Negli ultimi mesi le associazioni economiche cantonali,
Camera di commercio (CC),
Associazione industrie ticinesi (AITI) e
Società impresari costruttori (SSIC), si sono espresse nelle rispettive assemblee in merito al ruolo degli imprenditori, ai salari e al ruolo dello Stato.
La narrazione proposta da CC e AITI è quella dell’imprenditore, uomo solo al comando, creatore di ricchezza e posti di lavoro, che desidera lavorare senza chiedere niente per sé. Allo Stato però esse chiedono di sistemare i conti, riprendendo il controllo della spesa pubblica, a loro dire fuori controllo e in secondo luogo di sgravare fiscalmente le persone facoltose (su questo aspetto solo il fisco sa se tale richiesta è disinteressata o meno). La SSIC ha invece posizioni un po’ più sfumate e sembra concepire che attorno agli imprenditori ci siano delle “squadre” a costituire e fare l’impresa, così come non disdegna di chiedere esplicitamente allo Stato più investimenti pubblici per compensare il calo congiunturale di lavoro.
La riflessione su chi è veramente il creatore di ricchezza, non è una questione di lana caprina, poiché condiziona pesantemente i rapporti di forza e di conseguenza la modalità di distribuire in busta paga la ricchezza generata. Se il merito è dell’imprenditore, la spartizione del reddito sarà maggiormente a suo vantaggio; se invece il merito è dell’intero gruppo, la spartizione dovrà essere più equamente distribuita su tutte le persone. Come la ricchezza prodotta viene distribuita ha poi evidenti ricadute sull’ammontare delle entrate (prelievi fiscali) e delle uscite (sussidi per i salari bassi) dello Stato. Dal momento che in Ticino 1/4 dei contribuenti è esentasse e che una delle uscite più importanti dello Stato è legata ai sussidi, si potrebbe dunque ipotizzare che tale situazione sia proprio dovuta ai bassi salari che i datori di lavoro mettono nella loro busta paga. Arriviamo dunque ai salari.
Quando l’Ufficio federale di statistica (UST) nel marzo 2024 aveva reso noto che la mediana salariale in Ticino era addirittura 1.200 Fr inferiore al salario mediano svizzero, dando così credito alla debolezza se non alla falsità della narrazione proposta dagli imprenditori, la CC reagì veementemente con un publiredazionale sui due quotidiani cantonali (CC – Salari e statistiche) con il quale denunciavano “distorsioni statistiche” che falsavano a suo dire i confronti. La CC infatti sostenne che paragonando i salari dei soli residenti senza quelli dei frontalieri e a parità di condizioni, la differenza del salario mediano tra Canton Ticino e media Svizzera si riduceva dal 18-20% all’8-10%. La fonte di queste affermazioni non era indicata. Il dato di fatto però è che l’Ufficio cantonale di statistica (USTAT), utilizzando proprio la metodologia rivendicata dalla CC, aveva già mostrato in un suo studio del gennaio 2023 (USTAT – Differenze salariali tra Ticino e resto della Svizzera) che la differenza salariale tra i residenti nel nostro cantone e quelli svizzeri a parità di condizioni diminuiva sì, ma non così radicalmente. L’USTAT proprio ad inizio maggio 2024 ha poi aggiornato tale statistica (USTAT – Salari nel 2022: Ticino e resto della Svizzera a confronto), mostrando come la differenza salariale a parità di struttura economica e di condizioni non scende all’8-10% come affermava la CC, bensì solamente al 15.8%. Ergo: la differenza salariale con il resto della Svizzera c’è, rimane ampia e non può essere attribuita a distorsioni statistiche, ma al fatto che i datori di lavoro del nostro cantone mettono meno soldi nelle tasche di lavoratrici e lavoratori rispetto ai colleghi imprenditori del resto della Svizzera.
Differenziando poi le singole sezioni economiche si osservano notevoli differenze. Nel settore dell’edilizia di competenza della SSIC, dove la contrattazione sociale è molto presente, la disparità di salari con il resto della Svizzera senza considerare la differenza tra residenti e frontalieri diminuisce all’8.8%. Nel settore manifatturiero di competenza di AITI (nota bene, settore nel quale con lo pseudo-sindacato TiSin si voleva aggirare il salario minimo), la disparità salariale sempre senza considerare la differenza tra residenti e frontalieri sale invece al 42.2%.
Come se non bastasse, CC e AITI – oltre ad aver sminuito dolosamente il grande divario salariale con il resto della Svizzera – hanno anche attaccato frontalmente la classe politica e lo Stato. A loro dire la politica sarebbe inadempiente e lo Stato sarebbe reo di prosciugare le tasche di cittadine e cittadini attraverso imposte e tasse troppo elevate, indebitamente prelevate per poter coprire le spese pubbliche fuori controllo. È vero che il tanto citato studio IDHEAP dell’UNI Losanna rileva che le spese del nostro cantone sono superiori alla media svizzera, ma se è vero che per i salari bisogna paragonare mele con mele, come afferma la CC, allora questo vale anche per il confronto delle spese pubbliche tra cantoni. Osservando le uscite pro-capite 2023 di cantoni alpini o di frontiera (magari ritenuti virtuosi come il Grigioni), rileviamo dati interessanti. Dividendo le uscite 2023 del nostro Cantone per il numero di abitanti otteniamo una spesa pubblica pro-capite di 11’900 Fr. Il Canton Grigioni presenta invece una spesa di 13’800 Fr pro-capite, quindi più alta del Ticino, così come Uri 12’160, Neuchatel 13’560 e Giura 13’600 Fr. Il Vallese, altro cantone alpino, presenta invece una spesa pubblica pro-capite di 11’040 Fr. Elemento che accomuna tutti i cantoni citati è che beneficiano di versamenti dalla perequazione intercantonale. Se però il Ticino con ciò che riceve dalla perequazione nazionale copre solo l’1.6% delle proprie uscite, il Vallese che ha una spesa pro-capite inferiore al Ticino, copre invece ben il 21.3% (!) del suo fabbisogno. Il Grigioni copre invece il 9.6%, Uri il 14.7%, Neuchatel l’11.6% e il Giura copre il 15.3%. Questi dati mostrano che il Cantone non è uno spendaccione se paragonato ad altri cantoni con condizioni simili. Vi è da credere che se Vitta ricevesse ogni anno dalla perequazione nazionale 250 milioni come il Canton Grigioni (non parliamo poi degli 850 milioni del Vallese), non avrebbe grandi problemi a riportare ampiamente gli indicatori finanziari in territori virtuosi.
Andando poi a vedere se lo Stato stia effettivamente tartassando cittadine e cittadini di tasse e imposte, come vorrebbero lasciar intendere CC e AITI, scopriamo che in Ticino le tasse causali sono sì aumentate negli ultimi anni, ma tale carico, cosa che la CC si è guardata bene dal dire, rimane ancora nella media svizzera (Finanziamento mediante tasse e emolumenti nel 2021). In merito al carico fiscale invece, si lascia dolosamente intendere che esso sia crescente e si prelevi indebitamente denaro dalle tasche di cittadine e cittadini. Ma anche questa accusa è confutata dai dati statistici (Imposta cantonale sul reddito delle persone fisiche per fasce di imponibile) che mostrano per ogni fascia di imponibile, eccetto quella oltre i 200’000 Fr., una diminuzione dal 2003 ad oggi del versamento fiscale medio pro-capite. Se pensiamo poi alle spese obbligatorie (affitto, cassa malati, assicurazioni varie) che si dice erodano il potere d’acquisto di cittadine e cittadini, tali soldi non vanno bruciati, ma finiscono pur sempre nelle tasche di qualcuno. Una recente statistica dell’Unione sindacale svizzera (USS – Verteilungsbericht 2024) ha mostrato che gli unici redditi aumentati negli ultimi 5 anni sono quelli alti. Una coincidenza? Se poi questi alti redditi vengono sgravati fiscalmente, i soldi non ritorneranno di certo mai al ceto medio e medio-basso, ma rimarranno ai redditi più alti, che potranno poi essere osannati come quelli che sostengono la socialità di quelle persone del nostro cantone alle quali non viene dato un salario adeguato.
Davanti a questi dati cosa devono pensare la politica e l’opinione pubblica della categoria imprenditoriale o quantomeno dei loro leader? Quando parte delle associazioni economiche e dei partiti che le sostengono si arrogano l’esclusivo merito di produrre ricchezza, vantandosi di generare in Ticino un PIL pro-capite fra i primi 7-8 posti in Svizzera e poi si scopre che tale PIL non si traduce in salari sonanti nella media con quelli del resto della Svizzera, non vien da pensare che qualcuno si stia intascando il grosso dei guadagni, lucidandosi così il proprio blasone sulle spalle del resto della squadra? Quando poi si scopre che il tentativo di rifilare la colpa allo Stato e dunque ancora alla collettività per la precarietà di cittadine e cittadini non regge alla prova dei dati, non vien da pensare che i rappresentanti delle associazioni economiche stiano erigendo cortine fumogene per nascondere la loro incapacità o la loro malafede?
Sembra veramente di essere tornati ad una cultura feudale ante Rivoluzione francese dove la collettività è ridotta a popolino servo della gleba che deve ringraziare con deferenza il proprio Signore/Imprenditore, quale artefice unico della propria sussistenza. Vogliamo rimanere a questo genere di cultura di gruppo o vogliamo che ogni persona prenda in mano il proprio valore senza attendere che sia il magnanimo e paterno imprenditore a riconoscerlo? Chi ritiene di non ricevere un adeguato compenso per il proprio lavoro è bene che vada a cercare in sé la forza per andare a prenderselo da solo, il proprio valore, perché l’alternativa è mettersi nella posizione del servo e non del cittadino che contribuisce a pieno titolo all’impresa di produrre prosperità e benessere per sé e per tutta la collettività.
Marco Noi è co-coordinatore de I Verdi del Ticino
Nell’immagine: il confronto sulle cifre non è gradito