La piazza di Tel Aviv chiede nuove elezioni. Grossman dal palco: “Dipende tutto da noi”
Ieri manifestazioni in tutta Israele per un accordo sugli ostaggi e contro il governo. E lo scrittore avverte: “Ora o mai più”
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Ieri manifestazioni in tutta Israele per un accordo sugli ostaggi e contro il governo. E lo scrittore avverte: “Ora o mai più”
TEL AVIV — C’è la guerra, c’è la poesia. L’urlo di dolore di uno scrittore, David Grossman, a più di centomila israeliani con le bandiere in mano e l’ira nel cuore. «Non siamo mai stati così tanti, dice lo speaker, dobbiamo diventare un milione». Sono qui per chiedere che il governo si dimetta e si torni a votare: ogni sabato è così, il sabato sera di Tel Aviv sono le urla di protesta davanti agli uffici di governo; ma stasera c’è quest’ospite così inatteso, la metrica dolente di Grossman, che sorprende tutti. Una metrica dolce e potente: «È arrivato il momento di combattere, tutti quanti, le donne, i bambini. Abbiamo qualcuno per cui combattere, e un obiettivo». Non si fa con le bombe questa guerra. «Ora tutto dipende da te, è il momento di alzarsi, vivere, essere per la gente o non essere; essere umani o non essere».
Il suo «urlo dal silenzio», le parole con cui attacca a recitare la poesia metaforica che ha scritto, apre una breccia tra i canti e gli slogan, tra le accuse e la politica. Ha appena parlato Yuval Diskin, capo dello Shin Bet fino al 2011: «Avevo sempre rifiutato l’invito — dice Diskin — ma non potevo più. Netanyahu è il peggior premier della storia di Israele, ci ha trascinati in una situazione diplomatica gravissima con gli alleati, non protegge i confini, permette il traffico di armi, ha finanziato per anni Hamas rafforzandolo, ha reso l’Iran più vicino alla bomba atomica… Israele è in concreto pericolo per la sua esistenza, circondato dai proxies dell’Iran che ci sparano addosso: serve un governo di unità nazionale che riporti a casa gli ostaggi, ci porti a una soluzione del conflitto e normalizzi i rapporti con l’Arabia Saudita».
A cinquecento metri da qui, un’altra piazza ascolta i parenti degli ostaggi. Oggi sono venuti soprattutto per Naama Levy, la soldatessa «triatleta e pacifista, faceva volontariato per gettare un ponte tra i ragazzi ebrei e arabi», raccontano gli amici dal palco; ed ecco i dolcetti, sfornati per i suoi vent’anni, li festeggerà oggi in un tunnel di Gaza.
Sono piazze vicine e parallele. I parenti non vogliono bandiere politiche, chiedono l’accordo con Hamas per riportare a casa gli ostaggi. Le agende sono diverse, ma la folla fluttua tra una e l’altra in continuo movimento. L’abbraccio alle famiglie, i fischi al governo. Poi si marcia insieme e si occupano le strade, si sfida la polizia e si finisce dentro.
Due amici tra tanti, aspettando Grossman: «Bisogna mandare a casa Bibi Netanyahu, e subito. Una volta votavo per lui, ma è un mostro», dice Guy Benchaim, 63 anni, immobiliarista. «Perfettamente d’accordo», annuisce Amos Bendov, bancario 65enne. Ma l’accordo finisce qui: «Gaza va rasa al suolo. Tutti vorremmo che si trovasse una soluzione — dice Guy — ma il cento per cento delle famiglie è coinvolto: insegnano ai bambini di tre anni a uccidere gli ebrei, sono selvaggi». Amos storce il naso e sorride amaro: «Quel che penso io è che siamo criminali di guerra. E non capisco come gli europei ci lascino fare. Serve un cessate il fuoco e il ritiro, non c’è altra soluzione».
Ogni anima è un pianeta a sé, solo l’urlo di rabbia per le “elezioni subito” li riunisce. «Il governo c’era da prima del 7 ottobre e ci ha indeboliti: non ha ascoltato gli allarmi, ha messo in crisi l’alleanza con gli Usa, ha quasi distrutto Hamas ma non ha ancora un’idea per il dopo. I nostri soldati muoiono invano», dice Ofer, 65enne imprenditore. «Abbiamo nemici ovunque e dobbiamo combatterli, ma il peggiore è Bibi — dice Zev, pilota civile 60enne — protegge solo i suoi interessi. Fa la guerra per evitare il processo che lo aspetta. E la cosa peggiore è che abbiamo perso la speranza di vivere in pace».
Tutto tace, ora. Le trombette da stadio, i cori ebraici, la banda di finti nazisti che parodiava il governo. Tutto tace per Grossman: «Su una spalla la speranza, sull’altra l’ira», legge lo scrittore. «Parole piene di dolore, disperate, ma indicano l’unico modo di uscirne: scendere in strada e protestare», dice il 76enne Shilo Eitan. Ma Meshi e Keren, 30 e 32 anni, si aspettavano altro: «Peccato, pensavamo dicesse qualcosa per la pace»
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