La ricetta senza fantasia del magistrato dei minorenni
Il disagio giovanile tra repressione, isolamento e qualche idea per affrontarlo in modo diverso - Di Bruno Brughera, membro coordinamento contro il CECM
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Il disagio giovanile tra repressione, isolamento e qualche idea per affrontarlo in modo diverso - Di Bruno Brughera, membro coordinamento contro il CECM
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Il disagio giovanile tra repressione, isolamento e qualche idea per affrontarlo in modo diverso - Di Bruno Brughera, membro coordinamento contro il CECM
700 procedimenti penali nei confronti di “ragazzini” – come vengono definiti dalla giornalista Simonetta Caratti e dallo stesso magistrato – sono un numero spropositato in poco più di 180 giorni!
L’ormai prossimo pensionato ne analizza le cause con una certa approssimazione e direi superficialità. Basta vedere la sua ricetta posta come incipit dell’articolo: “Che i ragazzi abbiano una giornata strutturata, occupata dal lavoro o da una formazione”; un po’ come evocare “il lavoro rende liberi” di triste memoria.
E il tempo libero? Il lavoro, l’occupazione del tempo in generale, sono sicuramente aspetti importanti per la vita di ognuno, ma poi ci sarebbe un altro “tempo”, che non è quello di lavoro ma che è pure, e forse più, uno spazio temporale di esperienza, di formazione, di crescita. Vogliamo a tutti i costi descriverlo soltanto evocandone gli “eccessi”, tanto per condurre rapidamente il discorso alle forme di arginamento e di “sanzione”, magari per enfatizzare e rafforzare l’idea della bontà del CECM (il Centro Educativo Chiuso per Minorenni che forse sorgerà a Castione)?
Il CECM è un centro anacronistico, fortemente voluto dal Giudice e che è stato sostenuto in Gran Consiglio a larga maggioranza da tutti i partiti, ad eccezione del solo Mps e del partito Comunista, per un totale di cinque voti.
Una spesa milionaria che potrebbe invece essere investita per implementare e sostenere i servizi esistenti e promuovere nuove soluzioni, se solo ci fosse lungimiranza e soprattutto la conoscenza dei bisogni reali, legati, ad esempio, alla carenza cronica di servizi per giovani che hanno gravi problemi psichici.
Non si tratta qui, beninteso, di voler negare che esista una problematica questione giovanile che sfocia anche in tafferugli e zuffe di vario genere; andrebbe poi però aggiunto che si tratta di fenomeni per nulla nuovi, che esistono da generazioni per svariati motivi; non è che addebitandone le cause all’eccessivo consumo di alcool (che si vorrebbe reso meno accessibile con un consistente aumento dei prezzi delle bevande) la questione sarebbe risolta, anzi.
Da un magistrato con cotanta esperienza ci si potrebbe legittimamente attendere un’analisi un po’ più approfondita. Non bastano considerazioni del tipo “C’è una fragilità di fondo della società, dei genitori, delle istituzioni, tante frustrazioni, anche economiche, accumulate durante la pandemia”. Lo sappiamo, lo sanno un po’ tutti, i professionisti, i politici. Beh, forse non proprio tutti pensano che questa società abbia molte responsabilità circa il degrado di situazioni famigliari allo sbando, un degrado che ricade anche e soprattutto sui figli.
In molti, però, ritengono che soluzioni facili e dogmatiche non risolveranno un bel niente e che di sicuro il centro prospettato non sarà la soluzione. Ci vuole ben altro. Occorre stimolare i politici e gli amministratori a prendere provvedimenti che non siano solo e unicamente repressivi, ma che possano creare speranza e un futuro da immaginare. Capisco che il ruolo di magistrato sia quello di far rispettare la legge, ma avendo a che fare con giovani, forse, adottare una visione educativa, di accompagnamento, di prospettive costruttive, di opportunità ed esperienze, potrebbe indurre tutta la società ad essere più vigile e comprensiva verso il disagio giovanile ed alcuni suoi “effetti collaterali”. Dire che devono essere più occupati con lavoro o formazione è quanto mai banale, fuorviante e pretestuoso. Chiudere centri sociali e lamentarsi di aggregazioni spontanee in luoghi d’incontro improvvisati è altrettanto da irresponsabili.
Allora che fare? Per esempio, non perpetrare ricette facili e soprattutto non pensare che con del “buon autoritarismo“ delegato, per esempio, ad una fondazione privata prodiga di concetti e valori cristiani, si possa nascondere tra quattro mura, quasi con vergogna, il disagio giovanile.
Per non sembrare solo ostili e critici verso la soluzione prospettata dai politici ticinesi, inclini a scopare sotto il tappeto a suon di milioni i problemi giovanili, potremmo proporre un esempio alternativo a quanto prospettato finora: esiste una realtà straordinaria che purtroppo malgrado vari appelli, rischia di scomparire. Si tratta della fondazione Terra Vecchia, dei villaggi di Terra Vecchia e Bordei nelle Centovalli. Ristrutturati in modo esemplare, due gioielli, due luoghi dove tutti i buoni propositi del magistrato -ma non solo – potrebbero prendere forma con criteri pedagogici, educativi e formativi. Un luogo dove c’è già tutto per accogliere giovani in difficoltà anche gravi, luoghi con un potenziale tuttora inesplorato per immaginare forme diverse di “recupero”, sicuramente più economiche di quelle prospettate con il cubo di cemento armato del CECM previsto a Castione.
Un progetto già concreto, pronto da far rivivere con pochi accorgimenti sotto l’egida del Cantone e una rete di collaborazioni e sinergie fra parastatale e società civile. Ma per realizzarlo ci vogliono buona volontà e lungimiranza, che per ora sembrano soccombere di fronte a soluzioni costose, improntate alla punizione e alla repressione.
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