Una recensione dal tragico epilogo
Quella che una volta era una pratica frutto di studio e competenza è diventata una fulminea e lapidaria sentenza
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Quella che una volta era una pratica frutto di studio e competenza è diventata una fulminea e lapidaria sentenza
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I portavoce palestinesi: "nessun codice penale può giustificare una tale ritorsione"
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• – Libano Zanolari
Quella che una volta era una pratica frutto di studio e competenza è diventata una fulminea e lapidaria sentenza
Ricordo un breve, illuminante, scritto di Giovanni Raboni intitolato L’arte del dubbio. Era il 2003. Il grande critico, oltre che grande poeta (saranno in settembre i vent’anni dalla morte), definiva la recensione in tre esigenze non rinunciabili: la recensione deve informare e descrivere l’oggetto di cui parla; deve analizzarlo, indugiare sul come quell’oggetto – libro, film, spettacolo – è costruito; infine deve esprimere un giudizio di valore. Il giudizio va dunque spiegato e motivato, e non deve mai arrivare con «l’effetto di un fulmine a ciel sereno, scagliato da un dio dispotico e troppo compiaciuto del proprio potere».
Il consiglio di Raboni era di evitare l’arroganza e di «non ostentare mai la propria sicurezza d’opinione». Va da sé che questa opinione richiede un’assunzione di responsabilità da parte di chi la firma con nome e cognome. Se si confrontano queste avvertenze con l’uso del termine «recensione» divulgato al tempo dei social, sembra che non solo il concetto sia cambiato (succede a molte parole), ma che si sia addirittura, incredibilmente, capovolto. Il caso tragico di Giovanna Pedretti ne è un esempio [una gerente di un ristorante che si suicida a seguito di una “recensione” pesantemente negativa nei confronti del suo locale e del successivo accesissimo “dibattito” che si è diffuso in Italia].
Si usa «recensione» per definire un parere fulmineo, impressionistico e immotivato, spesso anonimo o coperto da nickname. La recensione social deve avere esattamente l’effetto di un fulmine a ciel sereno per essere efficace, diventare virale e far discutere. Ovvio che il ribaltamento non è una semplice questione di terminologia, ma segnala, come poche altre parole del nostro vocabolario, un cambio radicale di mentalità.
Si è passati dal tempo della critica, che comporta la cautela analitica (anche noiosa) dell’esperto che coglie le sfumature, alla reazione d’impulso inversamente proporzionale alla competenza, non l’arte del dubbio ma l’arte della presunzione assoluta (su un libro come su una pizzeria) che invece esige prontezza, brutalità e immensa considerazione di sé.
Si capisce dunque perché il critico non possa avere più l’udienza e l’autorità che ha avuto in passato, sovrastato com’è dall’esercito dei lanciatori di fulmini e saette quotidiani.
Articolo scritto per il Corriere della Sera
Nell’immagine: recensioni 3.0
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