Schiavi 2.0
Quando la cultura non è bella: il caso di Grafica Veneta, la rinomata ed enorme tipografia che impiegava schiavi pakistani
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Quando la cultura non è bella: il caso di Grafica Veneta, la rinomata ed enorme tipografia che impiegava schiavi pakistani
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Quando la cultura non è bella: il caso di Grafica Veneta, la rinomata ed enorme tipografia che impiegava schiavi pakistani
A differenza di altre tipografie, sia in Svizzera sia in Italia, era impossibile un confronto con lo stampatore, e tantomeno entrare all’interno del gigantesco sedime aziendale situato a Trebaseleghe (PD), se non in occasione di un paio di giornate di porte aperte all’anno. Con Grafica Veneta si lavorava a distanza e in rete, con l’invio dei file e la fiducia in un risultato finale eccellente e veloce.
Oggi, alla luce degli undici arresti effettuati dai carabinieri di Cittadella qualche settimana fa, che hanno visto finire in manette anche due manager del colosso veneto diretto da Fabio Franceschi, la presunta privacy che contraddistingueva l’azienda (o parte di essa) si sta delineando per quello che era in realtà: il tentativo di coprire una gravissima realtà di caporalato. Gli schiavi, dunque, oggi non si limitano più a morire sui campi di pomodoro del sud, ma lavorano anche nelle tipografie e realizzano prodotti destinati allo studio e alla conoscenza.
Gli operai pakistani impiegati da Grafica Veneta attraverso due contractor pakistani naturalizzati italiani, venivano picchiati, torturati, derubati e rapiti. Ed è stato proprio uno di loro, abbandonato lungo una strada dopo essere stato massacrato, a raccontare dell’inferno in tipografia, là dove, si presume, la diffusione del sapere imbocca la strada per il mondo.
Maurizio Maggiani, autore di quel Coraggio del pettirosso che negli anni Novanta gli valse il Viareggio e il Campiello, uno scrittore che ha fatto del rispetto dell’etica del lavoro (e di ogni essere umano, soprattutto gli ultimi e i dimenticati) la propria cifra, arrivando perfino a rinunciare alle passate di pomodoro già pronte, onde evitare il rischio di prestare il fianco al caporalato, ha deciso che non poteva tacere, e dopo avere espresso la propria opinione sulla stampa italiana, si è rivolto anche al Papa. La risposta del Pontefice non si è fatta attendere: accogliendo la domanda di Maggiani, che si chiedeva se forse si dovesse rinunciare alla cultura, ha spronato i cittadini a denunciare, dando valore al coraggio di chiunque non riesca a tacere davanti a qualsiasi forma di ingiustizia. A questo coraggio ne va aggiunto un altro, forse ancora più arduo: il coraggio della rinuncia, la capacità di dire “no” a qualsiasi forma di vantaggio che si basi sullo svantaggio altrui.
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