Braccio di ferro per Kaliningrad
Fari puntati sull’exclave russa dopo la decisione della Lituania di aderire alle sanzioni europee
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Fari puntati sull’exclave russa dopo la decisione della Lituania di aderire alle sanzioni europee
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Fari puntati sull’exclave russa dopo la decisione della Lituania di aderire alle sanzioni europee
È una piccola exclave isolata di 15mila chilometri quadrati in cui vivono circa 500mila persone e su cui sventola la bandiera russa. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina tutti quelli che cercano di identificare le escalation del futuro indicano questa anomalia della storia dal potenziale esplosivo: Kaliningrad. Per capirne il motivo basta guardare una mappa geografica.
Ora la temuta escalation sembra alle porte. Kaliningrad è un territorio della federazione russa, armatissimo, incuneato tra la Polonia e la Lituania e senza alcun legame con il resto della Russia. L’approvvigionamento avviene attraverso un corridoio di 35 chilometri a cavallo tra le frontiere della Polonia e della Lituania, entrambi paesi dell’Unione europea e della Nato.
La Lituania ha deciso di imporre le sanzioni europee sui prodotti russi destinati a Kaliningrad. Il 20 giugno la Russia ha reagito con parole minacciose: se il transito non sarà ristabilito nella sua totalità “la Russia si riserva il diritto di agire per difendere i propri interessi nazionali”, ha tuonato Mosca.
Perché la Lituania ha deciso di agire proprio adesso? E soprattutto, Vilnius ha concordato la sua azione con i partner europei e della Nato? È evidente che se il Cremlino ha deciso di rispondere per ristabilire con la forza il transito tra Kaliningrad e la Bielorussia (e da lì verso la Russia) esiste un rischio considerevole di escalation.
Una prima reazione è arrivata da Bruxelles, dove l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha respinto le minacce russe sottolineando che la Lituania non è “colpevole di nulla”. Secondo Borrell la Lituania ha semplicemente applicato le modalità delle sanzioni adottate dall’Unione europea.
È chiaro che Mosca non la pensa allo stesso modo e considera questa azione un impegno ulteriore da parte della Nato. Al momento non esiste un “blocco” di Kaliningrad simile a quello imposto durante la guerra fredda a Berlino dal campo sovietico, perché Kaliningrad può ancora ricevere gli approvvigionamenti via mare. Ma il 20 giugno gli abitanti dell’exclave hanno comunque preso d’assalto i supermercati in preda al panico. Mosca non può restare passiva.
Il rischio è tanto più elevato se consideriamo che Kaliningrad è uno dei territori più militarizzati al mondo e ospita missili balistici e armi nucleari oltre alla flotta russa sul Baltico.
Questo brusco aumento della tensione evidenzia un paradosso storico. Un tempo in questa regione si trovava il “corridoio di Danzica”, imposto alla Germania nel 1919 per permettere alla Polonia di avere un accesso al mare. Nel 1939 la Germania nazista decise di riprenderselo dopo aver annesso i Sudeti. Uno slogan pacifista diffuso in Francia nel 1939 recitava: “Bisogna morire per Danzica?”. Alla fine la guerra non fu evitata.
Dopo il conflitto l’Urss ha ricevuto come compensazione dalla Germania la città di Königsberg, ribattezzata con il nome di Kaliningrad e dotata di un corridoio soprannominato Suwalki per raggiungere la Bielorussia, all’epoca parte dell’Unione Sovietica. La stessa aberrazione del corridoio di Danzica.
“Bisogna morire per Kaliningrad?” Non siamo ancora arrivati a questo punto, ma la città d’origine del filosofo Kant sta per diventare un ascesso da curare subito per evitarne uno più grave nel confronto tra Russia e occidente. Questa eredità avvelenata del ventesimo secolo ha tutti gli ingredienti per far scoppiare una grave crisi.
Traduzione di Andrea Sparacino
Nell’immagine: lavori di aggiornamento in un deposito di armi nucleari a Kaliningrad nel 2018
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