Di Francesca Caferri, La Repubblica
KEREM MAHARAL (Nord Israele) — Fuori dalla finestra della casa di Ami Ayalon c’è moltissimo verde: la vegetazione fitta ricopre i fianchi del monte Carmelo, non lontano da qui, e scende fino al villaggio dove uno dei militari più importanti della Storia recente di Israele ha scelto di vivere. Pluripremiato eroe di guerra, ex capo dei commando della Marina prima e capo di Stato maggiore della stessa poi, per cinque anni direttore dello Shin Bet, il servizio segreto interno, ex parlamentare, è da tempo una voce importante nel campo di quelli che cercano una soluzione condivisa al conflitto israelo-palestinese, tanto da aver lanciato, già dal 2003, un’iniziativa congiunta con l’intellettuale palestinese Sari Nusseibeh a supporto della soluzione dei Due Stati.
Direttore, posizioni come la sua negli ultimi mesi sono difficili da trovare…
«La Storia di questo Paese ci insegna che solo dopo una grande crisi siamo in grado di cogliere le opportunità che abbiamo davanti a noi. Pensi alla pace con l’Egitto dopo la guerra dello Yom Kippur. Io sono convinto che dall’orrore del 7 ottobre possano nascere opportunità: e non sono il solo a pensarla così».
Un ottimista?
«Non baso il mio giudizio sui valori morali o sulle aspirazioni: parlo dal punto di vista della sicurezza. Il 7 ottobre Hamas sapeva bene che ci sarebbe stata una reazione da parte di Israele e che sarebbe stata violenta. Ci hanno spinto in una trappola, portandoci dentro Gaza e nascondendosi fra la gente, in modo che facessimo più vittime civili possibili, per dire al mondo che questo è Israele. L’unica maniera per uscire dalla trappola è crearne noi una per loro. Qual è il loro incubo? La soluzione dei Due Stati, perché li renderebbe politicamente irrilevanti: come del resto erano quando il processo di Oslo era in corso. E dunque per sconfiggere Hamas dobbiamo creare un orizzonte per i due Stati. E per fare questo dobbiamo capire che non tutti i palestinesi sono Hamas».
Missione difficile quando i sondaggi danno i consensi di Hamas fra i palestinesi alle stelle…
«Ha ragione. Oggi il 70-80% dei palestinesi appoggia Hamas: ma non perché ne condivide l’ideologia estremista, bensì perché ai loro occhi sono i soli che combattono per uno Stato palestinese. Lo dimostra il fatto che lo stesso 80% dei palestinesi rifiuta la sharia che invece Hamas vorrebbe introdurre. Per quanto riguarda gli israeliani, più dell’80% vuole una separazione, un confine netto, con i palestinesi: non mi interessa se è perché li amano o perché li detestano. Facciamo questo confine».
Lei parla di Due Stati: ma in Cisgiordania ogni possibilità di separazione è compromessa dall’avanzata sul territorio degli estremisti ebrei. Insediamenti illegali, strade bloccate: la continuità territoriale disegnata a Oslo non c’è più.
«È chiaro che dovrà esserci un processo politico per far ripartire il dialogo. Servono elezioni in Israele e un nuovo governo che poi si sieda e discuta uno scambio di territori. Dobbiamo parlare con i palestinesi ma prima dobbiamo decidere noi: cosa vogliamo? Gli estremisti alla Smotrich e Ben Gvir (i membri dell’estrema destra nel governo, ndr) vogliono portarci verso uno Stato unico, il nostro: l’80% degli israeliani dice no. Perché sa che uno Stato unico non sarebbe mai sicuro».
La premessa a questo ragionamento è il dialogo: qui, oggi, pare impossibile anche solo pensarci.
«Se uccidono i tuoi figli e violentano tua moglie vuoi una cosa sola: vendetta. All’inizio l’intervento su Gaza è stato una risposta legittima a un attacco, Israele aveva il diritto di difendersi. Il problema ora è: cosa vogliamo ottenere? Il nostro obiettivo dovrebbe essere una realtà politica a noi più favorevole a Gaza, invece facciamo sempre lo stesso errore: puntiamo alla sconfitta militare di Hamas e crediamo di aver vinto così. Ma Hamas non si sconfigge in questa maniera: è un’ideologia. Potremo uccidere i loro leader, distruggere le loro armi, ma il giorno dopo due ragazzini prenderebbero un coltello e colpirebbero, ispirati da Hamas. Di nuovo, vede, le parlo dal punto di vista della sicurezza, non dell’ideologia. Come fermiamo questa spirale? Gli israeliani non capiscono i palestinesi. Li vedono come popolo, ma non come un popolo: pensano che basterà dare loro qualche beneficio economico, invece i palestinesi sono un popolo, una nazione, aspirano alla libertà e sono pronti a morire per questo. Uno Stato è ciò che dobbiamo dargli».
In questa partita, che ruolo gioca Marwan Barghouti? Lei ne ha chiesto la liberazione…
«Nei sondaggi Barghouti è l’unico che batte sempre Hamas. Penso che meriti una possibilità. Crede nei Due Stati ed è un leader riconosciuto per la sua militanza: solo una persona con questo profilo potrà fare scelte difficili per la sua gente. Come due ex militari del calibro di Rabin e Sharon hanno fatto in passato per Israele».
Nell’immagine: Marwan Barghouti