“Sofferenze giovanili, l’intero settore ancor più fragilizzato” è il titolo di
un recente lungo articolo pubblicato da “laRegione” lo scorso 22 maggio a firma Cristina Pinho, in cui si torna opportunamente a proporre la difficile, per non dire drammatica situazione della gestione, da parte dello Stato, in particolare del Dipartimento Sanità e Socialità, dell’ampio spettro di situazioni, difficili e complesse, che riguardano bambini ed adolescenti nel nostro Cantone.
Disagio, sofferenza, fragilità: sono termini che ricorrono sempre più spesso nel descrivere la condizione in cui si trova e si manifesta un numero crescente di giovani, sin dalla più tenera età, proprio mentre la mannaia dei risparmi legati al preventivo approvato tre mesi fa da Gran Consiglio sembra profilarsi come un ulteriore duro colpo alle possibilità che a questi bambini ed adolescenti si possa rispondere con una presa a carico adeguata, sia a livello di strutture sia a livello di personale “formato”, chiamato ad occuparsene.
Uno specifico capitolo di questo ampio e problematico contesto socio-educativo è rappresentato da un progetto relativo ai casi più estremi, quelli della delinquenza e della sofferenza psichica giovanile. Nel citato articolo de “La regione”, ne parla in particolare Mario Ferrarini, direttore della Fondazione Vanoni, cui è stato assegnato dal Dipartimento il mandato di gestire un “Centro educativo chiuso per minorenni”, che, dopo l’avvenuta approvazione parlamentare, dovrebbe sorgere, ex-novo, a Castione, ed accogliere una decina di “utenti”. Costo dell’operazione circa 7 milioni di franchi, suddivisi fra partecipazione cantonale e federale.
Sembrerebbe una decisione che, nel quadro generale di tagli e riduzioni di aiuti finanziari statali, potrebbe rappresentare un lato “virtuoso”, relativo ad un investimento concreto per un’opera destinata a chi sta peggio, indice dunque di una sensibilità ed un impegno che vanno sostenuti. Ma il fatto è che da tempo un gruppo di persone -costituito non solo da operatori sociali- si è ampiamente espresso contro questo progetto e torna qui doverosamente a farlo poiché nulla è cambiato e non vi è stata alcuna possibilità, per il “Coordinamento contro il Centro chiuso”, di essere ascoltato in sede dipartimentale e di dibattito pubblico.
Le affermazioni di Ferrarini, secondo cui nei tre mesi di detenzione previsti “punteremo molto su un percorso che abbia una forte valenza educativa e risocializzante sviluppando laboratori tematici, consulenze individualizzate e tanto altro”, suonano non solo come un puro slogan, ma contraddicono anche studi ed esperienze sul campo che attestano quanto più lungo debba essere, forzatamente, il periodo riabilitativo di giovani con un tale vissuto, finiti nelle maglie della giustizia, reduci magari da giorni di detenzione.
Certo, per il Dipartimento e per gran parte dei parlamentari che hanno votato questa soluzione, la costruzione di un simile centro chiuso, per di più dato in gestione ad una Fondazione privata, di chiara matrice cattolica (legata a Comunione e Liberazione), potrà pure apparire una soluzione, ma non lo è; anzi, al di là della sua improponibilità come modello rieducativo, rappresenta pure, tristemente, una scelta di disimpegno dello Stato dalle proprie specifiche responsabilità. Siamo, insomma, anche qui, nel campo delle concessioni arbitrarie al privato di questioni che dovrebbero essere e sono chiaramente pubbliche.
Dentro il triste contesto di un generale “taglio al sociale”, un tale investimento è del tutto inappropriato, sotto ogni punto di vista, a maggior ragione se pensiamo che va a discapito di più adeguati interventi finanziari per le opere sociali e sanitarie già esistenti, che andrebbero rafforzate (con più personale qualificato e una maggiore varietà di soluzioni logistiche) piuttosto che voler spendere milioni per costruire un unico centro di per sé nato male. E qui ribadiamo che la nostra non è solo una posizione politica, ma anche etica e professionale.
Molti operatori del settore minorile denunciano da anni il deficit di strutture e risorse per far fronte ad un problema che si fa sempre più grave e che si amplifica ulteriormente con le necessità della presa a carico che ne consegue. Come potrà colmare queste lacune una struttura da soli 10 posti? Come sarà possibile “raddrizzare” questi giovani in soli 3 mesi? Che prospettive avranno una volta terminata l’espiazione della pena/punizione camuffata con intenzioni e precetti educativi che paiono oggettivamente irrealistici?
Non ci si stancherà mai, qui, di ripetere che molti studi internazionali confermano, ormai da più di 20 anni, che strutture provviste di celle o di camere chiuse per minorenni sono controproducenti e aumentano di oltre l’80% il pericolo di recidività. Gli esperti ribadiscono che ogni società deve abbandonare, in generale e soprattutto con i giovani, l’applicazione di una giustizia che, camuffata con giustificazioni di vario genere, appare in sostanza semplicemente e brutalmente di tipo vendicativo-populista.
Ma poi, perché non si sono volute ricercare alternative perlomeno a livello di struttura? Il “Coordinamento contro il centro chiuso” ha più volte cercato di segnalare, oltre alla esplicita contrarietà nei confronti del progetto in questione, che esisterebbero semmai altre soluzioni praticabili. Partendo dal rafforzamento e adeguamento delle strutture esistenti, oppure riprogettando l’ex istituto minorile di Torricella (un comparto verde di 50.000 metri quadri!), fino a considerare l’importante realtà di Terravecchia e Bordei nelle Centovalli, che il Coordinamento ritiene una strada percorribile particolarmente gradita, per la polivalenza e potenzialità del comparto, ben strutturato e collaudato.
Purtroppo, nulla di alternativo pare muoversi e venir anche solo minimamente considerato, neppure con le condizioni finanziarie attuali e con la crescente urgenza di prese a carico particolari. Siamo nell’imminenza dello smantellamento del reparto pedo-psichiatrico al civico di Lugano, in seguito alla disdetta entro il 2025 da parte dell’EOC, un importante punto di riferimento per le urgenze di tutto il cantone. Si prevede di spostarlo, chissà quando, al futuro ospedale a Bellinzona.
Nel frattempo, udite udite, si pensa di installare dei container (moduli prefabbricati) da qualche parte. In ogni caso, in Ticino continuerà a mancare una vera Comunità terapeutica psichiatrica per minorenni!
E ancora, se vogliamo dire qualcosa anche sulle risorse umane, sappiamo che le pochissime pedo-psichiatre e i tre giovani nuovi assistenti, devono garantire picchetti da 24h oltre il loro quotidiano lavoro, con disponibilità mensile di circa una settimana e con un turnover che facilmente può portare ad un sovraccarico di lavoro estenuante. Un impegno che obbliga ad essere operative/vi di notte per casi sempre più frequenti.
La situazione è drammatica, eppure si rimane con l’idea che basterà il Centro chiuso, che non viene assolutamente messo in discussione, anzi, rimane l’unico progetto da sostenere (a tutti i costi, verrebbe da aggiungere, in tutti i sensi).
Un progetto sbagliato, sotto ogni punto di vista, che deve perlomeno essere ripensato e discusso pubblicamente. Ne va del futuro (ma già del presente) di giovani sempre più numerosi, sempre più in difficoltà, che non si possono e non si devono né rinchiudere né abbandonare.
L’autore fa parte del Coordinamento contro il centro chiuso