Cosa ci dice quel corpo in mare
Più di cento profughi annegati davanti alla Libia: i possibili ma mancati soccorsi, una vergogna senza fine
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Il corpo infilato in un inutile salvagente, le braccia allargate e inermi, la faccia dentro l’acqua, in balia delle onde alte, che trascinano la salma galleggiante in una infinita deriva. Ogni tragedia nel mare dei migranti in fuga ha la sua fotografia, l’instantanea che ne diventerà simbolo, per sempre o per pochi giorni o anche solo per una manciata di ore.
E chissà da quale dei gommoni affondati veniva quel corpo afflosciato, senza volto, i vestiti flagellati e come gonfiati dalle onde. E chissà cosa poteva sapere prima di affogare così quell’uomo (o quella donna o quel ragazzo) dell’assurdo vergognoso criminale balletto di sos lanciati, di soccorsi ‘volutamente’ mancati, e poi del solito balletto sulle responsabilità dell’ennesima tragedia, con i suoi cento o più morti. “La nostra nave in un mare di morti”, dice chi è arrivato per poter solo contare le vittime. Ennesima vergogna di una comunità internazionale che conta, come sempre, sull’oblio che tanto coprirà ogni cosa, come il mare copre ormai migliaia di cadaveri finiti sul fondale, e di cui non si conosce il numero, i nomi, spesso nemmeno la provenienza.
L’Europa, innanzitutto. Che continua ad affidare il soccorso a una guardia costiera libica riempita di soldi , armi e mezzi nautici ma che rimane spesso nei porti se “c’è maltempo” (dicono), o che riporta a riva sopravvissuti subito maltrattati a bordo come colpevoli criminali colti sul fatto, e poi spesso ributtati in centri di detenzione che sono peggio di una prigione, sono lager (lo testimoniano ancora fotoreportage recenti) dove tortura e stupri continuano mentre il mondo si gira dall’altra parte. In una complicità assassina e impunita.
Addirittura c’è stato un premier che andando in visita super-blindata a Tripoli si è congratulato coi libici per ‘il positivo lavoro svolto’. Il suo nome è Mario Draghi. L’indignazione (quel poco che ancora c’è, quando c’è) si esaurirà presto anche stavolta. Come per il bambino siriano che venne ripescato esanime e che sotto la camicetta aveva una busta di plastica con dentro la sua pagella intatta, ottimi voti, ottima condotta, con cui voleva dirci di essere un bravo figliolo, che non può mettere paura a nessuno.
E sul ritrovato passeggero silenzio si consumerà, dopo la tragedia umana, anche quella politica. Dell’indifferenza che ucciderà ancora, degli accordi internazionali violati come lo sono quei corpi abbandonati, degli attacchi alle navi soccorso delle ong, di un qualsiasi programma concordato, per esempio sulla necessità dei corridoi umanitari (abbozzati e subito abbandonati, mentre appaiono ormai l’unica via di salvezza sicura per i fuggitivi da guerra torture e fame) o di quell’ “aiutiamoli a casa loro”, facile, sbrigativo, vile perché insostanziato, e sbandierato slogan per tenerli lontani senza che in realtà parta davvero un qualsiasi tipo di aiuto ai paesi che vengono attraversati da famiglie spesso depredate lungo il viaggio.
E avanti così. Il nostro sbigottimento, la loro ignavia, la diffusa disumanità, e la peggiore indifferenza.
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