La guerra di Victoria Amelina e degli altri scrittori ucraini in cerca di verità
Victoria Amelina, la poetessa ucraina che fotografava gli orrori sui civili, uccisa da un missile russo a Kramatorsk
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Victoria Amelina, la poetessa ucraina che fotografava gli orrori sui civili, uccisa da un missile russo a Kramatorsk
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Victoria Amelina, la poetessa ucraina che fotografava gli orrori sui civili, uccisa da un missile russo a Kramatorsk
Di Paolo Giordano, Corriere della Sera
Ieri la concretezza della guerra ha raggiunto un nuovo stadio per molti di noi: scrittori e scrittrici, giornalisti, traduttori. È accaduto inaspettatamente, in un momento in cui la nostra partecipazione emotiva era prosciugata. Ma Victoria Amelina la conoscevamo in tanti: nell’ultimo anno e mezzo è stata una delle voci ucraine più presenti all’estero, per via dei suoi libri tradotti, del suo inglese impeccabile e di una determinazione personale, che incuteva quasi soggezione.
L’avevo intervistata per il Corriere insieme ad altri artisti, dieci giorni dopo l’invasione su larga scala, ed era stata lei a farmi da ponte verso altri autori. Mi aveva parlato del festival letterario che negli anni del conflitto a bassa intensità organizzava a New York, in Donbass, molto vicino al fronte, poi aveva commentato con tristezza: «Suppongo che d’ora in avanti tutti i festival ucraini saranno sul fronte».
I suoi tweet erano sempre corredati da una fotografia, scene di distruzione, colleghi uccisi al fronte ma a volte anche fiori e cestini di fragole. Talvolta compariva lei stessa, una giovane donna con i capelli lunghi sempre sciolti. In una poesia di maggio 2022 scriveva: «E tu mai, / ricordatelo, mai / sarai senza la tua casa».
Il 23 giugno, alla fiera del libro di Kiev, Victoria ha presentato la pubblicazione del diario di Volodymyr Vakulenko, un altro scrittore, ucciso nella zona di Izyum, il cui corpo è stato ritrovato nelle fosse comuni e identificato grazie al Dna. È stata lei a disseppellire (letteralmente: disseppellire) il diario, nascosto dove lui aveva indicato. Quattro giorni dopo la fiera di Kiev, il 27 giugno, Victoria era di nuovo in viaggio nelle aree liberate del Donetsk, insieme a una delegazione di scrittori e giornalisti colombiani, tra cui Hector Abad Faciolince. Si sono fermati a mangiare al ristorante Ria. «Ero di fronte a lei — mi ha scritto Hector Abad —. Stavamo scherzando sul fatto che non si potesse bere dell’alcol a Kramatorsk. Lei aveva in mano una birra zero e io un bicchiere di succo di mela. Mi ha detto sembra whisky, e ha sorriso. In quel momento ci è cascata la morte dal cielo».
Il giorno in cui è stata colpita da un missile di precisione, Victoria stava producendo cultura.
In quel momento era una scrittrice e faceva quello che una scrittrice può trovarsi a fare in tempo di guerra: mostrare ad altri che cosa era successo e continuava a succedere nel suo Paese, contagiare il maggior numero di persone possibile con la verità, affinché loro ne contagiassero altre con la stessa verità, ovunque, fino in Colombia.
Da un anno e mezzo, chi scrive poesie e romanzi in Ucraina è anche un fixer, un volontario o direttamente un soldato, ma rimane pur sempre uno scrittore, il tramite privilegiato con il mondo più largo, che tende a distrarsi, a dimenticare.
Victoria è stata trasportata a Dnipro, dove ha subito un intervento. Un’amica comune mi mandava brevi dispacci, mattino e sera, sulle sue condizioni, sulle condizioni di «Vika», raccomandandomi di tenerle riservate per cautela nei riguardi del figlio. La gravità era chiara dall’inizio, le speranze basse, forse nulle. Eppure anch’io, nel tempo della sua agonia, ho coltivato l’immagine irrealistica di quando l’avrei finalmente incontrata di persona, convalescente.
Da ieri, la morte portata dall’invasione dell’Ucraina ha zero gradi di separazione con me, con molti di noi. E la comunità degli scrittori — una comunità europea, mondiale — affronta il suo lutto più grave di questa guerra. Perché nell’ospedale di Dnipro non è solo morta una scrittrice: una scrittrice è stata uccisa facendo quello che tutti noi facciamo al nostro meglio nella nostra porzione di mondo, scrivendo, testimoniando, organizzando manifestazioni, coinvolgendo altri.
Victoria Amelina avrebbe potuto fare diversamente: smettere di andare in Donbass, a New York o Kramatorsk, e parlare della sua Ucraina da un posto sicuro. Gli inviti all’estero non le mancavano, la credibilità neppure, e noi l’avremmo ascoltata comunque. Ma dire che avrebbe potuto fare diversamente non significa che avesse scelta. Non scegliamo il presente da attraversare, e gli scrittori e le scrittrici non hanno neppure una vera scelta su come attraversarlo. Essere «segugi della verità» è spesso l’unico modo; lasciarsene investire è spesso l’unico modo, anche se a volte risulta il peggiore.
Il portavoce del Cremlino Peskov, rivendicando il bombardamento del 27 giugno, ha dichiarato che la Federazione Russa non colpisce infrastrutture civili ma solo obiettivi militari. Ho mangiato anch’io in quel ristorante–obiettivo militare di Kramatorsk. Sarebbe bello che i cripto propagandisti russi in Italia tacessero per un po’, non a lungo, certo che no, perché non si nega la parola a nessuno (qui), ma almeno per un po’, fino a quando Victoria non sarà sepolta. Quanto a me, alla domanda «vuoi tornare in Ucraina per cosa?», da oggi ho una risposta dolorosa ma anche molto facile: voglio tornarci per Vika.
Nell’immagine: Victoria Amelina
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