Mario Tozzi: com’è nato il negazionismo
Tutto è iniziato negli anni 70 con la “strategia del tabacco”. Da allora le lobby cercano di screditare la scienza a colpi di controinformazione. Oggi il “nemico” di chi manipola i dati è l’ambientalismo
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Tutto è iniziato negli anni 70 con la “strategia del tabacco”. Da allora le lobby cercano di screditare la scienza a colpi di controinformazione. Oggi il “nemico” di chi manipola i dati è l’ambientalismo
È almeno dagli anni 90 del XX secolo che il dibattito sul cambiamento climatico all’interno della comunità degli scienziati specialisti (unico terreno di dibattito possibile nella scienza) si è concluso con la dichiarazione che l’attuale riscaldamento globale è anomalo e accelerato rispetto al passato e dipende, con una confidenza e un consenso oltre il 90%, dalle attività produttive dei sapiens. Perché allora sta affiorando un rigurgito non di dubbi (lo scetticismo è il sale della ricerca scientifica), ma di negazionismo vero e proprio che arriva a mettere in discussione il metodo stesso, riportando tutto al rango di semplice opinione? Da dove nasce? Dove vuole arrivare?
Tutto nasce negli Usa alla fine della Guerra Fredda, quando alcuni scienziati precedentemente occupati nel programma atomico nazionale, di grande personalità e fieramente anticomunisti si trovano progressivamente senza una occupazione specifica e con un nemico che andava piano piano scolorendo. C’era bisogno di conquistare nuove posizioni remunerate di rilievo, che trovavano nelle consulenze federali, e di un nuovo nemico, che identificavano nella salute dei sapiens e nell’ambiente. I nomi, tra i quali spiccano Frederick Seitz e Fred Singer, sono sempre quelli: li ritroviamo in tutte le storie che seguono. Il casus belli sono le ricerche scientifiche che, sul buco nell’ozono sì è scatenata una delle prime campagne dei negazionisti per evitare limiti alle multinazionali fino dagli anni 50 mettono in luce la correlazione diretta fra il cancro ai polmoni e fumo di sigaretta. E, dagli anni 70, anche con il fumo passivo, svincolando la malattia dalla decisione libera dell’individuo di fumare oppure no. A quel punto, iniziano le battaglie legali contro le major del tabacco, che assoldano quegli scienziati per un lavoro di controinformazione pseudoscientifico avvalorato dalla loro precedente autorevolezza in altri campi. Nel 1953 un gruppo di ricercatori riesce a dimostrare che il catrame di sigaretta, spalmato sulla pelle di topolini, provoca tumori letali. Lo studio ha una risonanza eccezionale, scatta l’allarme sulla necessità di approfondire le ricerche per combattere la malattia e iniziano le accuse contro le sigarette.
Pochi mesi dopo, nel dicembre di quello stesso anno, si incontrano al Plaza Hotel di New York i presidenti delle quattro maggiori compagnie produttrici di sigarette. Con loro, i tre amministratori delegati delle maggiori società pubblicitarie. Decisero di ingannare il pubblico americano sugli effetti del fumo sulla salute, e per farlo crearono una strategia specifica. Avrebbero convinto (non dimostrato) l’opinione pubblica che le accuse contro il tabacco non avevano fondamento scientifico. Così crearono un Tobacco Industry Research Committee per finanziare nuovi studi che contrastassero la marea di prove scientifiche sui danni del tabacco. Hanno finanziato ricerche per mettere in dubbio il legame tabacco-cancro, hanno commissionato sondaggi che poi sono stati usati per orientare campagne di disinformazione. Hanno distribuito opuscoli e pamphlet a medici, media, politici e cittadini, per ribadire che non c’era motivo di preoccuparsi. L’industria dichiarava che non c’erano le “prove” che il tabacco fosse dannoso e puntava a creare un “dibattito”, convincendo i mass media che per far bene il loro lavoro, dovevano presentare entrambe le posizioni del dibattito stesso.
Nel maggio del 1979 fu proprio Fred Seitz a dirigere un programma che distribuì 54 milioni di dollari verso ricerche scientifiche, sicuramente legittime e affrontate da ricercatori con credenziali impeccabili, che avevano come scopo quello di difendere le compagnie del tabacco. Il fumo provoca il cancro? Ma allora anche lo stress o la cattiva alimentazione. Fior di ricerche analizzavano varie casistiche. Ed erano finanziate proprio dalle industrie del tabacco. Ma l’obiettivo era davvero il progresso scientifico? Non proprio. Si approfondivano le ricerche su altre possibili cause, in modo dal confondere e distogliere l’accusa dalle sigarette. L’obiettivo era combattere la scienza con la scienza, sfruttando l’assenza di conoscenze o le incertezze con ricerche che potessero aiutare a distogliere l’attenzione. Come un gioco di prestigio, in cui la mano destra viene agitata per distogliere l’attenzione dalla sinistra, l’industria del tabacco avrebbe finanziato quelle ricerche che potevano risultare fuorvianti.
Quando iniziano le battaglie legali contro le major del tabacco queste assoldano scienziati come Seitz e Singer per un lavoro di controinformazione pseudoscientifica avvalorato dalla loro precedente autorevolezza in altri campi, per permettere alle compagnie che li pagano, di difendersi e guadagnare tempo. Milioni di pagine di documenti presentati nelle cause contro le industrie del tabacco attestano e confermano questi legami. In particolare, emerge il ruolo cruciale degli scienziati nel seminare dubbi sui legami tra rischi per la salute. Possiamo definirla “la strategia del tabacco”. Il suo bersaglio è la scienza e si basa sull’impiego di scienziati -guidati da avvocati ed esperti in pubbliche relazioni -disposti a puntare il fucile e premere il grilletto.
E i mezzi di comunicazione decidono colpevolmente di prestare fede ai dubbi mercanteggiati da questa lobby, trincerandosi dietro il principio di equilibrio informativo. Principio che in scienza ha ragione di esistere quanto la favola di Cappuccetto Rosso: non si danno la stessa importanza e lo stesso peso informativo alla scienza certificata e a quella prezzolata e non verificata. In questo modo si intimidiscono gli organi si controllo e le vittime che riescono ad organizzarsi solo a partire dagli anni 90 nelle prime class actions di successo, la cui prima vittoria è del 1996.
Lo stesso accade per le piogge acide, un problema ambientale che aveva portato a bruciare letteralmente le foreste nordamericane e scandinave negli anni 70. In questo caso la ricerca scientifica aveva identificato nello zolfo il chiaro e solo responsabile, ma desolforare gli impianti di produzione di energia statunitensi era oneroso e avrebbe comportato una riduzione dei profitti, ragione per cui i negazionisti si sono messi all’opera per insinuare il dubbio che non fosse quello il meccanismo, tirando in ballo fenomeni particolari e, in sostanza, facendo perdere tempo alla regolamentazione del settore.
Sul DDT le cose sono andate peggio: ancora oggi ci sono “scienziati” che, al di fuori del campo delle riviste certificate, criticano il bando del DDT, perché così si sarebbero condannati milioni di bambini per le malattie nei Paesi poveri.Colpevoli i democratici e i radicali statunitensi, influenzati surrettiziamente dagli ambientalisti fomentati dal libro di Rachel Carson, Primavera Silenziosa (1962). Nel libro si mettevano in luce i danni micidiali che i pesticidi stavano recando agli uccelli e agli altri viventi, facendo emergere che se qualcuno fosse costretto a scegliere su chi far rimanere in vita sul Pianeta fra i sapiens e le api, la scelta sarebbe immediata e irrevocabile: gli ecosistemi possono fare a meno dei sapiens, ma non degli insetti. Si è poi scoperto che le zanzare si “adattano” al DDT e che questo risultava inefficace già nelle seconde ondate di malaria susseguenti alle prime irrorazioni.
Come abbiamo già visto, nel 1995 Rowlands, Crutzen e Molinavincono il Nobel per la chimica per aver scoperto il meccanismo di impoverimento dell’ozono che lacerava l’atmosfera causando il cosiddetto buco dell’ozono. E attribuendone la responsabilità al cloro contenuto nei CFC, utilizzati come propellenti nelle bombolette spray e come additivi nei refrigeratori. Per anni i negazionisti avevano tentato di impedire quel rapporto causa – effetto, per proteggere gli interessi delle corporation che fabbricavano CFC, obbligate poi a cessare la produzione e al bando dei CFC solo dopo anni di estenuanti trattative a Montreal (1987). Gli sforzi dei rappresentanti delle industrie puntavano a mettere in dubbio che la riduzione dello strato di ozono fosse reale, o che al massimo, se an che si stesse verificando, non era grave o che fosse provocata dai vulcani. Quindi, uno dei metodi per “spargere” il dubbio, fu quello di creare una contro narrativa: si trattata di una variazione naturale, cinicamente sfruttata da scienziati corrotti allo scopo di procurarsi finanziamenti. E uno dei primi a diffondere queste tesi fu proprio Fred Singer. Diventato primo scienziato al Department of Transportation (Ministero dei Trasporti degli Usa), Singer protestò contro “il panico da ozono” in un articolo pubblica to sulla prima pagina del Wall Street Journal. Ammetteva la lacerazione ma la considerava un episodio “localizzato e temporaneo”, non c’era alcuna prova che la colpa fosse dei CFC. Singer riciclava la vecchia tattica del tabacco, la confutazione per distrazione. Bisognava continuare a sottolineare che esistevano molte cause del cancro della pelle, come “virus”, predisposizione genetica, cancerogeni ambientali, cambiamenti nello stile di vita e anche la dieta. Tutto vero, ma fuori tema.
Singer aveva creato una finzione riecheggiata per un decennio. Era l’inizio della contro-narrativa stando alla quale gli scienziati avevano esagerato prima ed esageravano ancora, e quindi erano inaffidabili. Dietro ai meccanismi dei negazionisti appare la stessa volontà di rallentare e ostacolare ls regolamentazione del libero mercato, vista come una deriva comunista. C’è il tentativo di ridurre il discorso verso uno schema semplice: l’ambientalismo è il nuovo comunismo. Banale ma pericoloso, perché sposta l’attenzione su un piano ideologico, diverso dall’urgenza dei fatti. Anche in questo caso la scienza certificata aveva, invece, correttamente previsto tutto, compreso il fatto che con il bando gli strappi si sarebbero ri cuciti, cosa che si completerà fra il 2040 e il 2066.
E oggi tocca al cambiamento climatico, in una guerra senza quartiere che vede protagonisti anche organi senza alcuna autorevolezza scientifica, in cui appaiono pochissimi scienziati, quasi sempre non specialisti, e molti signor nessuno (nella diramazione italiana perfino un sommelier!), approfittando dell’analfabetismo funzionale del 47% degli italiani e dell’idea, tutta giornalistica, che sulla scienza si deve discutere anche fuori dai circoli deputati. Oppure reclutando scienziati pure autorevoli, ma non specialisti, che danno la colpa del cambiamento al Sole, mentre i dati NASA dicono esattamente il contrario, oppure sostengono che è sempre stato così e l’uomo non c’entra nulla. Posizioni però sostenute non sulle riviste scientifiche peer reviewed, dove avrebbero un senso anche se scettiche, ma nelle interviste a giornalisti compiacenti che si sono occupati fino al giorno prima di cronaca nera o di costume.
Nel 1995 l’IPCC rilascia il suo secondo rapporto sul clima e per la prima volta, al capitolo 8, sono presentate le prove che dimostravano che il riscaldamento climatico era effettivamente provocato dai gas serra. L’autore di quel lavoro era Ben Santer, climatologo e scienziato dalle credenziali impeccabili. Nonostante questo, un gruppo di fisici lo attaccò, scrivendo ai membri del Congresso americano, alle riviste scientifiche e al Department of Energy, chiedendo addirittura che fosse licenziato. L’accusa era quella di aver modificato il suo rapporto per “ingannare i politici e l’opinione pubblica”.
Santer aveva modificato il suo rapporto, è vero, ma non lo aveva fatto per ingannare qualcuno. Lo aveva fatto dopo che i suoi colleghi, scienziati come lui, avevano terminato la loro revisione e gli avevano mandato i loro commenti. Questa è la peer review. Gli autori di studi scientifici devono tener conto delle osservazioni e dei commenti dei revisori e devono correggere gli eventuali errori riscontrati. È l’etica di base del lavoro scientifico. Nessuna affermazione può essere considerata valida – neppure potenzialmente – sino a che non è passata attraverso la peer review. Santer aveva fatto esattamente questo. Era stato attaccato perché si era comportato da bravo scienziato.
Chi lo aveva attaccato non aveva mai proposto le sue cause e le sue conseguenze tesi alternative e non aveva mai contattato IPCC o i suoi scienziati per verificare i fatti contestati. Per ché gli accusatori di Santer non si preoccuparono di verificare come stavano effettivamente le cose? Perché hanno continuato a ripetere le loro accuse anche dopo che era emerso che erano infondate? La risposta è che ovviamente non erano interessati ai fatti. Erano interessati a combatterli.
E chi erano i protagonisti di buona parte degli attacchi? Due fisici in pensione, che abbiamo im parato a conoscere. Proprio loro, Frederick Seitz e Fred Singer. Le accuse contro Santer furono riprese poi da gruppi industriali, riviste, giornali finanziari, trasformandosi in un fango sempre più difficile da ripulire. Se cercate su internet “Santer IPCC” non sarete indirizzati al capitolo 8 scritto dal climatologo, tantomeno al rapporto IPCC del 1995, ma a una galassia di siti che riprendono le accuse lanciate in quegli stessi anni. Un meccanismo subdolo, volto a screditare teorie e persone, senza curarsi delle conseguenze.
Lo stesso meccanismo che sta continuando anche oggi, per cercare di creare una confusione generale, che è il vero obiettivo: i negazionisti non vogliono proporre una verità scientifica alternativa, che non esiste in nessun dato, ma dimostrare che il dibattito è ancora aperto e che la scienza non è unanime.
Proprio quando sono ormai anni che il consenso sulle riviste scientifiche, a proposito del ruolo forzante dell’uomo nel riscaldamento globale, è superiore al 97%. L’obiettivo è impedire ogni forma di regolamentazione del libero mercato, vista come figlia e madre di quel comunismo che i negazionisti ancestrali volevano combattere. Ideologia pura, in base alla quale si bollano paradossalmente come ideologici gli ambientalisti “verdi fuori e rossi dentro” (espressione non a caso coniata proprio negli Usa in quegli anni ruggenti).
Oggi il comunismo è scomparso, ma il nemico è diventato l’ambientalismo: per questo si alimenta un vento oscurantista che tende a ridurre tutto a opinione sulla quale è possibile discettare. E perché devo fare sacrifici o redistribuire ricchezza ai Paesi poveri, quando gli scienziati non sono nemmeno d’accordo fra loro?
La massimizzazione dei profitti, scaricando costi sociali e ambientali, e il mercato senza regole, questa la vera religione, altro che quella di Greta o di Ultima Generazione. E non è un caso che si riscontri un vero livore contro questi ragazzi, alimentato da un’ipocrisia indecente, additando loro come nemici e alzando una cortina fumogena attorno ai veri responsabili.
La crisi ambientale mette a nudo i limiti intrinseci del sistema economico capitalista che non riesce a trovare un rimedio nel libero mercato perché il capitale naturale non è infinito: se Marx avesse messo la questione ambientale al primo posto, le sue previsioni si sarebbero rivelate più azzeccate. (Per quanto: “Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come auto estraniazione dell’uomo e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s’identifica, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la li bertà e la necessità, tra l’individuo e la specie. È la soluzione dell’enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione”, Karl Marx – Manoscritti economico filosofici). Il banchetto è finito, è arrivato il conto e non serve a nulla ignorare il cameriere o additare lui come responsabile del prezzo salato.
Mario Tozzi
Geologo, divulgatore scientifico e conduttore televisivo. È Cavaliere della Repubblica
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