Le maschere sono cadute. È tempo di pensare alla resistenza
Il celebre regista svizzero Milo Rau denuncia l'inquietante avanzata dell'estrema destra in Europa, e i suoi effetti sulla democrazia e le libertà artistiche
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Il celebre regista svizzero Milo Rau denuncia l'inquietante avanzata dell'estrema destra in Europa, e i suoi effetti sulla democrazia e le libertà artistiche
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Il celebre regista svizzero Milo Rau denuncia l'inquietante avanzata dell'estrema destra in Europa, e i suoi effetti sulla democrazia e le libertà artistiche
Henry Kissinger chiese una volta al primo ministro cinese Zhou Enlai (1898-1976) se considerasse la Rivoluzione francese un successo. La famosa risposta di Zhou fu: “È troppo presto per dirlo”. Se ci venisse posta la domanda oggi, probabilmente dovremmo dire “probabilmente no”, perché i tre valori ereditati dalla Rivoluzione francese – liberté, égalité, fraternité – stanno scomparendo in Europa, la terra dove è nata la democrazia parlamentare.
Inoltre, i cambiamenti politici in atto in Europa sembrano irreversibili: i partiti neofascisti sono attualmente alle porte del potere in quasi la metà dei Paesi europei, se non lo hanno già conquistato. Ungheria, Serbia, Slovacchia e, naturalmente, Russia hanno tutti governi quasi autocratici. La situazione sta interessando anche l’Austria: il 29 settembre, alle elezioni parlamentari del Paese, si è imposto un partito che persino i media conservatori definiscono di “estrema destra”, l’FPÖ [Partito della Libertà dell’Austria].
Questa vittoria non è stata ottenuta sventolando davanti all’elettorato fantasie pseudo-liberali, ma con un programma che incoraggiava apertamente la pulizia etnica e culturale della “fortezza” austriaca, in diretto riferimento a una frase coniata da Joseph Goebbels [1897-1945, leader nazista].
Inclusione di “entrambi i sessi” nella Costituzione, “remigrazione” radicale, creazione di una società a due livelli che riservi i benefici sociali agli austriaci “di razza”: usando un vocabolario tipico delle prese di potere violente, l’FPÖ dice di voler “prendere il pieno potere sui tre pilastri del governo, del territorio e del popolo”. Per quanto riguarda la politica culturale, applicherà lo stesso metodo dei vicini ungheresi e slovacchi: riduzione delle sovvenzioni agli “eventi culturali di richiamo”, in altre parole all’Eurovisione e al Festival di Vienna, che è sotto la mia direzione. Agli occhi dell’FPÖ, tutto ciò che non riguarda bande di ottoni, operette o spettacoli di varietà è ovviamente considerato “woke”.
L’illusione di Francis Fukuyama che la società liberale alla fine avrebbe inevitabilmente trionfato – come Karl Marx [1818-1883] credeva nella società senza classi – viene smentita anche nei Paesi che un tempo costituivano il cuore dell’Unione Europea. Come possiamo vedere oggi, l’uguaglianza e la fraternità – in altre parole, l’apertura al mondo, la solidarietà dello Stato sociale e l’autodeterminazione religiosa, politica e sessuale – non sono valori condivisi dall’estrema destra, ma “propaganda woke”. È stato forse Geert Wilders [leader del PVV, il Partito per la Libertà, un partito olandese classificato di estrema destra] a riassumere meglio la situazione quando domenica 29 settembre si è congratulato con l’FPÖ: “Stiamo per vincere! Identità, sovranità e libertà: ecco cosa vogliono milioni di europei”.
Non potrebbe essere più chiaro: “identità” piuttosto che pluralismo, “sovranità” della nazione piuttosto che dell’Europa, e infine la “libertà” di vietare il linguaggio “woke” e di ostacolare altre posizioni umaniste. Al leader carismatico Jörg Haider [1950-2008] si attribuisce il merito di aver reso populista l’FPÖ negli anni Novanta, pur evitando la retorica nazista e imitando i valori liberali. La stessa cosa è accaduta in Francia, dove Marine Le Pen si è liberata dell’antisemitismo del padre e si è divertita a parlare di “Repubblica”.
Ma quei giorni sono finiti. L’FPÖ, che ha trionfato alle urne il 29 settembre, ha conquistato i cuori degli austriaci promuovendo l’instaurazione di una dittatura plebiscitaria guidata da un “cancelliere del popolo” – per usare l’espressione coniata da Herbert Kickl [leader dell’FPÖ], presa in prestito anche dai nazisti – in altre parole, una democrazia etica che rivendica l’eternità attraverso la distruzione metodica del “sistema” parlamentare.
Sì, le maschere sono cadute: due giorni prima della loro vittoria elettorale, i deputati dell’FPÖ hanno cantato canzoni naziste auspicando il ritorno del “Santo Reich tedesco”. E quando, poco prima delle elezioni, io e la scrittrice Elfriede Jelinek abbiamo scritto una lettera aperta contro l’FPÖ, sui social network si scherzava sul fatto che questo ci avrebbe assicurato un “posto in lista”, cioè un posto nelle liste di persone da fucilare che attualmente circolano tra i gruppuscoli identitari che si sono gettati tra le braccia dell’FPÖ durante le sue serate elettorali.
Anche per quanto riguarda il mondo della cultura, tutte le sciocchezze che abbiamo sentito dall’FPÖ negli ultimi anni sono storia: l’idea di una cultura popolare “germanica” in Austria sta riemergendo come un cadavere vivente dalla tomba della storia in cui era stata sepolta nel 1945. In Ungheria, Slovacchia e Serbia, la diversità culturale è già morta e sepolta. E nel frattempo, la Russia finanzia i suoi partiti gemelli di estrema destra – in Austria come in Francia e Germania –mentre osserva divertita la distruzione dell’Europa. Cosa fare, dunque?
La famosa risposta di Zhou Enlai contiene un accenno di speranza, anche se sarcastico: certo, la situazione non è delle migliori, ma le virtù repubblicane non sono ancora morte. È ancora “troppo presto” per unirsi al canto del cigno intonato dall’estrema destra, e non dobbiamo dimenticare che la storia delle libertà civili è una storia di resistenza: resistenza contro re e imperatori, resistenza contro il feudalesimo, resistenza contro lo stalinismo, resistenza contro il fascismo. Sin dai tempi della Rivoluzione francese – e persino dai tempi dell’antica Grecia – la democrazia è stata costantemente attaccata, e i pochi decenni della sua esistenza impallidiscono se confrontati con i molti altri decenni durante i quali non è stata altro che un dolce sogno.
Quando il re Serse attaccò la Grecia per porre fine alla libertà delle città-stato, inviò un messaggero per invitare i Greci a deporre le spade e gli scudi, al che essi risposero con orgoglio: “Venite a prenderli”. Naturalmente, nel mondo della cultura non abbiamo spade e scudi. Le nostre armi sono i nostri teatri, i nostri musei, le nostre feste di quartiere, le nostre università, le nostre feste culturali e popolari. Le nostre armi sono anche i nostri ricordi e le nostre speranze, in altre parole la società in tutta la sua diversità.
Venite a prenderli.
Milo Rau, nato a Berna nel 1977, è uno degli intellettuali svizzeri più impegnati in campo sociale e politico. Giornalista, scrittore, regista teatrale e cinematografico, tra le sue opere più significative (portate in scena anche a Lugano) vi sono “Hate Radio”, sul genocidio ruandese, “Five Easy Pieces”, sulle vittime del pedofilo belga Marc Dutroux, e in campo cinematografico “The Moscow Trials”, cronaca dell’audace rifacimento a Mosca (secondo principi giuridici occidentali) del processo alle militanti Pussy Riots, e “Il nuovo Vangelo”, rifacimento-omaggio del Vangelo di Pasolini dove i protagonisti (Cristo compreso) sono braccianti africani schiavizzati nella regione di Matera. È inoltre anche direttore del Festival di Vienna, sotto attacco da parte del FPÖ
Nell’immagine: Milo Rau
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