Se il giornalista deve essere soltanto un passivo postino
Tacitare un conduttore con una sceneggiata, come è avvenuto alla RSI nel corso di un dibattito politico, è sbagliato, intollerabile e intimidatorio
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Tacitare un conduttore con una sceneggiata, come è avvenuto alla RSI nel corso di un dibattito politico, è sbagliato, intollerabile e intimidatorio
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Tacitare un conduttore con una sceneggiata, come è avvenuto alla RSI nel corso di un dibattito politico, è sbagliato, intollerabile e intimidatorio
L’idea che in questo tipo di operazione informativa i conduttori debbano essere dei passa parola passivi, dei semplici addetti al cronometro dei tempi assegnati, postini neutrale delle affermazioni degli ospiti è fuori dal tempo e dalla logica, profondamente sbagliato, sicuramente estraneo agli interessi del pubblico.
Ecco invece che lunedì sera, nel corso di un dibattito sulle prossime votazioni, alla RSI il Consigliere agli Stati, Fabio Regazzi, pretende di rovesciare questa semplice regola del confronto pubblico. A fronte di una sua affermazione non approfondita e relativa al fatto che il 25 per cento dei contribuenti ticinese è esente da tasse (perché nell’obiettiva impossibilità economica di pagarle), il conduttore del programma interviene opportunamente per sottolineare e quindi sollecitare Regazzi sul fatto che questo dipende anche dai bassi salari in Ticino. Non un’invenzione, non una contestazione, ma un semplice e noto dato di fatto.
Apriti cielo. Forse ispirandosi all’arte venatoria di cui è appassionato ed alto esponente, Regazzi “spara” ad alzo zero contro il conduttore, ne copre la voce con la sua foga, gli intima praticamente di non continuare sull’argomento, lo accusa di voler “partecipare al dibattito” invece di limitarsi a “condurlo”, accusandolo implicitamente di volerne influenzare politicamente lo svolgimento. Con perla finale: “…allora venga lei al mio posto, che io la sostituisco nella conduzione”.
Una sceneggiata. Intollerabile. E anche intimidatoria. Comportamento padronale, come di tutti quei politici che intendono (e tanto desidererebbero) la casa del servizio pubblico come “cosa loro”, recinto in cui fare disfare e dire ciò che più aggrada, pretendendo di non essere disturbati, contrastando quei giornalisti a cui prima e dopo chiedono di essere preparati e rigorosi, di non essere mai abbastanza ‘coraggiosi’ (ma solo nei confronti dei rivali), ma guai se poi si permettono puntualizzazioni da loro ritenute fastidiose. Così come quelli dell’“allora in questi studi non mi vedrete più” (propositi sempre temporanei). O di chi, a poche settimane dalla consultazione “No Billag”, si permise di ricordare che il suo partito controllava migliaia di voti, capiti ci siamo?
Certo, il politico, come qualunque altro ospite, ha tutto il diritto di precisare che una domanda è mal posta, se la ritiene tale. Non però di vietare di porla. Spetterà al pubblico decidere se fosse o no opportuna. Non è autodifesa di categoria. Semplici regole del confronto democratico.
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