dolce’ e fortunata emigrazione dei pasticcieri valposchiavini
Poschiavo le dedica una mostra che ne racconta le storie e prova, con l’aiuto attivo dei visitatori, a perfezionare ulteriormente la conoscenza in materia
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Poschiavo le dedica una mostra che ne racconta le storie e prova, con l’aiuto attivo dei visitatori, a perfezionare ulteriormente la conoscenza in materia
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Poschiavo le dedica una mostra che ne racconta le storie e prova, con l’aiuto attivo dei visitatori, a perfezionare ulteriormente la conoscenza in materia
Anche il Canton Grigioni condivide con noi una lunga vicenda migratoria, forse più antica ancora della nostra, poiché iniziatasi già nella seconda metà del Cinquecento: destinazione inziale la Repubblica di Venezia, con cui le Tre Leghe avevano siglato un trattato di collaborazione e di scambio, grazie al quale i nostri migranti potevano commerciare ed esercitare, nella Serenissima, una professione. Nella fattispecie quella di pasticciere (Zuckerbäcker). Man mano le si sarebbero aggiunte, in situazioni specifiche, quelle contigue di caffettiere, gelataio, liquorista. Tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo, nella città lagunare, su 42 tra pasticcerie e caffè, ben 38 erano in mani svizzere; nel 1725, un centinaio di caffetterie-pasticcerie erano gestite da grigionesi. Quella lunga e fortunata parentesi si concluse soltanto nel 1766 quando, dopo l’espulsione dei grigionesi, prese il via una diaspora geograficamente ben più ampia, capillarmente approdata in tutta Europa. All’insegna non solo della tuorta da nusch della Bassa Engadina: anche cioccolata, caffè, marzapane facevano parte dell’offerta che i discendenti dei primi emigrati grigionesi offrivano in tutto il Continente.
Poschiavo dedica a questa “dolce” diaspora la mostra Pasticcieri ed emigrazione. Avventure valposchiavine in Europa che può essere visitata fino al 20 ottobre. Ho messo l’aggettivo dolce tra virgolette poiché, seppur probabilmente non paragonabile, dal punto di vista della fatica fisica, ad altre attività che i nostri antenati hanno svolto lontano da casa, anche l’emigrazione dei pasticcieri era, almeno inizialmente, dettata dalla necessità di guadagnarsi da vivere e dalla mancanza di lavoro in patria. La partenza, il distacco, le incognite, la non conoscenza della lingua dei paesi in cui stavano per cominciare una nuova vita, la solitudine, la nostalgia – raccontate in tanti documenti giunti sino a noi – erano gli stessi, indipendentemente dall’attività esercitata. Giovanni Scartazzini, di Vicosoprano, trasferitosi a Breslavia (oggi Wroclaw, Polonia), così si rivolgeva scrivendo alla madre negli anni ’30 dell’Ottocento: “Il mio grande desiderio non è che di vivere in Patria. Tutti gli altri Paesi non mi sono nulla”. Il linguaggio è semplice, diretto, quello al quale siamo abituati da centinaia di altri scritti come il suo.
Ospitata nel palazzo de Bassus-Mengotti, pregevole edificazione risalente al 1655, più volte trasformato e ampliato, la mostra poschiavina ha almeno tre pregi: espone materiali in parte inediti; ricostruisce, al proprio interno, un Cafè Suizo dove il visitatore può gustare il bollo suizo (che ricorda da vicino quella che oggi – e si spiega con quanto detto sopra – chiamiamo Veneziana), proposto nella Bilbao di inizio Ottocento da due pasticcieri poschiavini e oggi tra i dolci più conosciuti della pasticceria spagnola; invita i frequentatori ad interagire segnando su una grande carta geografica interattiva dell’Europa, i luoghi dove qualche familiare avesse fatto anch’egli il pasticciere. I promotori sperano così di venire a conoscenza di altri nomi e altre vicende, in grado di ampliare ulteriormente le conoscenze, di fare nuove scoperte, di precisare ancor più i contorni di questa vicenda.
Una vecchia immagine del Café Suizo di Pamplona, inaugurato dalla famiglia Matossi nel 1845 e chiuso nel 1952
Che, in effetti, è tutt’altro che nuova o sorprendente. Da almeno trent’anni varie istituzioni culturali hanno dedicato ai pasticcieri della Valposchiavo saggi ed esposizioni. Parecchi gli storici, i collezionisti e gli appassionati (tra loro Peter Michael-Caflisch, Dolf Kaiser e Olinto Tognina) che hanno consultato archivi privati e pubblici, sfogliato registri, libri dello stato civile, censimenti e migliaia di lettere e diari in cui, descrivendo le loro esperienze, i Zuckerbäcker diventavano cronisti preziosi fornendo notizie di prima mano. Michael-Caflisch, già nel 2011, faceva stato di oltre 10 mila pasticcieri (1’300 dei quali donne) emigrati nel corso dei secoli dai Grigioni: l’89% di religione riformata; pochissimi quelli partiti da Mesolcina e Calanca. Tra i pilastri della ricerca sui pasticcieri engadinesi e valposchiavini, la mostra Bündner Zuckerbäcker in der Fremde ospitata, tra aprile e luglio del 1989, dal Landesmuseum di Zurigo. Accompagnata da un catalogo-saggio curato da Dolf Kaiser e Rudolf Schnyder, aveva anche allestito una carta geografica di questa diaspora, che toccò l’intero Vecchio Continente da ovest a est e da nord a sud: Lisbona (dove tuttora è attiva, almeno nel nome, la Pastelaria Suiça), Vigo, Toledo, Santander, Burgos, Madrid, Saragozza (una lunga serie di Café Suizo); Genova (Klainguti), Arezzo (Gli Svizzeri), Perugia (Schucan), Catania (Caviezel), Napoli (il Caflisch, così descritto da Matilde Serao: “Dove la folla ricominciava era innanzi ai nuovi magazzini del dolciere Caflisch, tre magazzini smaglianti di cristalli, di marmi, di bomboniere variopinte, di dolci d’ogni specie; (…) il mostacciuolo fatto di fior di farina, di cioccolatte, di conserva di frutta, duro all’apparenza, morbido in sostanza e liquefacentesi in bocca”, Palermo (un altro ramo della famiglia Caflisch, fondato da Christian, che a Palermo è deceduto nel 1897 e sepolto): nelle sue sale fu in parte scritto Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
Non solo la penisola iberica e l’Italia: la diaspora dei pasticcieri grigionesi tocca tutto il Continente: Parigi e Bordeaux; Londra, Brighton, Eastbourne; Berlino (l’omonimo negozio fondato nel 1766 dai fratelli Jotsy di Sils, frequentato dai fratelli Grimm e da Heinrich Heine); Copenaghen; Varsavia, Minsk, Vilnius e i Paesi baltici, San Pietroburgo nel Café Wolff & Beranger – oggi Litreraturnoje Kafe – si davano appuntamento i massimi scrittori russi: il 27 gennaio 1837 Puškin vi bevve l’ultima limonata prima del duello con Georges d’Anthès che gli costò la vita), Kiev (vi operava il Café Semadeni, inaugurato nel 1888, con sala da biliardo, chiuso nel 1917 poco dopo la dopo la Rivoluzione) e Odessa sono solo alcuni tra i centri più importanti in cui si sono imposti e hanno fatto fortuna.
Dei frutti economici di quel successo restano oggi a Poschiavo importanti testimonianze architettoniche: il Palazzo Mini-Cortesi (oggi Glaser-Kunz), costruito nel 1793, è tra i primi edifici che, per ricchezza culturale e artistica, fanno di Poschiavo la piccola-grande capitale del Grigioni italiano. In pochi comuni svizzeri di quelle dimensioni – poco più di 3’500 abitanti – si respira un’uguale aria di piccola e cosmopolita città alpina. Il rapporto tra realtà economica e demografica dei nostri giorni e importanza architettonica mi richiama quanto visto ad Angra do Heroísmo – la piccola Parigi – sull’isola di Terceira (Azzorre), o, più vicine a noi, Palmanova e Sabbioneta.
Punti di riferimento per storici e appassionati sono oggi l’Archivio della Società Storica Bregaglia di Stampa; Chesa Planta di Samedan; il Centro di documentazione della Società Storica Valposchiavo di Brusio.
Michael-Caflish già nel 2010 sottolineava come la ricerca sui pasticcieri fosse destinata a proseguire ancora a lungo e che le migliaia di testimonianze da lui raccolte non fossero che la punta di un iceberg. “Ogni giorno trovo dei pasticcieri” dichiarò in una puntata del programma radiofonico Laser trasmessa dalla RSI il 1° febbraio 2010.
Francesca Nussio e Raniero Fratini – autori della puntata – vi sottolineano il valore non solo quantitativo, ma anche qualitativo di quei materiali: “anche a livello di storia locale la ricerca sull’emigrazione non si accontenta più di evidenziare i successi più eclatanti o i percorsi più avventurosi. Il fenomeno migratorio è considerato dagli studiosi come un vasto insieme di esperienze individuali e collettive. Gli studi dedicati alla mobilità nei sistemi socioeconomici dell’arco alpino portano a leggere l’emigrazione non come un fenomeno straordinario ma, al contrario, come un fatto assolutamente normale e dunque centrale per comprendere le strategie di sostentamento, le relazioni interpersonali e i rapporti delle comunità con gli spazi economici circostanti. C’è quindi da sperare che tutte queste iniziative, benché ancora poco coordinate tra loro, possano portare in queste vallate ad una maggiore comprensione e consapevolezza dell’esperienza migratoria”.
Nell’immagine: lo storico bar-pasticceria Klainguti in piazza Soziglia a Genova, fondato nel 1828, chiuso nel 2020 e riaperto poco più di un anno fa
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