Lenin, l’Ottobre e i “rivoluzionari solo a parole”
Le idee del leader bolscevico sull’autodeterminazione dei popoli dell’Urss che Putin condanna
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Le idee del leader bolscevico sull’autodeterminazione dei popoli dell’Urss che Putin condanna
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Le idee del leader bolscevico sull’autodeterminazione dei popoli dell’Urss che Putin condanna
In occasione del suo discorso televisivo del 21 febbraio del 2022 in cui riconosceva l’indipendenza delle “Repubbliche del Donbass”, Vladimir Putin, sostenne che la costituzione dell’Ucraina in Repubblica nel 1922 aveva un solo colpevole: Vladimir Ilich Lenin. Putin non ha mai avuto particolare simpatia per il fondatore dell’URSS tanto è vero che malgrado la Federazione Russa si consideri giuridicamente la prosecutrice dell’URSS, per i 100 cent’anni dalla sua morte non è stata prevista alcuna iniziativa istituzionale.
«Vorrei iniziare col dire – affermò Putin in quel discorso del 2022 diventato ormai storico – che l’Ucraina moderna è stata creata completamente dalla Russia, o più precisamente dalla Russia bolscevica e comunista. Il processo è iniziato quasi subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi collaboratori lo hanno realizzato nel modo più rozzo nei confronti della stessa Russia: con la secessione, strappandole parte dei suoi territori storici… Furono le idee di Lenin di una struttura statale essenzialmente confederativa e del diritto delle nazioni all’autodeterminazione fino alla secessione a costituire la base della statualità sovietica: prima nel 1922, con la Dichiarazione sull’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, e poi, dopo la morte di Lenin, nella Costituzione dell’Urss del 1924”. Per Putin, Lenin fece enormi concessioni ai “nazionalisti dell’epoca” fino, come nel caso ucraino, a consentire la nascita di una repubblica con diritto di secessione.
Nella Russia odierna, composta da oltre cento nazionalità, ma dove è reato penale persino formare un partito autonomista, il dogma assoluto è l’intangibilità territoriale (la Russia può invece annettere altri territori che considera parte del suo mondo) e quindi non è un caso che il capo del Cremlino abbia un odio recondito nei confronti di Lenin, l’inventore dell’“autodeterminazione dei popoli” sovietici.
Il fondatore dell’Urss per Putin non fu null’altro che un pazzo assetato di potere e pronto a far qualunque cosa pur di mantenerlo: «Dopo la rivoluzione – ha sostenuto ancora Putin nel discorso del 2022 – il compito principale dei bolscevichi fu quello di mantenere il potere ad ogni costo… Dal punto di vista del destino storico della Russia e del suo popolo, i principi leninisti di costruzione dello Stato non furono solo un errore, ma, come si dice, molto peggio di un errore. La politica bolscevica ha portato alla nascita dell’Ucraina sovietica, che ancora oggi può essere giustamente chiamata “Ucraina di Vladimir Lenin”. Egli ne fu l’autore e l’architetto».
In realtà, la concezione leniniana del “diritto all’autodeterminazione delle nazioni con diritto di secessione” non era stata una trovata tattica del momento, seguita all’ascesa del movimento nazional-rivoluzionario a Kiev (la nascita della Rada, il parlamento ucraino, fu del 1917), ma una scelta sulla base di una valutazione ponderata del rapporto tra liberazione nazionale e socialismo su scala internazionale.
Le cose, come poi abbiamo potuto osservare nella tormentata vicenda di quelle terre nel XX secolo, non andarono come aveva auspicato Lenin. Come ha scritto la filosofa Rohini Henshman: “Il ‘terrore rosso’ e il rapido scivolamento verso la dittatura di Stalin, il dominio dell’ideologia comunista e il monopolio del potere da parte del partito comunista, il processo delle nazionalizzazioni e dell’economia pianificata, tutto questo trasformò i principi di governo formalmente dichiarati, ma inefficaci, in una mera dichiarazione d’intenti. In realtà, le repubbliche sovietiche non avevano alcun diritto di sovranità, anzi non ne avevano affatto. Il risultato pratico fu la creazione di uno Stato strettamente centralizzato e assolutamente unitario”.
In un certo senso quindi, Putin ha ragione: Lenin non era mosso solo dalla volontà di tenere insieme, sotto il nuovo potere, quanto era stato riunito dall’impero zarista, e in primo luogo una regione come l’Ucraina che aveva una evidente profondo legame etnico e culturale con la Russia. Il Lenin militante socialista, era mosso dal suo spirito rivoluzionario che respingeva lo spirito “grande russo” colonialista, quell’intimo razzismo e senso di superiorità nei confronti dei popoli “non-russi” che ancora oggi traspare non di rado nella società russa.
Nell’ottobre 1914, in un discorso pronunciato a Zurigo, Lenin aveva affermato a tale proposito: “Ciò che l’Irlanda era per l’Inghilterra, l’Ucraina è diventata per la Russia: una realtà sfruttata all’estremo, che non ottiene nulla in cambio. Perciò gli interessi del proletariato mondiale in generale e del proletariato russo in particolare richiedono che l’Ucraina riacquisti la sua indipendenza statale, perché solo questo permetterà lo sviluppo del livello culturale di cui il proletariato ha bisogno”.
Naturalmente il leader sovietico era anche nemico di ogni sciovinismo e di ogni nazionalismo estremo, che facesse perdere di vista i contrasti e le discriminazioni di classe che esistono all’interno di ogni Stato capitalista; ma aveva chiaro che la formazione della coscienza politica avviene in modo non lineare e come spesso coscienza nazionale e coscienza socialista si intrecciano in modo inestricabile.
Lenin, del cui orizzonte ideale si può avere più o meno simpatia, è entrato nella storia per le sue eminenti capacità politiche, per la capacità di afferrare l’essenza e i tempi dello scontro politico. Così “bacchettando” i suoi compagni bolscevichi che consideravano la “questione nazionale” come “superata”, scriveva nel 1916: “Credere che la rivoluzione sociale sia immaginabile senza le insurrezioni delle piccole nazioni nelle colonie e in Europa, senza le esplosioni rivoluzionarie di una parte della piccola borghesia, pur con tutti i suoi pregiudizi, senza il movimento delle masse proletarie e semiproletarie arretrate contro il giogo dei grandi proprietari fondiari e della Chiesa, contro il giogo monarchico, nazionale, ecc., significa rinnegare la rivoluzione sociale. Ecco: da un lato si schiera un esercito e dice: “Siamo per il socialismo”, da un altro lato si schiera un altro esercito e dice: “Siamo per l’imperialismo”, e questa sarebbe la rivoluzione sociale! Soltanto da un punto di vista così pedantesco e ridicolo sarebbe possibile affermare che l’insurrezione irlandese è un “putsch”. Colui che attende una rivoluzione sociale “pura”, non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione”.
Sono passati cento anni dalla morte di Lenin, forse oggi le rivoluzioni non sono all’ordine del giorno: ma la riflessione di Lenin sulla complessità dei processi politici resta intatta così come la capacità del politico di trarne delle lezioni e indicare le vie d’uscita.
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