Sinwar ucciso, ora l’Occidente non sa con chi trattare
Hamas è ridotta al lumicino ma non si arrende. Il Libano sarà il fronte principale, uno scontro ancora più sanguinoso
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Hamas è ridotta al lumicino ma non si arrende. Il Libano sarà il fronte principale, uno scontro ancora più sanguinoso
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Hamas è ridotta al lumicino ma non si arrende. Il Libano sarà il fronte principale, uno scontro ancora più sanguinoso
Israele ha decapitato i suoi due più temibili nemici “vicini”, Hamas ed Hezbollah, e si prepara al secondo autunno di guerra, questa volta su un doppio fronte. L’eliminazione dei principali responsabili dei massacri del 7 ottobre era l’obiettivo numero uno delle forze armate israeliane. Il capo militare palestinese, Mohammed Deif, è stato ucciso il 13 luglio in un raid a Khan Younis, sepolto sotto le macerie di un palazzo polverizzato. Yahya Sinwar ha avuto una sorte più onorevole, caduto in un conflitto a fuoco a Rafah, con indosso un giubbino esplosivo e il kalashnikov al fianco. Il capo politico, Ismail Haniyeh, è finito invece in una trappola ed è saltato in aria nella guest house dei Pasdaran che lo ospitavano a Teheran. La leadership è annientata ma i militanti continuano a combattere. Nella stessa Rafah, dove ieri una mezza dozzina di soldati israeliani è stata colpita mentre cercava di entrare in un tunnel minato. A Gaza City e a Jabalia, dove continuano le imboscate con razzi anti-tank e fucili di precisione, e dove 400 mila civili sono sotto assedio totale, allo stremo. In tredici mesi la Striscia è stata rasa al suolo e divisa in sei spicchi, isolati da grandi “boulevard” spianati con i bulldozer e controllati dall’esercito. All’interno, tra le macerie e i tunnel, ci sono ancora migliaia di combattenti. A guidarli in questo momento è Mohammed Sinwar, il fratello minore del defunto capo di Hamas, che ha preso il posto di Deif a luglio ed è considerato il pianificatore materiale dell’operazione Diluvio di Al-Aqsa, con i suoi 1.200 morti israeliani.
Nella Striscia sono morte invece 43 mila persone, per un terzo, si stima, miliziani dei gruppi palestinesi. Non ci sono numeri precisi su quanti siano ancora in armi. Per il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, Hamas non ha più capacità operativa ed è ridotta ad attività «di guerriglia». Il fronte Sud però non è chiuso, manca il controllo totale del territorio, mancano ancora 100 ostaggi all’appello, per metà, forse più, già deceduti. È evidente, a questo punto, che Sinwar non li usava come scudi umani, anche perché sarebbe stato individuato con più facilità, e che bisognerà districarsi nelle centinaia di chilometri di cunicoli ancora intatti per ritrovarli. E a mancare, soprattutto, è un piano per la gestione di Gaza quando anche gli ultimi militanti si saranno arresi. Le fantasie su forze di pace, contingenti arabi, o misti arabi e occidentali, sono evaporate nel corso dei mesi. Progetti utopici in senso opposto, come quelli dell’ultradestra di espelle un paio di milioni di palestinesi verso l’Egitto o ancora più in là, hanno fatto la stessa fine. All’orizzonte si staglia una nuova, lunga occupazione in una terra divenuta inabitabile, tra campi profughi e rovine senza acqua potabile, elettricità, cibo a sufficienza. Un numero consistente di forze israeliane rimane dunque sul fronte Sud, mentre il piano complessivo di Sinwar, e cioè innescare una guerra regionale per drenare le risorse dello Stato ebraico, prende a poco a poco forma.
Nessuna decapitazione della leadership ha mai fatto crollare un gruppo combattente. L’unico modo è sconfiggerlo sul campo. E quindi, dopo Gaza, bisogna entrare in Libano. L’uccisione di Hassan Nasrallah, il 27 settembre, e di decine di alti dirigenti, compreso il numero due Hashem Safiaddine, non hanno cambiato i piani di Hezbollah. La dottrina Nasrallah si basa sul concetto “rendere impossibile l’occupazione”, ed è una forma di guerriglia a più alta intensità, con uso massiccio di razzi anti-tank, missili e droni suicidi. Ha funzionato negli anni Novanta, ha raggiunto l’apice nella guerra dell’estate del 2006. I prossimi mesi ci diranno se reggerà alla prova adesso, con Israele decisa a usare una potenza di fuoco molto maggiore, inaudita.
Nasrallah aveva guidato di persona le operazioni nel 2006. La sua mancanza si farà sentire e questo è un sicuro vantaggio per l’Idf. Ma il gruppo aveva messo in conto la sua eliminazione e creato una catena di comando, già a livello di battaglione, con un paio di vice esperti per ogni comandante. Israele al momento schiera cinque divisioni, è penetrata per pochi chilometri, è frenata dalla presenza dell’Unifil, e anche dell’esercito libanese, che di fatto rende difficile andare oltre 5 chilometri dalla Linea blu.
Hezbollah è molto più potente di Hamas perché, se si contano anche i riservisti con reale esperienza di combattimento, arriva fino a 60-70 mila uomini. Il terreno è completamente diverso da Gaza, fatto di colline ripide, valli incassate, zone boscose. Gli agguati sono tesi con lanciarazzi, mortai e missili anti-carro. I militanti palestinesi rivendicano la distruzione di 17 tank Merkava, tutta da verificare, ma in ogni caso l’Idf è più prudente nell’uso di forze corazzate, dopo le perdite consistenti nel 2006. E questo allunga i tempi. Quello che è sicuro è che la “mietitura” della dirigenza sia militare che politica dell’avversario riduce quasi a zero le trattative. Benjamin Netanyahu va alla resa dei conti finale con i due proxy dell’Iran. Uno, Hamas, imbarcato solo per opportunismo e per alimentare la retorica khomeinista della difesa della “causa palestinese”. L’altro, Hezbollah, costruito con pazienza e abbondanza di mezzi in quarant’anni, per diventare la punta di lancia della penetrazione iraniana nel Levante arabo, fino al Mediterraneo. Gli ayatollah cercheranno di salvarlo con tutti i mezzi a disposizione. È una lotta spietata. Due giorni fa gli israeliani hanno demolito con una gigantesca esplosione il villaggio di Mhaibib, in cima a una collina, assieme a un santuario attribuito al profeta Beniamino. Sembra la strategia della terra bruciata. Ma, dice un proverbio arabo, la vendetta è «come bere acqua di mare, non placa mai la sete».
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