Migranti, il Piano “rattoppato” dell’Europa
L’Europa coesa, solidale, inclusiva semplicemente non c’è. Non esiste. Se c’è una crisi tra due Paesi dell’Unione si prova a correre ai ripari
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L’Europa coesa, solidale, inclusiva semplicemente non c’è. Non esiste. Se c’è una crisi tra due Paesi dell’Unione si prova a correre ai ripari
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L’Europa coesa, solidale, inclusiva semplicemente non c’è. Non esiste. Se c’è una crisi tra due Paesi dell’Unione si prova a correre ai ripari
Più che un piano, assomiglia a una toppa. Neanche troppo solida e ancor meno innovativa. A conferma che l’Europa coesa, solidale, inclusiva semplicemente non c’è. Non esiste. Se c’è una crisi tra due Paesi dell’Unione, vedi Francia e Italia, si prova a correre ai ripari, a cercare un compromesso che attenui le tensioni, in attesa del nuovo, inevitabile, braccio di ferro. Una riprova?
Ne scrive Il Post: “Lunedì la Commissione europea ha presentato un nuovo ‘Piano d’azione per il Mediterraneo centrale’, scritto con una certa fretta dopo il recente aumento dei flussi migratori, e soprattutto dopo la crisi diplomatica tra Italia e Francia a proposito dell’attracco della nave di una Ong carica di persone soccorse in mare. Il nuovo piano prevede venti proposte per cercare di alleviare la situazione, e sarà discusso venerdì in una riunione straordinaria dei ministri dell’Interno dei paesi membri.
Le proposte, tuttavia, sono piuttosto vaghe, e in molti casi si tratta della riproposizione di vecchie misure mai del tutto messe in pratica: «È una rimasticatura di cose che sarebbero già dovute succedere», ha detto un un diplomatico europeo a Politico. Al tempo stesso, però, il documento contiene alcune novità, come per esempio nuove azioni per aumentare la cooperazione con i paesi d’origine dei migranti e una prima, eccezionalmente generica menzione della possibilità di coinvolgere gli “stati di bandiera” nelle discussioni sulla gestione delle navi delle ong.
Quella degli “stati di bandiera” è una rivendicazione recente del governo italiano di Giorgia Meloni, che sostiene che se la nave di una Ong batte bandiera tedesca o francese, dovrebbero essere Germania o Francia ad accogliere i migranti soccorsi da quella nave. Questa posizione in realtà non ha nessun fondamento giuridico: le navi delle Ong battono la bandiera di uno stato piuttosto che quella di un altro spesso solo per ragioni fiscali, e il diritto internazionale, nel caso dei soccorsi in mare, non prevede alcun legame tra la nave e lo stato di cui batte bandiera. Il dovere di soccorrere i migranti spetta comunque al primo “porto sicuro”, che nel caso del Mediterraneo centrale è praticamente sempre l’Italia.
Il nuovo piano prevede però la «promozione di maggiore cooperazione […] tra gli stati della costa [come l’Italia] e gli stati di bandiera [come la Germania o la Francia]». Non specifica come dovrebbe funzionare questa cooperazione, né come dovrebbe applicarsi, magari nel caso di navi battenti bandiera di stati non europei. È probabile che spetterà ai ministri dell’Interno degli stati membri discuterne.
Le altre novità del piano sono principalmente due. Anzitutto il proposito (anche in questo caso relativamente generico) di rafforzare i rapporti con i paesi da cui provengono i migranti, sia con l’intento di fermare i flussi all’origine, sia con l’intento di facilitare i rimpatri: l’anno scorso, circa il 20 per cento dei migranti che non avevano i requisiti per il diritto d’asilo è stato rimandato nel proprio paese d’origine. Il documento cita uno stanziamento di 580 milioni di euro (già previsti, in realtà) per sostenere i paesi del Nord Africa e altri paesi partner, e in particolare cita la necessità di rafforzare i rapporti con Tunisia, Egitto e soprattutto Libia.
Un’altra proposta riguarda la necessità di applicare per davvero e rafforzare la ‘dichiarazione di solodarietà’ che era stata adottata a giugno di quest’anno da 21 stati membri, e che prevedeva un meccanismo – volontario e non vincolante – di sostegno ai paesi più esposti ai flussi migratori, tramite contributi economici o ricollocamenti di migranti. Questo piano però di fatto non è mai stato messo in pratica.
Tornando alle navi delle Ong, la Commissione europea richiede infine che siano avviati dei negoziati con l’Organizzazione marittima internazionale (l’agenzia ONU che si occupa di trasporto marittimo) per creare delle «linee guida» specifiche per le navi «che si concentrano sulle attività di ricerca e soccorso». Secondo la Commissione, dall’inizio dell’anno sono arrivati in Europa dal Mediterraneo centrale circa 90 mila migranti: un aumento del 50 per cento rispetto all’anno scorso. In totale i migranti arrivati in Europa nel 2022, sia via mare che via terra, sono circa 160 mila”.
Fin qui la corretta esegesi de Il Post. Rimasticature, generiche dichiarazioni d’intenti, codici da strutturare. Ecco il “falsopiano” targato Ue. Affondato da egoismi nazionali e da una sciagurata politica questa sì condivisa: l’esternalizzazione delle frontiere. […]
Francesca Mannocchi i teatri di guerra li ha visitati tutti. Con umanità e professionalità che ha pochi riscontri nel desolante panorama giornalistico italiano, ha raccontato guerre colpevolmente “ignorate”, svelando connivenze e silenzi complici dell’Occidente e di una comunità internazionale dai mille pesi e altrettante misure.
Scrive Mannocchi su La Stampa del 28 giugno: “Decine di migranti sono morti negli scorsi giorni nel tentativo di raggiungere l’enclave spagnola. L’Occidente si accorge dei destini degli uomini e delle donne in fuga dal continente africano quando si presentano ai confini. O vivi, chiedendo accoglienza, o morti nel tentativo di varcare la Fortezza Europa.
È successo così anche tre giorni fa, quando decine di persone sono morte nel tentativo di entrare a Melilla, enclave spagnola in Nord Africa. Il Marocco parla ufficialmente di 23 morti, le organizzazioni non governative sostengono che le vittime sono 37 e che i feriti sono trecento, tra cui 49 membri della Guardia Civile Spagnola e 57 migranti che sono riusciti ad entrare a Melilla. Secondo un portavoce dell’ufficio del governo spagnolo a Melilla, venerdì scorso duemila migranti si sono avvicinati alle recinzioni per assaltarle e cinquecento sono riusciti ad a entrare in un’area di controllo del confine provocando violenti scontri.
Le organizzazioni per i diritti umani accusano le forze di sicurezza dell’uso indiscriminato della forza, e hanno diffuso due video (confermati dalla geolocalizzazione): il primo mostra decine di corpi e feriti accatastati uno sopra l’altro lungo la recinzione di confine, circondati da agenti di sicurezza marocchini in tenuta antisommossa. Il secondo mostra un soldato marocchino picchiare con un manganello un gruppo di migranti visibilmente feriti, con gli abiti strappati, stesi a terra mentre si contorcono di dolore.
Melilla e Ceuta, l’altra piccola enclave spagnola in Nord Africa, sono gli unici confini terrestri dell’Europa con l’Africa, condizione che ha reso le due cittadine meta di consistenti flussi migratori negli ultimi anni. Le persone in fuga da guerre, fame e povertà, cercano di raggiungere il confine di 12 chilometri tra Melilla e il Marocco e il confine di otto chilometri di Ceuta – territori protetti da recinzioni fortificate con filo spinato, telecamere e torri di avvistamento – nella speranza di scavalcare le recinzioni e raggiungere l’Europa continentale.
Per arginare i flussi migratori e tenere le persone migranti lontano dal confine, la Spagna si affida da anni alle autorità marocchine i cui abusi sono denunciati dalle organizzazioni per i diritti umani, come gli abusi della Guardia Civile Spagnola che si compie respingimenti di massa, proibiti dal diritto internazionale.
Amnesty International ieri ha chiesto un’indagine indipendente sui fatti di venerdì e sulle violazioni da entrambi i lati della frontiera, ma tutto lascia pensare che le decine di cadaveri senza nome e nazionalità resteranno prive di giustizia nei cimiteri di Sidi Salem, alla periferia della cittadina marocchina di Nador, al confine con Melilla, che stanno preparando lo spazio per la loro sepoltura.
[…] L’invasione russa dell’Ucraina ha infatti mostrato al mondo il divario tra ciò che si può ottenere quando la comunità internazionale si mobilita e la vulnerabilità di milioni di persone che vivono in Paesi attraversati da crisi alimentari e climatiche combinate alle guerre. Scrive ancora il segretario del Norwegian Refugee Council che di fronte alla guerra in ucraina, le nazioni donatrici e i privati hanno contribuito alla massiccia operazione di soccorso, così generosamente che gli appelli delle Nazioni Unite sono stati finanziati quasi per intero lo stesso giorno in cui sono stati lanciati. Per fare un paragone, l’appello lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres sull’emergenza alimentare afghana pari a 4 miliardi di dollari non ha raggiunto – in sette mesi – nemmeno la metà dell’importo.
Lo stesso vale per l’azione politica. Per la prima volta nella sua storia una direttiva dell’Unione Europea da febbraio concede la protezione temporanea di un anno a tutte le persone in fuga dall’invasione russa. L’annosa distrazione occidentale al continente africano e l’abitudine a concentrarsi su un’emergenza alla volta, senza unire i punti della storia e i flussi migratori sulle mappe dell’atlante, però, generano un deterioramento delle persone che da mesi vivono nelle crisi in ombra. È la teoria dei vasi comunicanti. Quanti più fondi vengono destinati dai Paesi donatori alla crisi dell’Europa orientale, tanti meno ne sono destinati alle crisi nell’ombra. Togliere fondi alle crisi africane, a quella afghana, significa rendere le persone vulnerabili ancora più fragili, ancora più esposte al rischio di viaggi pericolosi, all’abuso del traffico di uomini, alla morte di fronte alle frontiere europee, di fronte alle nazioni che invece di trovare soluzioni condivise, si affidano a Paesi terzi per difendersi.
Una storia che tristemente si ripete: subappaltare il controllo dei confini in cambio di legittimazione politica e denaro, cedendo a Paesi terzi il potere di fare pressione sui governi europei che si espongono così a una ricattabilità potenzialmente infinita. E lo strumento, a ogni angolo del pianeta, sono sempre gli esseri umani in fuga. Spesso, come nel caso di Melilla, da quelle dieci crisi tutte africane, che l’Occidente sta dimenticando, finanziando il controllo delle frontiere invece di finanziare sviluppo e assistenza umanitaria”, conclude Mannocchi.
E il “falsopiano” Ue persevera su questa nefasta linea.
Nell’immagine: migranti sul reticolato che divide il Marocco dalla Spagna a Ceuta
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