Per Narendra Modi una vittoria storica che ha il sapore della sconfitta
Il Primo Ministro indiano rimane al potere, ma perde la maggioranza assoluta per la prima volta in 23 anni di carriera politica, e non appare più così saldo al comando
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Il Primo Ministro indiano rimane al potere, ma perde la maggioranza assoluta per la prima volta in 23 anni di carriera politica, e non appare più così saldo al comando
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Il Primo Ministro indiano rimane al potere, ma perde la maggioranza assoluta per la prima volta in 23 anni di carriera politica, e non appare più così saldo al comando
Modi è il secondo leader indiano ad aver ottenuto un terzo mandato consecutivo, prima di lui soltanto il Primo Premier del Paese Jawaharlal Nehru era riuscito in una tale impresa. Queste elezioni erano viste come un referendum su Narendra Modi e quindi i numeri inferiori alle previsioni, risultano uno smacco personale: una figura quasi divina per i suoi sostenitori, il Salvatore di un miliardo di indù, che ha saputo elevare il profilo dell’India nel mondo, ha costruito strade, ponti ed ospedali, rendendo l’economia la più dinamica del mondo. I suoi detrattori lo considerano un estremista di destra, che ha imbavagliato la stampa e incarcerato i suoi rivali.
In mancanza di alternative forti gli elettori lo hanno rieletto, senza però dargli carta bianca. Al contrario hanno dimostrato che la democrazia è più forte di un solo uomo e che nessuno è invincibile. Il fascino di Modi, che ha monopolizzato il paese per dieci anni, non è più in grado di distrarre dalle preoccupazioni di tutti i giorni, come la disoccupazione nelle città e i redditi stagnanti nelle campagne.
Modi ha fatto campagna con vigore fino all’ultimo, partecipando fino a tre o quattro manifestazioni politiche al giorno, consapevole forse di non aver più il cieco sostegno visto nel 2019. Ha cercato di rinnovare il suo appello alla maggioranza indù, accusando l’opposizione di favorire la minoranza musulmana. Una strategia che non ha pagato, al contrario il suo partito ha perso il seggio nel collegio elettorale in cui, sulle ceneri di una moschea, si è costruito il tempio di Ayodhya dedicato al dio Rama.
Il popolo indiano sembra aver colto l’importanza storica di questo momento per la futura direzione del paese. Dare una maggioranza assoluta a Modi significava permettergli di cambiare la costituzione, come auspicato, per dare al Paese un’impronta ancora più indù e mettere fine così all’India creata dopo l’Indipendenza, una democrazia liberale e laica. Senza una maggioranza assoluta alcune politiche del partito nazionalista indù potrebbero venire messe in secondo piano, costringendo Modi ad essere più cauto e consultivo. I suoi alleati regionali sono del resto visti come più accomodanti nei confronti delle minoranze.
Non è un caso che Rahul Gandhi, membro dell’opposizione, abbia ringraziato gli elettori dell’India rurale in particolare, dove Modi ha perso terreno, per aver salvato la costituzione. Il verdetto segna una rinascita dell’alleanza di opposizione INDIA (Indian National Developmental Inclusive Alliance) guidata dallo storico Partito del Congresso, considerato, da anni, in un declino irreversibile.
L’india potrebbe quindi tornare alla sua tradizione di governi di coalizione, alcuni dei quali hanno svolto un ruolo cruciale nell’attuazione delle riforme economiche che hanno contribuito ad una crescita del PIL esplosiva ed invidiata dal mondo intero. Numerosi scenari sono ancora aperti in un Paese che non smette di sorprendere, ma che sembra pronto ad affrontare le incognite del futuro con coraggio e con un messaggio chiaro per i suoi leader.
Nell’immagine: Modi durante la campagna elettorale
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