Osservazioni (senza pretese) su un programma
Il PS ticinese a congresso l'8 giugno per ridefinirsi dopo la scissione del 2022 - Di Martino Rossi
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Il PS ticinese a congresso l'8 giugno per ridefinirsi dopo la scissione del 2022 - Di Martino Rossi
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Il PS ticinese a congresso l'8 giugno per ridefinirsi dopo la scissione del 2022 - Di Martino Rossi
Il documento sottolinea che non si tratta di puntare a un partito unico e accenna appena ai temi forti del progetto: “disuguaglianza, clima, parità”.
A breve-medio termine è certamente vero che non è all’ordine del giorno la creazione di un partito unico. Solo a livello comunale si lavora talvolta già con gruppi unitari “rosso-verdi”.
A lungo termine è però probabile che solo un nuovo partito rosso-verde possa evitare il declino definitivo della socialdemocrazia storica o la sua mimesi in un puro e semplice partito di potere centrista del tutto funzionale al sistema, come lo è stato il “blairismo”, ma anche la socialdemocrazia tedesca di Schröder, quella francese di Hollande o il PD di Renzi.
Premessa e verifica della possibilità di evolvere in modo diverso sarebbe l’elaborazione con i Verdi di una piattaforma politica comune: valori – obiettivi – misure operative. Per ora se n’è fatto a meno, ma sarebbe importante avviare subito un lavoro di definizione della piattaforma rosso-verde, così da essere pronti anche per la tornata elettorale degli anni 2027-2028. Dovranno essere tenuti presenti anche gli orientamenti dei rispettivi partiti a livello nazionale e, se possibile, essere sfruttate le competenze del “Forum Alternativo” che si propone sempre di più come espressione dell’area rosso-verde
Rilevante per la riflessione di prospettiva del PS (con o senza i Verdi) è anche quanto i copresidenti candidati a succedere a se stessi accennano in merito a “ideologia” e a “rappresentanza” del partito.
“Uscire dall’angolo ideologico” scrivono: ma cosa vuol dire? Sappiamo che per Marx l’ideologia è una mistificazione, una “narrazione” per far credere che gli interessi di una particolare classe sociale siano “interesse generale”. L’interesse generale o “bene comune” è un’astrazione teorica, la realtà è fatta di interessi molteplici per lo più conflittuali.
Tutte le posizioni politiche “di parte” sono dunque ideologiche, è un dato di fatto. Sarebbe poco credibile e controproducente dichiararsi privi di una “ideologia”, intesa come visione e valutazione della società tramite i valori che orientano l’attività politica verso obiettivi e interessi che si ritengono rilevanti per molte persone. Bisogna invece rivendicare chiaramente gli interessi che si vogliono rappresentare e soddisfare.
Nel documento dei copresidenti si legge che “le classi che rappresentiamo” sono “oggi indubbiamente estese fino al ceto medio”. Il concetto di “ceto medio” come inteso anche dal PS è però una categoria povera di sostanza, di tipo puramente “contabile”: si tracciano linee arbitrarie che separano le persone secondo l’entità del loro reddito e poi ci si dice paladini del “ceto medio”. Lo dicono tutti perché, statisticamente, la maggioranza delle persone (e quindi degli elettori) si concentra attorno alla mediana dei redditi… L’Ufficio federale di statistica considera “classe media” chi dispone almeno del 70% del reddito mediano, ma non più del 150% (in termini di reddito lordo equivalente). Dunque, da 3’970 a 8’508 fr./mese: è un aggregato piuttosto eterogeneo che comprende, nel 2021, il 58% della popolazione totale residente in Svizzera.
Il criterio statistico è poco significativo, ma bisogna tuttavia prendere atto che nelle società odierne “postindustriali” non esistono più ampi gruppi sociali omogenei che percepiscono sé stessi come “classi” portatrici di interessi e obiettivi comuni. In Svizzera, i salariati sono l’85% della popolazione attiva e gli indipendenti il 15%, ma entrambe queste categorie “classiche” sono molto eterogenee al loro interno: come reddito, possesso e/o controllo dei mezzi di produzione, potere su altre persone, capacità di influenzare evoluzioni sociali e scelte politiche, come stili di vita e aspirazioni e, quindi, adesione tendenziale a determinati orientamenti politici.
Non si tratta quindi, per il PS o per l’area rosso-verde, di “rappresentare” o escludere a priori i ceti inferiori, medi o superiori come se fossero omogenei, ma di ascoltare tutti, coglierne interessi e desideri, e conquistare le persone ai valori e obiettivi che si propongono.
Oggi, per le ragioni evocate, non è più possibile definire l’”identità” di un partito in relazione alle “classi” emerse nell’Ottocento e nel Novecento (operai e altri salariati, grande e piccola borghesia, …), o ai presunti interessi di un vago “ceto medio”, o a quelli del “99%” (approccio azzardato dalla Gioventù socialista). L’identità sarà definita dai valori tramite cui il partito legge la società e si dà obiettivi di trasformazione o conservazione.
Questi valori costituiranno l’“ideologia” del partito: da rivendicare, non da negare. Fra questi: uguaglianza dei diritti; libertà reale per tutti; società inclusiva; rispetto delle diversità e promozione della conoscenza e collaborazione reciproca, sia a livello nazionale, sia internazionale; limitazione importante della disuguaglianza economica; esclusione di concentrazioni di potere enormi che sfuggono al controllo democratico; concezione della società come ambito di cooperazione per il mutuo interesse; Stato inteso come attore (ma non esclusivo) di questa cooperazione: garante dei diritti, regolatore dei doveri, gestore di una “cassa comune” che possa assicurare a tutti l’accesso a beni fondamentali; preservazione o ricostruzione di un ambiente e di condizioni climatiche desiderabili; sviluppo come trasformazione coerente a questi valori e non come mera crescita quantitativa di produzione, consumo e lavoro.
L’“ideologia” espressa da questi valori sarà dunque la cornice entro la quale si iscrivono la definizione degli obiettivi politici e gli strumenti per attuarli. È una cornice larga, e non sembra quindi molto convincente invocare, come si legge nel documento dei copresidenti, uno “spazio importante per posizioni più moderate”, di “centro sinistra”, “social-liberali”: cosa vuol dire? Sembra solo un rimpianto autocritico per non aver potuto evitare che un pugno di compagne e compagni se ne siano andati dal PS perché non convinti della sua ricerca di un progetto rosso-verde basato su valori come quelli tratteggiati.
È giusto essere fautori del pluralismo politico in un contesto di democrazia, ma non certo della confusione dentro le aree politiche: perché si priverebbero i cittadini della possibilità di scelte realmente alternative.
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