Putin: le mogli dei soldati sono spie
Nella lista nera dello zar finiscono le donne che chiedono il ritorno a casa di mariti, figli e padri. Il provvedimento mostra che il regime le considera un pericolo. Le attiviste: «Non ci fermeremo»
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Nella lista nera dello zar finiscono le donne che chiedono il ritorno a casa di mariti, figli e padri. Il provvedimento mostra che il regime le considera un pericolo. Le attiviste: «Non ci fermeremo»
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«La presente comunicazione è stata creata e diffusa da un agente straniero! Ah, già: andate a quel paese»: nel loro primo post su Telegram dopo la proclamazione come nemici del regime di Vladimir Putin, le donne dell’associazione “Put domoy” (La strada verso casa) non hanno nascosto cosa pensano del Cremlino, inserendo l’insulto nell’intestazione che ogni “agente” per legge è obbligato a esibire. «Non abbiamo intenzione di fermarci», hanno scritto le attiviste – una delle quali, Maria Andreeva, è stata insignita anche lei del bollino di “agente straniero” a titolo personale – che si sono dichiarate fiere di fare parte della «lista degli agenti dei rettiliani». Con una differenza: mentre la maggior parte dei dissidenti, scrittori e musicisti russi inseriti nella lista degli “agenti” sono fuggiti all’estero, le donne che vorrebbero riportare i loro mariti a casa dalla guerra dichiarano di voler rimanere in Russia e proseguire la loro attività: «I nostri cari restano in mortale pericolo».
Dopo una settimana che il ministero della Giustizia russo non dispensava più, come faceva da anni ogni venerdì, nuovi titoli di “agenti stranieri”, la lista è tornata a crescere, con un debutto che ha scosso perfino i commentatori politici moscoviti, ormai abituati a tutto. “Put domoy”non è un partito di dissidenti o una ong filoccidentale, è un’associazione di donne – mogli, madri, sorelle, figlie – che chiede al Cremlino di congedare i riservisti chiamati al fronte nell’autunno del 2022. Molto critiche verso il regime, non chiedono però esplicitamente la fine della invasione dell’Ucraina, ma soltanto di rimandare a casa i loro uomini, caduti in uno strano vuoto legale. Mentre Putin, spaventato dall’ondata di rabbia – e da centinaia di migliaia di russi in fuga all’estero – provocata dalla “mobilitazione parziale” che ha annunciato nel settembre 2022, da allora ha preferito colmare i ranghi del suo esercito con detenuti e volontari a contratto attirati da paghe elevate, e congedati dopo qualche mese, i coscritti devono rimanere in trincea fino alla pensione. Oltre all’attività social – con 60 mila seguaci su Telegram – le donne hanno organizzato manifestazioni e cerimonie pubbliche, dove sono state spesso fermate dalla polizia. Finora però il governo non aveva osato inimicarsele troppo. Ora, la proclamazione come “agenti stranieri” mostra che il regime le considera un pericolo e le accusa, oltre al presunto finanziamento estero che dovrebbe giustificare il titolo, anche di altri crimini che possono potenzialmente portare a una incriminazione penale: «appelli a manifestazioni non autorizzate» e «diffusione di informazioni false sulle autorità russe».
«E poi? Verranno dichiarati agenti stranieri anche i mobilitati e i soldati a contratto che si lamentano di non ricevere soldi e uniformi?», hanno ribattuto le attiviste, mentre molti notano il paradosso della decisione di Putin di proclamare nemiche del regime le mogli degli uomini che vengono cantati dalla propaganda come eroi che «versano il sangue per la patria». E che «hanno le armi in mano», ricorda il politologo Abbas Galyamov, il cui pronostico di una rivolta con lo «spettro di Prigozhin che si aggira per la Russia» sembra però ottimista, visti i livelli di repressione e di paura. Il provvedimento contro le donne dei soldati segnala comunque la paura che fa a Putin qualunque scontento. Non a caso alla lista degli “agenti stranieri” sono state aggiunte anche Ekaterina Duntsova e Marina Litvinovich. La prima è una giornalista che si esprime apertamente contro la guerra, e che aveva tentato di candidarsi alle presidenziali del marzo scorso. La seconda è una attivista che stava cercando di correre alle elezioni di Mosca. La Duma a maggio aveva proibito agli “agenti stranieri” di candidarsi, dando a Putin la possibilità di bloccare qualunque oppositore anche a livello municipale. «È la prima volta che il leader di un partito viene proclamato un agente straniero», ha commentato Duntsova, promettendo – come le donne del “Put domoy” – di non emigrare, ma di restare a lavorare in Russia, anche se ha ammesso ai giornalisti «un certo panico».
La decisione di Andreeva e socie di continuare a sfidare la dittatura ha solitamente un esito scontato in Russia. Sembra però che il Cremlino avesse deciso di prendere di mira in particolare l’attivismo femminile, anche perché sfida il modello che il putinismo propone alle donne, riassunto ieri dal metropolita Evgeny di Ekaterinburg come «la lotta per i veri diritti, di partorire e crescere i figli». La natalità in Russia però continua a scendere, una tendenza che la guerra ha fatto precipitare. E mentre la testata dissidente Doxa denuncia il ruolo della chiesa ortodossa nell’indottrinamento ideologico dei bambini deportati dall’Ucraina, ieri nella giornata della “tutela dei bambini” di sovietica memoria – l’Onu ha reso noto il numero dei piccoli ucraini rimasti uccisi dall’invasione russa: 600 vittime, cui vanno ad aggiungersi migliaia di mutilati, rimasti orfani, senza case e deportati.
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