L’onda rossa è svanita. Chi sperava che l’approvazione della tredicesima AVS fosse un cambio di rotta del popolo svizzero deve ricredersi. No, i cari concittadini non vogliono contenere l’aumento spropositato delle spese per l’assicurazione malattia. L’ipocrita piagnisteo inscenato dagli oppositori sui costi della tredicesima AVS e lo spauracchio contabile sbandierato da politici e commentatori sulle difficoltà di finanziare l’iniziativa 10% hanno sicuramente spaventato parte dell’elettorato.
La Svizzera si spezza: da una parte i germanofoni, dall’altra i latini. Il 57% dei votanti ha detto no a “Al massimo il 10% del reddito per i premi di casse malati”. Così, ancora una volta, la responsabilità individuale batte la solidarietà. La Svizzera benestante maltratta chi fatica ad arrivare alla fine del mese. Si gioca in questi termini il risultato di oggi. Chi è in difficoltà economiche beneficia dei sussidi per l’assicurazione malattia obbligatoria, i ricchi difendono i loro privilegi e non mollano un centesimo; chi è poco sopra al limite che dà diritto agli aiuti prende stangate.
Le famiglie a basso reddito e quelle con bambini spendono mediamente il 14% dei loro introiti per i premi di cassa malati, nel 2007 la percentuale era del 9%. La LAMal, l’assicurazione obbligatoria entrata in vigore nel 1996, prevedeva che il costo per i premi non superasse l’8% del reddito! La campagna degli oppositori, oltre allo spettro dei costi, ha insistito sul fatto che l’iniziativa non risolveva il problema dei costi della salute. Ma non si trattava di questo, limitare i premi al 10% del reddito era un sussidio, un aiuto per chi si trova nel bisogno.
La Svizzera è il Paese che spende di meno per la salute dei suoi cittadini. “Nel complesso – afferma l’esperto di economia sanitaria Joachim Marti – le famiglie svizzere si assumono il 60% dei costi sanitari. È una quota molto più elevata rispetto alla maggior parte dei Paesi OCSE”. Poco più del 20% è finanziato con denaro pubblico. Quindi, “più che l’aumento dei costi della sanità, il problema è l’onere che grava sulle singole persone”.
Katharina Blankart – docente di economia sanitaria a Berna – precisa: “L’assicurazione sanitaria è obbligatoria. Ma non è un vero e proprio regime di assicurazione sociale, perché non si basa sul reddito”.
Carlo De Pietro, professore in management sanitario alla SUPSI, sostiene che la responsabilità individuale è una specie di “totem in Svizzera”: “in quanto Paese ricco potrebbe permettersi di socializzare maggiormente i costi della sanità (…) in quasi tutti gli altri Paesi, le quote sono proporzionali al reddito delle famiglie e spesso il sistema è finanziato dalle imposte”.
Dunque, siamo il Paese che lascia sulle spalle dei cittadini il peso dei costi della malattia. Nessuna solidarietà tra ricchi e poveri, nessuna redistribuzione solidale. Se il popolo boccia una maggiore partecipazione della Confederazione ai costi, come è successo oggi, bisogna puntare sull’assicurazione malattia nazionale con premi basati sul reddito, come avviene in Germania.
In verità, era questa la vera proposta riformatrice che il Partito socialista avrebbe dovuto formulare già anni fa e portare in votazione. Si dovrà fare al più presto, ma intanto i tempi si allungano. Per un’iniziativa popolare ci vogliono almeno tre anni. Il PS ha l’iniziativa in cantiere, non bisogna perdere tempo. Sarà necessario lavorare molto e bene per lanciare una campagna efficace!
I partiti borghesi non hanno pudore. Avenir Suisse, l’associazione padronale, sottolinea che la proporzione dei costi sanitari sostenuti dallo Stato, e quindi finanziati dalle tasse, è aumentata in tre decenni, passando dal 15% al 23%. Un’osservazione ridicola, se pensiamo all’aumento che invece hanno subito il costo della vita e i premi di cassa malati, mentre stipendi e salari sono fermi al palo, o quasi. Una considerazione che conferma la malafede degli ambienti imprenditoriali, come ha dimostrato Marco Noi. Misero intervento statale perché, come detto sopra, nella maggioranza dei Paesi occidentali, lo Stato interviene fino all’80%.
D’altra parte, la quadripartita (PLR, Centro, Lega e UDC) continua a difendere gli interessi dei privilegiati. I loro argomenti, quando si discute di Stato sociale o di fiscalità, si basano sul pensiero binario. O si tagliano le spese dello Stato o si aumentano le imposte. Non ce la fanno a superare la barriera del bianco o nero. Non vogliono immaginare che si possa finanziare lo Stato sociale con la microimposta (come ha spiegato mille volte Sergio Rossi), o con una tassa sui super guadagni delle multinazionali o con un’imposta sulle transazioni finanziarie, già sui banchi del Parlamento. O, ancora, con un allentamento del vincolo di spesa.
Dal 1996 ad oggi i premi sono aumentati del 158% mentre i salari solo del 12%. Ha detto bene
Urs Gasche: “Confederazione e Cantoni e i loro parlamenti hanno fallito. I contribuenti non devono più pagare premi eccessivi”. Le misure per intervenire sui costi delle cure sono note: “Le riforme sostanziali non hanno avuto alcuna chance in politica contro l’industria della sanità, che trae profitto dai 35 miliardi di franchi di premi pagati in Svizzera ogni anno”.
In Ticino è andata meglio: la maggioranza dei votanti ha sostenuto l’iniziativa. Perché siamo il Cantone che sta peggio e la popolazione anziana è numerosa. Merita un plauso il responsabile del DSS Raffaele De Rosa, che ha preso posizione pubblicamente a favore dell’iniziativa socialista. Per il Ticino l’iniziativa sarebbe stata una boccata di ossigeno, perché la Confederazione avrebbe versato 400 milioni di franchi in più per aiutare i cittadini a pagare i premi.
Ora entrerà in vigore il controprogetto, se non ci sarà referendum. Si tratta di un cerottino regalato da Berna e che alla fin fine farà pagare di più ai cantoni. Uno scaricabarile tra Confederazione e Cantoni. “Il controprogetto – afferma De Rosa – non è una risposta sufficiente, per più motivi: non persegue gli scopi sociali dell’iniziativa per aiutare chi spende più del 10% del suo reddito per pagare i premi di cassa malati; non porta alcun miglioramento in otto Cantoni, tra cui il Ticino, anzi, chiede ai Cantoni di fare di più, con maggiori obblighi, senza una contropartita”.
L’altra iniziativa in votazione, per un freno ai costi, aveva buone intenzioni. È evidente che bisogna intervenire sui costi, ma è un obiettivo non facile, perché ci si scontra con gli interessi dell’industria della sanità. L’iniziativa, proposta dal Centro, non entrava nei dettagli delle misure di contenimento della spesa, ma avrebbe potuto creare un razionamento delle cure e una medicina a due velocità. Una prospettiva che molti assicurati hanno rifiutato.