Uno spettro si aggira per il mondo (ma non è il comunismo)
La vertigine che ci prende davanti alla guerra ci sembra analoga alla vertigine che ci cattura davanti al cambiamento climatico
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La vertigine che ci prende davanti alla guerra ci sembra analoga alla vertigine che ci cattura davanti al cambiamento climatico
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La vertigine che ci prende davanti alla guerra ci sembra analoga alla vertigine che ci cattura davanti al cambiamento climatico
Premessa – doverosa per evitare di essere arruolati tra i filo-russi, cosa che non siamo mai stati: Putin è un criminale. E come tale dovrebbe essere processato (insieme ai suoi generali, ma anche al patriarca Kirill) e giudicato da un Tribunale: come quello di Norimberga (di ieri) o dal Tribunale penale internazionale (oggi); ma dubitiamo fortemente che qualcuno lo voglia davvero, troppi e troppo grandi sono gli interessi economici che l’Occidente ha con la Russia (che, non dimentichiamolo, può fare ciò che sta facendo in Ucraina anche grazie alle armi e ai soldi dell’Occidente).
Detto questo, a preoccupare seriamente dovrebbe essere soprattutto il clima guerrafondaio che si sta diffondendo per il globo, con la guerra che viene cioè vista da troppi governi come ineluttabile e le armi da fornire all’Ucraina come una esigenza irrinunciabile (e vengono fatti impropri paragoni con i partigiani che combatterono il nazi-fascismo; mentre si cerca di evitare ogni imbarazzante confronto con l’invasione americana dell’Iraq). La battaglia della propaganda e della disinformazione è combattuta infatti ogni giorno ad alzo zero su quell’altro teatro di guerra che si chiama mondo dell’informazione, reale e virtuale che sia. E allora, usando una frase famosa di Marx ed Engels (nel Manifesto del partito comunista – 1848), dovremmo dire che uno spettro si aggira per il mondo, ma è quello della guerra. Molti, troppi, nella politica e nei mass media sono diventati appunto guerrafondai, producendo nell’immaginario collettivo una replica della futurista guerra come igiene del mondo. Nessuno lo dice esplicitamente, ovviamente: ma i messaggi subliminali che vengono prodotti quotidianamente da politici, mass media e intellettuali organici – al di là della tattica di posizionamento retorico davanti a Putin – questo sembrano voler generare: creare consenso o almeno accettazione di massa della ineluttabilità della guerra su scala più ampia – ma che diviene ineluttabile solo se la si considera appunto tale, in una escalation verbale che passa dalla costruzione della contrapposizione ferina e nichilista tra amico e nemico alla rimozione di ogni pensiero complesso, di ogni valutazione oggettiva dei fatti (magari verificando se nel passato vi siano le cause che hanno determinato gli effetti di oggi), alla rinuncia della ricerca di soluzioni alternative.
Roger Caillois – citato da Marco Revelli in un suo recentissimo commento – nel 1943 aveva scritto di vertigine: “Va chiamata ‘vertigine’ ogni attrazione il cui primo effetto sorprenda e disorienti l’istinto di conservazione”. Cioè, “l’essere umano è trascinato alla rovina e come persuaso dalla visione del proprio annientamento a non resistere alla potente fascinazione che lo seduce terrorizzandolo”. E vertigine è la nostra reazione davanti alla guerra in Ucraina. Ma questa vertigine è anche deliberatamente alimentata e sostenuta dallo spettro della guerra ineluttabile che sembra appunto diffondersi nel mondo e che – a differenza del comunismo di Marx ed Engels che volevano cambiare in meglio il mondo – è puro nichilismo, è azzeramento della morale e della politica, della responsabilità e della possibilità di sopravvivenza, è distruzione dell’uomo e della società. Ma questo messaggio/mantra – ripetuto usando le migliori tecniche del marketing – a poco a poco ci sta abituando a considerare davvero la guerra come ineluttabile e inevitabile. E così (Revelli) “la distruzione e l’autodistruzione, [diventano] come un destino a cui è dolce abbandonarsi, cessando di tentare di nuotare contro una corrente che appare l’ineluttabile corso del mondo”.
Certo, la guerra in Ucraina ha prodotto un’importante gara di solidarietà (ma troppi governi distinguono cinicamente e razzisticamente tra profughi buoni e profughi cattivi – che poi sarebbero gli immigrati/profughi/naufraghi dei Sud del mondo); certo, aumentano le manifestazioni e le marce per la pace; certo, nei sondaggi gran parte della gente si dimostra contraria all’invio di armi, per non dire del resto. Ma la vertigine della guerra è potente, annichilente. E solo Papa Francesco sembra opporsi a questa deriva.
Eppure, la guerra in Ucraina è anche altro rispetto alla narrazione dominante. È una potentissima arma di distrazione di massa – sganciata sulla pelle degli ucraini – per farci dimenticare la guerra che da tre secoli il mondo industrializzato sta combattendo contro l’uomo e contro la Terra, contro l’ambiente e contro il futuro delle prossime generazioni. Di lunedì scorso il nuovo allarme degli scienziati dell’IPCC: “Senza riduzione immediata delle emissioni di CO2, impossibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi” – e la Svizzera è uno dei 20 Paesi più inquinanti del mondo. Non dimentichiamo infatti – e rinviamo all’intervento di Bruno Giussani su queste ‘pagine’ – che la Russia è un grande produttore di fonti fossili e che ha tutto l’interesse, così come il sistema industriale/consumistico occidentale, a far fallire o almeno a ritardare ogni transizione ecologica ed energetica; e infatti l’Occidente sta cercando altro gas e altro petrolio, evitando di puntare seriamente sulle fonti rinnovabili e sul risparmio energetico – per non dire dell’aberrante rilancio del nucleare. E se oggi qualcuno sostiene che la globalizzazione sta tramontando, sconfitta dalla guerra e dai nazionalismi, ebbene mai il tecno-capitalismo è stato così globalmente ecocida come oggi – e mai come oggi il complesso militare industriale è stato così globale, aggiungendo guerra alla guerra, essendo la guerra (non la pace) il suo scopo (la produzione di armi, impone prima o poi il loro consumo, così come la produzione di merci e beni impone che questi siano consumati – e sempre più in fretta).
E allora, la vertigine che ci prende davanti alla guerra impedendoci di reagire cercando di evitare di aggiungere guerra alla guerra, ci sembra analoga alla vertigine che ci cattura davanti al cambiamento climatico, rispetto al quale non facciamo nulla di realmente concreto e nulla di ciò che sarebbe urgente e necessario – cioè: cambiare profondamente, radicalmente il modello di produzione e di consumo tecno-capitalista – e ci abbandoniamo invece a questo che ci viene presentato sempre più spesso (il riscaldamento globale) come un destino ormai ineluttabile a cui dovremo adattarci (avendolo ormai introiettato come way of life), non resistendo, non invertendo la rotta, ma appunto adattandoci alla potente fascinazione del nulla (l’ecocidio) perché da sempre ci seduce il nichilismo: terrorizzandoci sì, ma insieme appunto affascinandoci, perché anche l’indifferenza è vertigine, una vertigine diventata abitudine sublimata. Portandoci nel totalitarismo di un nichilismo integrale (questo è l’ecocidio – oltre alla guerra), neppure più mascherato dalle ideologie totalitarie, ma politiche del Novecento.
Immanuel Kant, molto tempo fa (1795) ci invitava a costruire la pace perpetua. Noi stiamo invece continuando a costruire ogni giorno la guerra perpetua. Guerra militare contro i popoli del mondo (e oggi anche – e di nuovo – tra popoli europei) e guerra tecno-capitalistica contro l’uomo e la biosfera.
Sarebbe tempo – finalmente – di smettere. Di uscire dalla vertigine – dalla nostra fascinazione perversa per il nulla.
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