Quelle parole da tatuare
“Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”, dice il presidente Mattarella
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“Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”, dice il presidente Mattarella
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“Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”, dice il presidente Mattarella
A dire dei fatti di Pisa da Sergio Mattarella bisogna per forza cominciare, nella mia pur lasca memoria di cronista non ricordo difatti precedenti. Mai che un Presidente della Repubblica sia intervenuto a ferro caldo su una manifestazione di piazza, su uno scontro fra ragazzi e polizie. Ciampi forse fu l’ultimo, era guarda che coincidenza il G8 di Genova. Era 23 anni fa e un carabiniere di leva ausiliario, Mario Placanica, aveva appena ucciso Carlo Giuliani in piazza Alimonda. Carlo Giuliani aveva 23 anni e in mano un estintore arancione, Mario Placanica ne aveva 20 e in mano una pistola d’ordinanza. Sempre da lì bisogna ripartire se qualcosa si vuole capire: le ferite non rimarginate si infettano — nella Storia. Ciampi però allora si rivolse ai dimostranti, non alla polizia. Disse sì, “sgomento e immenso dolore per la vita spezzata”, ma poi disse dai, ragazzi, smettetela. Noi stiamo qui tenendo un vertice importantissimo, ne va dei destini del mondo, non lo “vanificate con atti indegni”. Solo che l’unico atto davvero indegno — violento, mortale — fu quel colpo di pistola e non veniva dai manifestanti. Ma era il Capo dello Stato, era Ciampi e nessuno, quasi nessuno su quelle parole fiatò.
Stacco. Un lunghissimo ventennio in cui tutto nel mondo è cambiato. Tutto tranne le persone, che a volte muoiono (Berlusconi era presidente del Consiglio, allora. Non è più su questa terra) altre volte ricorrono. Il questore attuale di Pisa, Sebastiano Salvo, era un giovane vice nel 2001, a Genova. Leggo dall’informata cronaca di Giuliano Foschini che “chi lo conosce dice che non è uno che mandi a picchiare i ragazzini”. Non ho motivo di dubitarne, almeno non ne ho gli elementi, ma di certo quei giorni li ricorda — ne avrà ben fatto esperienza. Sono stati giorni che hanno cambiato la direzione della storia. Stacco, dicevo. Sergio Mattarella.
Che a ventiquattr’ore dai fatti si rivolge con un comunicato del Quirinale non agli studenti, in maggioranza minorenni, che manifestavano a Pisa. No. Si rivolge al ministro dell’Interno, il capo delle forze di polizia. Gli dice dai, smettetela — proprio come il suo predecessore disse ai manifestanti ristabilendo finalmente chi è chi, chi ha il compito di fare cosa. Una specie di restituzione, di risarcimento. Sono poche righe, sei righe. Le parole sono importanti, al Quirinale si pesano e si misurano. Facciamo dunque l’esegesi del testo come da ragazzi a scuola, come fosse una terzina dantesca. Cosa ha fatto ieri il Presidente della Repubblica? Leggiamo. “Ha fatto presente al ministro dell’Interno”(si chiama Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno. È originario della provincia di Avellino. È un prefetto. È un tecnico, in questo governo “vicino alla Lega”, così si dice. “Vicino” perciò nella spartizione indicato come ministro da Salvini, del quale ha assecondato le politiche ostili all’accoglienza degli immigrati, per esempio, fino al disastro di Cutro. Mattarella lo ha chiamato al telefono? Certo. Immaginare il momento. Ministro, il Presidente è in linea. Che piacere. Dica, Presidente). Il comunicato, da capo. “Il presidente della Repubblica ha fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione”. Trovandone condivisione. Capolavoro. (Per tutto il tempo, questo significa il testo in ogni vocabolo ponderato, il ministro ha detto ma certo, assolutamente, senz’altro Presidente, è esattamente così). Di cosa, Piantedosi ha trovato condivisione? Del fatto — continua il testo del Quirinale — che “ l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli”. (Immaginare qui la faccia del ministro all’altro capo del telefono. Forse un sorso d’acqua. Riflettere sull’implicito devastante riferimento alla distanza che corre fra autorità e autorevolezza. Non sei ganzo se sei forte, se meni e insegui e rompi il naso ai ragazzini con lo zaino. Sei ganzo se sei autorevole e non hai bisogno di menare. La parola “manganelli” in un comunicato della presidenza della Repubblica, inaudita. Rimandi di memoria, per chi ne ha, a Giovanni Gentile ministro dell’istruzione nel Ventennio-matrice. “La predica e il manganello”. La Storia che sempre ritorna). Non si misura, l’autorevolezza, sui manganelli — dice come un faro Mattarella — “ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”. Perché difatti assicurare ordine e sicurezza è compito vostro, per questo si chiamano Forze dell’Ordine. (Immaginare il sì sì certo Presidente. C’è stata qualche “difficoltà operativa” ma gli agenti responsabili degli abusi, quelli che hanno inseguito e preso a manganellate — talvolta ridendo, sì lo so che ci sono i video dei telefoni, ma le assicuro che quelli che hanno fratturato la faccia ai ragazzini che scappavano nei vicoli di Pisa saranno identificati e sanzionati. Ecco, molto bene. “Al contempo”. Riflettere su al contempo. Tu, ministro, devi assicurare l’ordine ma non puoi intanto, al contempo, non garantire la libertà di manifestare il pensiero. Ti è chiaro? Senz’altro è chiarissimo Presidente). Poi la pietra tombale. “Coi ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”. Una frase da tatuare. Pensa che picchiarli serva? Assolutamente no. Non crede che manifestare davanti alla Rai, davanti a un teatro, portare un fiore per Navalny, dire in pubblico sono antifascista, stop al genocidio, non credete che ci sia enorme sproporzione fra la libera manifestazione del pensiero e il manganello in tenuta antisommossa? Certo, presidente. Perché picchiare è un fallimento, sa? È segno di debolezza. Hanno vinto loro se picchiate, lo tenga presente. Questo dice, lo storico comunicato del Quirinale. Mettete via quei manganelli. Tornate a bordo della democrazia, cazzo.
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