Nobel della Fisica ai padri dell’IA, intimoriti dalla loro creatura
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L’intelligenza artificiale è Nobel. In una decisione che ha generato sorpresa in molti, la Real accademia di scienze svedese ha deciso di concedere il Premio Nobel in fisica ai ricercatori John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton, due dei pionieri della ricerca scientifica che ha portato allo sviluppo del cosiddetto deep learning, il meccanismo su cui si basa il modello di intelligenza artificiale più in voga oggi. ChatGPT, il traduttore automatico, i sistemi di visione per le macchine autonome o i software che creano immagini artificiali, per intendersi.
Mentre lo statunitense Hopfield (nato nel 1933) è un fisico, il britannico Hinton (classe 1947), naturalizzato canadese, è uno psicologo e informatico di formazione. Oltre a quello universitario all’Università di Toronto, il suo ultimo lavoro è stato a Google, per 10 anni, dove ricopriva il posto di vicepresidente di ingegneria, proprio per lavorare sull’intelligenza artificiale. Ma a maggio dell’anno scorso decise di dimettersi per poter parlare liberamente di quelli che lui considera i pericoli della IA, senza temere di danneggiare il suo datore di lavoro.
Il concetto di rete neurale era già stato introdotto negli anni Settanta: ispirato al funzionamento del cervello, si tratta di un sistema che imita il funzionamento dei neuroni, che rafforzano le connessioni sinaptiche quando impariamo qualcosa. Analogamente, le reti neurali artificiali sono costruite da nodi codificati con un valore. I nodi sono collegati tra loro: quando la rete viene addestrata, le connessioni tra nodi attivi contemporaneamente diventano più forti; in caso contrario, diventano più deboli.
NEGLI ANNI Ottanta, Hopfield studiò un sistema ispirato alla fisica per ricostruire immagini incomplete. Nel 1982 scrisse un articolo intitolato «Reti neurali e sistemi fisici con abilità computazionali collettive emergenti»: un articolo rivoluzionario che introdusse un tipo di rete artificiale che può fungere da memoria indirizzabile in base al contenuto, composta da neuroni binari che possono essere «accesi» o «spenti» e che prende il nome proprio «rete di Hopfield».
Nello stesso decennio, Hinton inventa le «macchine di Boltzmann», una tecnica di fisica statistica (la disciplina inventata proprio dallo sfortunato fisico Boltzmann all’inzio del ventesimo secolo) applicata alla scienza cognitiva. È questo tipo di sistema quello che permette di classificare autonomamente immagini o ricostruire pattern (per esempio, prevedere come finisce una frase incompleta).
È STATA una delle persone che ha introdotto l’algoritmo di backpropagation che serve perché le reti neurali apprendano dai propri errori, ed è considerato una referente del deep learning, o apprendimento profondo. Suo è stato il contributo fondamentale nel 2012 per il riconoscimento delle immagini con la rete neurale convoluzionale AlexNet, ispirato nel funzionamento della corteccia visiva animale; una svolta nel campo della visione artificiale.
Dall’anno scorso, Hinton è una delle voci più autorevoli che avvertono dei pericoli della diffusione massiccia dell’IA, che in un’intervista al New York Times definì come una rivoluzione comparabile alla rivoluzione industriale. Hinton è preoccupato che l’intelligenza artificiale possa superare quella biologica per la quantità di dati a cui può avere accesso istantaneamente.
«IL PROCESSO di apprendimento del cervello è molto meno efficiente di quello di un computer», ha detto in una intervista al El País. E mentre il nostro cervello si è evoluto in un determinato contesto, i computer li abbiamo costruiti noi, e nulla impedisce che vengano utilizzati, per esempio, per costruire robot soldato. Per lui è fondamentale investire non solo nello sviluppo di questa tecnologia, che considera «fantastica», ma anche per studiarne la sicurezza.
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