Per l’oppositore diventato prigioniero politico Ilja Jashin oggi è stato il secondo compleanno dietro le sbarre. Condannato nel dicembre 2022 a otto anni e mezzo di carcere per “fake news” sull’esercito russo per aver parlato di Bucha, ha compiuto 41 anni nella colonia penale Ik-3 di Smolensk in un “Pkt”, una cella di rigore, il regime di detenzione più duro dove è stato confinato “a titolo permanente” dopo aver trascorso già quasi un mese in una cella di punizione. Lo stesso trattamento che era stato riservato ad Aleksej Navalny, l’oppositore morto in carcere lo scorso febbraio.
Jashin, però, resta “ottimista”. “Sono sicuro che il regime di Putin farà la stessa fine dell’Urss”, ci ha scritto dal carcere con nove pagine numerate e vergate a mano con penna blu rispondendo alle domande che Repubblica è riuscita a inviargli tramite i suoi avvocati. E ha lanciato un appello all’Occidente: “Non dimenticate che il mio popolo è ostaggio di Putin, non mettete sullo stesso piano terroristi e le vittime. E salvate l’Ucraina”.
Jashin, ci può descrivere le condizioni della sua prigionia?
“In carcere tutto si riduce a una costante pressione psicologica che non ha nulla a che fare con la legge, ma puzza fortemente di politica marcia. Pressioni che si sono intensificate bruscamente dopo l’insediamento di Vladimir Putin per un quinto mandato. I carcerieri, ad esempio, hanno confiscato tutti i miei libri, pur approvati dal censore: romanzi storici, narrativa, saggi. Dopo varie discussioni, mi hanno permesso di tenere soltanto la Bibbia, ma hanno proibito i miei incontri mensili con il prete, che erano pur mio diritto. Mettendomi in una cella di punizione, hanno impedito l’incontro con i miei genitori e ora che sono in una cella di rigore non potrò più vedere la mia famiglia neppure in futuro.
Adesso il mio spazio è una cella angusta di tre metri per quattro che condivido con un vicino condannato per furto ed estorsione. La cella ha un water, una sedia piccolissima e due brande fissate al muro, che vengono abbassate soltanto dalle 8 di sera alle 5 del mattino. Il resto del tempo non puoi sdraiarti, puoi soltanto stare in piedi o seduto. Danno da mangiare tre volte al giorno, ma il cibo è piuttosto scadente: molti prigionieri hanno regolarmente crampi allo stomaco. Dal rubinetto esce soltanto acqua fredda. C’è odore di fogna, umidità nell’aria, orde di insetti… Sapevo che una prigione russa non fosse il luogo più umano al mondo, ma non pensavo a questi livelli. Sembra che abbiano deciso di ricreare con accuratezza storica gli scantinati della Gestapo.
Posso immaginare, ovviamente, perché la pressione su di me sia aumentata e perché le condizioni di detenzione stiano diventando sempre più simili a una tortura. A quanto pare, anche da dietro le sbarre, la mia voce contro la guerra, contro la dittatura, si sente e influenza la società. Questo irrita le autorità. L’obiettivo è chiaramente indurmi a tacere. Ma non importa quanto sia difficile, non rimarrò in silenzio e non mi adatterò a questo sistema cannibalesco. Dopotutto, sono rimasto in Russia dopo l’inizio della guerra, sapendo che il carcere era inevitabile, perché ritengo sia importante esprimere una posizione pacifista e difendere la bandiera del mio Paese, che Putin ha macchiato di sangue e fango. Sin dall’inizio sapevo che sarei stato messo alla prova e che avrei dovuto pagare un prezzo elevato. Pago questo prezzo con orgoglio e nella speranza di avere abbastanza salute, forza e coraggio per bere questo calice sino in fondo”.
Lei ha perso due amici nella lotta contro il Cremlino: Boris Nemtsov e Aleksej Navalny, che questo mese avrebbe compiuto gli anni come lei. Molti russi pensano che con la loro morte sia morta anche la speranza nella “bella Russia del futuro”. Anche lei prova lo stesso? O resta ottimista?
“Dopo la confisca dei miei libri, ho chiesto al bibliotecario locale qualcosa di interessante da leggere. Mi ha portato la biografia di Andrej Sakharov, uno dei più importanti dissidenti sovietici. E così ho letto come Sakharov nel 1973 discusse con Aleksandr Solzhenitsyn, l’autore de L’arcipelago Gulag. Sakharov sosteneva che il regime comunista sovietico fosse forte e solido e che i dissidenti non avessero alcuna possibilità di cambiarlo, ma potessero solo preservare la loro integrità morale e dignità. E Solzhenitsyn rispondeva di non avere controargomentazioni razionali, ma “una stupida, contraria alla logica, fede nella vittoria”.
In questa discussione di cinquant’anni fa, la posizione di Solzhenitsyn mi è ovviamente più vicina. Spesso mi definisco un ottimista. Senza questa “stupida fede” o, più semplicemente, speranza, in Russia non solo è difficile impegnarsi nella politica di opposizione, ma anche sopravvivere. La fede, a proposito, si rivelò non così stupida, dal momento che ebbe ragione Solzhenitsyn: il sistema totalitario sovietico, che sembrava un monolite, crollò di colpo.
Sono sicuro che il regime di Putin farà la stessa fine: la tensione interna dovuta a guerra, corruzione e tirannia alla fine lo faranno semplicemente a pezzi. Noi non dobbiamo cedere alla disperazione, dobbiamo restare calmi e testardi e costantemente fedeli alla nostra linea, nonostante le difficoltà. Questo è ciò che cerco di ispirare ai miei connazionali con l’esempio personale”.
Dopo la morte di Navalny, ogni prigioniero politico è a rischio in Russia. Lo ha scritto lei stesso. Non ha paura per la sua vita? E per la vita dei suoi amici in cella come Vladimir Kara-Murza, Oleg Orlov o Aleksej Gorinov?
“Lo dico sinceramente: ho paura soprattutto per Vladimir Kara-Murza. Il Cremlino lo odia apertamente perché, insieme a Boris Nemtsov, ha ottenuto l’adozione della legge Magnitskij negli Stati Uniti che ha portato a dolorose sanzioni personali contro persone molto influenti della cerchia di Putin. Le prove di questo odio sono la crudele condanna a 25 anni di carcere e i due attentati alla sua vita. Vladimir si trova ora in una colonia siberiana in condizioni simili alle mie, ma dopo gli avvelenamenti subiti, la sua salute è precaria. Non è esagerato dire che Kara-Murza potrebbe morire o essere ucciso da un momento all’altro. Perciò, lo scorso febbraio, ho lanciato un appello ai leader mondiali, tra cui il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, chiedendo di inserire Vladimir nella lista dei prigionieri da scambiare e di farlo uscire da dietro le sbarre. Sono pronto a ripetere il mio appello. Voglio sottolineare che per me non pretendo alcuno scambio, ma chiedo di salvare la vita del mio compagno. Naturalmente mi preoccupa anche la sorte di Aleksej Gorinov, Oleg Orlov, Boris Kagarlitskij e di altri prigionieri politici che, a causa della loro età e salute, attraversano un periodo particolarmente difficile in prigione. Vorrei menzionare anche l’artista pacifista Sasha Skochilenko, che soffre di una malattia cronica che è peggiorata in prigione e minaccia la sua vita. Tutte queste persone si comportano, sia in tribunale che dietro le sbarre, con eccezionale coraggio e dignità, fonte di orgoglio. Ma ognuno di loro è in pericolo. Dopo la morte di Navalny, il livello di preoccupazione per i prigionieri politici è enorme”.
Vladimir Putin è al potere da quasi un quarto di secolo e da poco si è insediato per un quinto mandato. Pensa mai che sia stato tutto inutile: le “passeggiate” di dissenso, le proteste in piazza Bolotnaja, la morte di Nemtsov e Navalny, la sua prigionia? O che si potesse fare di più? Che cos’è mancato all’opposizione russa perché non restasse soltanto dissenso?
“Niente è stato inutile, perché abbiamo combattuto non tanto per il potere, ma per il futuro del Paese, per le menti e le anime della nostra gente. I nostri sforzi erano e restano mirati ad aprire gli occhi delle persone su ciò che accade intorno a loro, a spingerle a diventare cittadini e a partecipare attivamente alla vita della società e a insegnare loro a sentirsi responsabili in prima persona per la Russia. Naturalmente non tutto ha funzionato, ma penso che abbiamo comunque vinto la battaglia per la nuova generazione contro Putin.
Guardate gli studenti di Università e scuole superiori, i giovani sotto i 30 anni. Si vede a occhio nudo che pensano più liberamente, sono indipendenti nei giudizi, percepiscono le informazioni ufficiali con scetticismo. Molti hanno scelto l’emigrazione forzata (e, spero, temporanea) per non essere soggetti alla mobilitazione, per non diventare occupanti e assassini. Anche nei sondaggi ufficiali il sostegno alle autorità è minimo tra i giovani. Le marce narrazioni sulla rinascita dell’Urss e sulla costruzione di un impero non fanno presa su di loro: vogliono vivere in un mondo aperto e libero.
Non pensate però che voglia evitare di rispondere. Accetto le critiche rivolte all’opposizione democratica e sono consapevole della nostra responsabilità, almeno in parte, per quanto sta accadendo. Siamo senza dubbio responsabili della nostra disunione. In alcuni episodi della storia moderna non abbiamo mostrato la necessaria durezza, ma in altri, al contrario, siamo stati troppo intransigenti. Ma eravamo e rimaniamo onesti con noi stessi e con il nostro popolo. Vogliamo sinceramente pace, libertà e prosperità per la nostra Patria, e i migliori di noi hanno sacrificato la vita per questo.
Eppure è necessario ricordarlo: la ruota della storia gira lentamente e i cambiamenti a volte durano decenni. Ricordate quanto tempo António de Oliveira Salazar governò il Portogallo, come Francisco Franco detenne un potere quasi illimitato in Spagna per più di quarant’anni… Ma alla fine, le leggi della storia e il cambio generazionale hanno messo ogni cosa al suo posto, le dittature sono diventate un ricordo del passato e sono state sostituite da sistemi democratici. Lo stesso accadrà al regime di Putin. I dinosauri settantenni dell’era della Guerra Fredda stanno scomparendo dalla scena e una nuova generazione subentrerà. Tutto accadrà davanti ai nostri occhi”.
Quindi non pensa che Putin supererà Stalin come leader più longevo? Il suo consenso è alto, l’economia non crolla, la Cina e le altre potenze del Sud globale continuano a sostenerlo. La propaganda fa breccia e – da quello che scrive – arriva persino in carcere tanto che è costretto a tapparsi le orecchie per non ascoltarla. I russi possono ancora fare qualcosa?
“Non credo valga la pena discutere seriamente dell’indice di gradimento di Putin in condizioni di controllo totale della politica e delle istituzioni pubbliche, elezioni castrate, arresti e omicidi dei leader dell’opposizione. Ai tiranni piace attribuirsi una popolarità impressionante: è una caratteristica dei regimi. Nicolae Ceausescu, ad esempio, aveva un indice di gradimento superiore all’80% il giorno prima delle proteste di massa in Romania, della rivoluzione e sua esecuzione. Anche per la nostra economia non è tutto roseo. La Russia sta bruciando le riserve nazionali gettandole nella fornace della guerra. Sì, il sistema ha un margine di sicurezza, ma l’economia sta sperimentando una regressione, una demodernizzazione ed è compromessa dalla stessa corsa agli armamenti globale che distrusse l’Unione Sovietica. Non menziono nemmeno i problemi demografici…
Quanto alla Cina, non sostiene la Russia, ma approfitta della situazione attuale per trasformare il nostro Paese in una stazione di servizio a buon mercato per i suoi bisogni e in un mercato per le sue merci. A dispetto dei discorsi sull’amicizia, non ci sono ancora stati seri investimenti cinesi nelle infrastrutture russe e nei progetti comuni i partner cinesi difendono duramente e, in modo direi addirittura predatorio, i loro interessi, caricando i costi principali sulla Russia. Non è un segreto che i legami economici di Pechino con gli Stati Uniti e la Ue siano molto più profondi e ampi che con la Russia. Dubito che Xi Jinping li sacrificherà per il bene di Putin e delle sue ambizioni. Non prendete per oro colato tutto ciò che trasmette la propaganda del Cremlino.
Rispondendo alla vostra domanda, ovviamente non so per quanto tempo Putin rimarrà al potere. Ma sono convinto che il periodo finale del suo regno sarà molto inquietante e instabile. Ha perseguito una politica troppo avventurosa e ha esposto il Paese a troppi rischi. I russi devono prepararsi a difendere i loro diritti in questo crepuscolo della dittatura e ricordare chiaramente che gli interessi della Russia e gli interessi di Putin sono sempre più in contraddizione e in conflitto diretto”.
L’Occidente che colpe ha? Può ancora fare qualcosa per lei o i russi in libertà che la pensano come lei?
“Non sono un pubblico ministero per formulare accuse e non penso che sarebbe corretto per me muoverne contro i vostri politici. Lasciamo che lo facciano i loro elettori. Ma è più o meno ovvio a tutti che la politica pluriennale dell’Occidente volta a rabbonire e a pacificare Putin, per usare un eufemismo, sia stata irragionevole. Putin ha percepito il compromesso e la morbidezza dei politici europei come una debolezza, che gli ha dato carta bianca sia per l’aggressione ibrida contro i Paesi della Ue sia per l’invasione militare dell’Ucraina.
Ma anche l’attuale politica dell’Occidente nei confronti della Russia solleva seri dubbi e interrogativi. Bisogna essere consapevoli che le sanzioni che colpiscono ciecamente il popolo russo non fanno altro che rafforzare il potere di Putin, dandogli l’opportunità di parlare di russofobia, di crescente minaccia esterna e necessità di isolare la Russia, mentre spende sempre più soldi per esigenze militari.
Che cosa fare? Parlando in senso figurato, bisognerebbe utilizzare i meccanismi di sanzioni non come mezzo di distruzione di massa con inevitabili perdite tra i civili, ma come misura ad alta precisione contro specifici criminali di guerra, oligarchi, amministratori politici e propagandisti. Il punto è rendere Putin tossico per la sua cerchia e stimolare una divisione nelle élite del Cremlino, e non spingere il popolo russo tra le braccia del dittatore e contribuire a renderlo più coeso. Nemtsov una volta disse ai leader occidentali: non toccate la gente, punite i furfanti. Vorrei aggiungere: non dimenticate che il mio popolo è ostaggio di Putin e non identificate i terroristi e le loro vittime. Capisco perché l’Occidente si stia separando dalla Russia con muri, recinzioni e filo spinato, ma una simile politica non garantisce la stabilità strategica. Ora è importante chiedersi come sarà la Russia dopo Putin e come integrarla nel mondo libero e nel sistema di sicurezza europeo. Sono convinto che ai nostri interessi comuni non corrisponda una Russia totalitaria cupa e aggressiva circondata da mura, ma un Paese democratico, aperto al mondo, che rispetta il diritto internazionale e non rappresenta una minaccia per nessuno.
Parlando in generale, oggi il compito chiave dell’Occidente è la salvezza dell’Ucraina. Non si può permettere a Putin di divorarla. La perdita della sovranità da parte di Kiev e il suo ritorno nella sfera di controllo del Cremlino prolungheranno la vita del regime di Putin, infliggeranno un duro colpo all’intero mondo libero e destabilizzeranno l’intero sistema di sicurezza internazionale. Occorre mostrare la massima fermezza e coerenza, non mancare di coraggio e non lasciare che il Cremlino si mostri più furbo”.
Il conflitto in Ucraina dilaga anche in carcere. Hanno cercato di costringerla a cucire uniformi per i soldati e ha incontrato detenuti che hanno deciso di arruolarsi per combattere in Ucraina per poi morire al fronte oppure disertori incarcerati. Che cosa pensano gli altri prigionieri del conflitto?
“Il tema della guerra penetra nel carcere probabilmente in modo ancora più forte e profondo che in altri ambiti della società russa. Dopotutto una parte significativa delle unità d’assalto dell’esercito russo in Ucraina sono prigionieri, che ormai da due anni vengono reclutati in massa nelle colonie e gettati in battaglia come carne da cannone. Due anni dietro le sbarre mi hanno permesso di accumulare molti contatti con persone che sono state al fronte o intendono andarci. Ne ho concluso che per i russi non è una guerra popolare, né patriottica, come Putin cerca di presentarla, ma una guerra commerciale. È così che perlomeno viene percepita dai partecipanti ordinari. Si contano sulle dita di una mano i prigionieri che ho incontrato che erano pronti ad andare in Ucraina per ragioni ideologiche. Per la maggior parte, la vera motivazione era l’opportunità di ricevere una paga significativa per gli standard russi e, naturalmente, la possibilità di essere liberati e vedere annullata la pena detentiva. Confesso di essere rimasto colpito dall’atteggiamento cinico di alcuni dei miei interlocutori nei confronti dell’invasione militare di un Paese straniero.
Allo stesso tempo, c’è una differenza significativa tra coloro che sono già stati in guerra e coloro che stanno pianificando di prendervi parte. I primi hanno l’orrore negli occhi. Molti di loro hanno sinceramente paura di tornare al fronte, perché hanno visto con i loro occhi come i loro compagni siano stati fatti a pezzi dai proiettili e in che modo insensato i comandanti mandino la fanteria al macello. Chi ha visto e sentito è meno propenso a pensare ai soldi e non è ansioso di andare in trincea. Ci sono sempre più persone che finiscono in prigione a causa della diserzione, dell’abbandono di un’unità militare o della riluttanza a tornare al fronte dopo il congedo. Preferiscono una condanna penale alla morte. Ma chi conosce la guerra soltanto a parole e ha appena firmato un contratto con la Difesa si fa molte illusioni. Pensa che la guerra sia come un videogame e, per dirla con Iosif Brodskij, che “la morte è qualcosa che accade agli altri”. Penso che mi abbiano isolato in una cella di rigore perché in prigione ho fatto del mio meglio per dissuadere i dubbiosi dall’andare in guerra. E il mio mancato silenzio probabilmente rovinava i piani e le statistiche delle autorità carcerarie. Ma non me ne pento affatto perché è difficile per me guardare in silenzio come le persone vengano portate al massacro”.
Nell’immagine: Ilja Jashin durante ilprocesso