Marco Chiesa. Magari è razzista, ma comunque è immune
I parlamentari godono dell'immunità nell'esercizio delle loro funzioni. Ma è giusto che possano beneficiarne anche quando agiscono come presidenti di partito?
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I parlamentari godono dell'immunità nell'esercizio delle loro funzioni. Ma è giusto che possano beneficiarne anche quando agiscono come presidenti di partito?
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I parlamentari godono dell'immunità nell'esercizio delle loro funzioni. Ma è giusto che possano beneficiarne anche quando agiscono come presidenti di partito?
Senza entrare nel merito della questione se la campagna fosse effettivamente razzista oppure no – compito che deve essere lasciato dal profilo penale ai giudici e dal quello etico alle sensibilità personali – la decisione della Commissione è interessante proprio perché propone un’interpretazione del concetto di immunità forse un po’ troppo estesa.
In effetti i parlamentari federali, come anche i consiglieri federali e il cancelliere della Confederazione, beneficiano di due tipi di immunità: una assoluta sancita dalla Costituzione (art. 162 cpv.1) per quanto da loro espresso nelle Camere federali o nei vari organi parlamentari; una relativa per quanto da loro fatto o espresso in azioni direttamente connesse alla loro condizione di eletti. Entrambe sono funzionali, per cui non vi si può rinunciare. La prima però li protegge da ogni sanzione penale e civile (fanno eccezione le misure disciplinari interne al Parlamento) e non può essere soppressa, la seconda invece sì e li protegge dalle azioni penali ma non da quelle civili.
La richiesta di soppressione deve essere presentata non appena l’autorità di perseguimento penale sospetta che un membro dell’Assemblea federale abbia commesso un reato. Costituisce dunque un atto che deve essere adempiuto prima dell’avvio dell’inchiesta, non durante o addirittura dopo. Il che significa che il reato non è ancora appurato ma solo ipotizzato e che quindi l’inchiesta potrebbe anche sfociare in un non luogo a procedere.
Nel caso di Chiesa la commissione ha di conseguenza dapprima dovuto decidere di quale tipo di immunità poteva godere e se ne poteva godere. In effetti se avesse goduto dell’immunità assoluta o se la Commissione avesse deciso che non vi era alcuna relazione diretta tra i fatti contestati e l’attività parlamentare, la Commissione avrebbe deciso di non entrare in materia sulla richiesta della magistratura bernese: nel primo caso ciò avrebbe impedito l’avvio dell’azione penale, nel secondo l’avrebbe permessa.
Ed è appunto qui che nasce un problema. Perché nell’autunno 2023 sia Marco Chiesa che il correo Peter Keller, allora segretario generale UDC, erano sì ambedue parlamentari, ma è altresì evidente che la campagna elettorale non venne studiata, elaborata e infine approvata dal consigliere agli Stati Marco Chiesa e dall’allora consigliere nazionale Peter Keller, ma dalla direzione del partito nel suo insieme, due organi (due funzioni) quindi nettamente distinti. Per lo meno così ci pare.
Malgrado ciò la Commissione degli affari giuridici ha deciso che il mandato politico di Marco Chiesa è direttamente “connesso alla posizione da lui rivestita all’interno del suo partito, in particolare nel contesto dell’organizzazione della campagna elettorale federale”, la quale, specifica per di più, “ha portato alla sua rielezione”. Il che significa che, al contrario di quanto affermato nel paragrafo precedente, per la Commissione non vi è distinzione alcuna di funzione (perché, ricordiamolo, è di funzione che si sta parlando) tra la carica di parlamentare federale eletto dal popolo e la direzione di un partito politico, una libera associazione di cittadini sì importante per la nostra democrazia ma non eletta dal popolo. E che anzi, come affermato nel suo comunicato, le due cariche sono talmente interconnesse che “nel presente caso gli interessi istituzionali (interesse pubblico al funzionamento del Parlamento) prevalgono sull’interesse al perseguimento penale”. Interesse pubblico al funzionamento del Parlamento di un presidente di partito…
Interpretazione curiosa, perché già solo dalle modalità di accesso alla carica si dovrebbe per lo meno intuire la pericolosità della parificazione delle due funzioni proprio per il corretto funzionamento delle nostre istituzioni, poiché una trova la sua giustificazione primaria nell’elezione popolare ed è dunque pienamente democratica, l’altra, eletta solo da un gruppo di sodali (la “partes”, appunto), lo è solo in modo molto limitato. Oltre al fatto che per mandato costituzionale (art. 161, cpv. 1: “I membri dell’Assemblea federale votano senza istruzioni”) deputati e senatori dovrebbero esercitare la loro carica in piena indipendenza dagli altri poteri e pure dai partiti di appartenenza, un’indipendenza che la Commissione con questa decisione ha mostrato e ufficialmente sancito essere pura finzione.
Basta saperlo.
Poi, ma solo poi, possiamo cominciare a discutere di libertà di espressione e di formazione dell’opinione pubblica.
Nell’immagine: Marco Chiesa
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