Se escludere le destre alimenta l’estremismo
La strategia per eleggere Von Der Leyen è escluderle ufficialmente e accettare aiuti sottobanco. Un errore
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La strategia per eleggere Von Der Leyen è escluderle ufficialmente e accettare aiuti sottobanco. Un errore
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La strategia per eleggere Von Der Leyen è escluderle ufficialmente e accettare aiuti sottobanco. Un errore
L’Europa è alle prese con la versione contemporanea dell’antico Fattore K, ma non se ne accorge. Lo chiameremo Fattore D, come Destra, ed è riassumibile così: la scelta di escludere da ogni accordo le destre dell’Unione e in particolare la destra italiana, seppure abbia dato prova di un’osservanza piuttosto zelante dei vincoli europei. Negli ultimi due giorni il socialdemocratico Olaf Scholz e poi i popolari Donald Tusk e Manfred Weber hanno confermato la formula. La nomination di Ursula von der Leyen per un altro quinquennio, hanno detto, deve avvenire sulla base dell’accordo Ppe-Pse-liberali sperimentato nell’ultima legislatura: Giorgia Meloni pare fuori dalla porta e sembra inascoltata la sua richiesta di vedere riconosciuto il giusto peso italiano. E tuttavia sarebbe necessario chiedersi se questa strategia – un arco costituzionale di proporzioni continentali – regga ancora, se sia funzionale agli interessi comuni, o se non rappresenti solo il riflesso pavloviano di classi dirigenti timorose di cambiare gioco.
È del tutto evidente che la maggioranza Ursula, per uscire vincente dalla votazione segreta sulla presidenza della Commissione, avrà bisogno del voto di quinte colonne che neutralizzino i franchi tiratori largamente previsti. È probabile che stia già trattando accordi con i numerosi “senza casa” eletti il 9 giugno o con gruppi nazionali che richiedono riconoscimenti più modesti di un Commissario di rilievo. È grosso modo la stessa strategia utilizzata nel 2019 quando von der Leyen non avrebbe raggiunto il quorum senza il voto determinante del M5S, giunto in suo soccorso all’ultimo minuto. Ora sembra decisa la replica di quello schema: una coalizione ufficiale risicata e un aiutino esterno semi-clandestino o clandestino del tutto che salvi capra e cavoli, la continuità della formula e la sua purezza democratica. Non abbiamo ceduto alla destra. Ce l’abbiamo fatta senza di loro.
Poteva funzionare (esattamente come funzionò in Italia il Fattore K che interdisse per mezzo secolo il Pci) con destre massimaliste, minoritarie, lontane dalle soglie del potere nazionale, dichiaratamente anti-sistema e anti-europee come quelle che ribollirono nelle urne del 2019. Ma adesso che la destra è al governo di uno dei Paesi fondatori dell’Unione e almeno qui, in Italia, ha abbandonato le follie No-Euro, bisognerebbe porsi il dubbio. Cosa è meglio per i popoli d’Europa e per la tenuta dell’architettura europea: integrare chi è disponibile all’integrazione o ricacciarlo nella Cajenna degli impresentabili, insieme agli amici di Putin o ai nostalgici del Marco e della Corona? Distinguere, promuovere un’evoluzione delle destre disponibili ad aprirsi, oppure lavorare nella speranza che l’onda si arresti e poi torni indietro restituendo centralità esclusiva a popolari, progressisti, liberali?
Dunque, almeno porsi il problema. Questo Fattore D applicato erga omnes è ancora utile? O comincia a rappresentare una specie di maledizione per le forze della responsabilità europea? Davanti a Victor Orbán, l’amico di Vladimir Putin, il premier delle leggi che equiparano la pornografia all’omosessualità, l’uomo che inaugura il suo semestre di presidenza europea con l’urlo trumpiano “Make Europe Great Again”, sarebbe necessario chiedersi se convenga consegnare ogni destra europea a questo tipo di racconto. Perché è così che finirà: la vantata autosufficienza della maggioranza Ursula, puntellata da aiutini sottobanco, segnerà la regressione verso l’estremismo di ogni forza dell’opposizione. Anche chi ha cercato un’evoluzione governista sarà sospinto nel ghetto dei matti e degli amici delle autocrazie. Chiedersi se convenga, oltre ogni riflesso pavloviano, sembra davvero il minimo.
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