Unione Europea a un bivio: tra ipotesi di sviluppo e rischio irrilevanza
Ne parla un saggio del politologo Michele Bellini che affronta, con un linguaggio piano e comprensibile, opportunità e nodi irrisolti 30 anni dopo la sua creazione
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Ne parla un saggio del politologo Michele Bellini che affronta, con un linguaggio piano e comprensibile, opportunità e nodi irrisolti 30 anni dopo la sua creazione
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Ne parla un saggio del politologo Michele Bellini che affronta, con un linguaggio piano e comprensibile, opportunità e nodi irrisolti 30 anni dopo la sua creazione
Da questa premessa prende avvio il volume di Michele Bellini Salviamo l’Europa. Otto parole per riscrivere il futuro, Bologna, Marietti1820, che l’autore ha recentemente presentato a Lugano durante una serata organizzata da Coscienza Svizzera, gruppo di riflessione che proprio al tema Europa ha già dedicato un ciclo di nove serate declinandolo negli aspetti della politica energetica, della neutralità, della politica transfrontaliera, del mercato del lavoro, della ricerca [qui il video della serata].
L’argomento è diventato, se possibile, ancora più attuale con la pubblicazione, in aprile, del Rapporto Letta e, a inizio settembre, del Rapporto Draghi.
Di Enrico Letta (che fu, per 10 mesi, tra l’aprile del 2013 e il febbraio del 2014, capo del Governo e, tra il 2021 e il 2023 segretario del PD) Bellini è stato stretto collaboratore avendolo seguito negli anni parigini di insegnamento a Sciences Po e poi all’Institut Jacques Delors. Attualmente il politologo cremonese è consigliere politico del PD alla Camera italiana dei deputati, responsabile delle Politiche europee del PD lombardo e tra le firme del trimestrale il Mulino.
Proprio Letta firma anche la prefazione con la quale inserisce il dibattito sul futuro dell’Europa in una cornice nuova e drammatica: “Il momento è propizio per farlo, il senso di urgenza è lì, di fronte a tutti noi. Drammatici sono i contorni attorno ai quali alcune domande ci interrogano nel profondo. È tornata la guerra delle bombe, dei carri armati, degli atti terroristici e della barbarie che si abbatte sui civili, sui bambini e sugli innocenti. In verità, non se ne era mai andata. Ma la vedevamo di meno, noi che abitiamo l’angolo di mondo dove tutti vorrebbero vivere e dove si toccano continuamente nuovi traguardi di longevità e di qualità della vita. Oggi vediamo continuamente le barbarie della guerra; entrano nelle nostre case e nei nostri smartphone. E, contemporaneamente, vediamo anche la difficoltà della nostra Unione Europea a fronteggiare sfide inedite e drammaticamente impegnative. In fondo, l’UE è stata costruita in un tempo di pace e per un mondo di pace. È stata costruita per abbattere le frontiere, unire gli spazi e le genti. Oggi dobbiamo trasformarla, per essere all’altezza di ciò che ci attende”.
Il saggio di Bellini ruota attorno a due numeri: il 24, che richiama due date centrali (24 giugno 2016, lo spartiacque segnato dalla Brexit; 24 febbraio 2022, l’invasione russa in Ucraina) e l’8. Otto sono infatti i capitoli, anzi otto le parole chiave su cui si articola: di queste, quattro rientrano nella categoria politics (geopolitica, allargamento, sovranità e democrazia), altre quattro nell’ambito della policy (ambiente, emigrazione, economia e tecnologia).
Intervistato da Tomas Miglierina, Bellini offre un ritratto aggiornato dell’Europa (“esperimento inedito e innovativo che prova a superare i limiti dello Stato nazionale, ma senza cancellarlo”) e dell’Unione Europea, descritta nei principali problemi che attualmente sembrano rendere più difficoltoso il processo di integrazione tra spinte centripete e sovranismi. Un’Europa (dentro e fuori l’Unione) confrontata con sfide epocali di varia natura, tutte decisive: quella della pressione immigratoria ai suoi confini, della globalizzazione economica, della sostenibilità ambientale, delle nuove tecnologie, il tutto mentre, da oltre due anni e mezzo, si combatte un conflitto armato appena oltre le sue porte e uno dei due contendenti chiede l’adesione all’UE.
Nel suo libro, che da non politologo ho letto con grande interesse anche per il linguaggio chiaro e comprensibile che lo caratterizza, Bellini traccia un quadro aggiornatissimo del contesto geopolitico, economico e strategico con il quale l’Europa si deve confrontare.
Salviamo l’Europa, enuncia il titolo: ma da chi, o da cosa? Da una lenta agonia, sostiene l’autore, condividendo il pensiero di Mario Draghi. O ci si dà una mossa, o il rischio è, in prospettiva, quello dell’irrilevanza politica. L’alternativa all’Unione – aveva sostenuto Draghi quando presentò il suo documento – non è certo la morte istantanea, ma una lenta agonia. Nel corso dei decenni il Vecchio Continente ha instaurato una serie di dipendenze da terzi. Negli anni della Guerra fredda la sua sicurezza era stata di fatto appaltata agli Stati Uniti mediante la NATO. L’approvvigionamento energetico dipendeva – e tuttora dipende – in forte misura dall’ex URSS. Gli scambi economici – ma anche una sempre più serrata concorrenza – hanno per protagonista l’altro gigante, la Cina. Ebbene, oggi, queste dipendenze diventano delle vulnerabilità che il Rapporto Draghi, oggettivo, fattuale e certamente non ideologico, mette in luce senza se e senza ma.
“Poi un Paese è naturalmente liberissimo di pensarla diversamente, di dire io voglio essere irrilevante, preferisco essere un’appendice di un Occidente a guida americana, voglio fare soltanto il mercato, un mercato che però la demografia e le previsioni economiche indicano conterà sempre meno”, osserva Bellini.
Ma oggi – questa la tesi di fondo del suo libro – o si consolida su nuove basi e con una revisione anche legislativa, che assegni maggiori poteri al Parlamento europeo, quell’unità europea che ci aiuta a superare la frammentazione, o davvero si rischia la marginalità. Per rafforzare le basi democratiche nella costruzione europea, sicuramente il modello svizzero qualcosa può insegnare. Una delle proposte è quella di istituire, su temi particolarmente sensibili, che chiamano in causa l’autonomia, rispettivamente una eventuale maggiore interdipendenza tra i singoli membri, dei referendum consultivi a livello europeo, mentre oggi anche le elezioni europee sono, in realtà, elezioni nazionali. Un altro passo essenziale consiste nell’ampliamento delle competenze, oggi limitate, del Parlamento europeo.
Naturalmente vien da chiedersi se rapporti come quelli di Letta e Draghi lasceranno un segno concreto o sono tutt’al più un esercizio praticato dagli ex premier, destinati a finire in un cassetto. Secondo Bellini, anche se Ursula von der Leyen, vecchia e nuova presidente della Commissione Europea – l’Esecutivo dell’Unione – ha inserito alcuni punti del lucidissimo Rapporto Draghi nel proprio programma di legislatura, poi sarà l’organo che conta davvero, il Consiglio Europeo, formato dai capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi membri, a determinare agenda, priorità, indirizzi e destini. Si aggiunga che in àmbiti sensibili come quello della difesa l’Europa non ha competenza. Ecco perché – ha sottolineato Bellini – “persone come Romano Prodi, ma anche Draghi e Letta sostengono che l’unico modo per andare avanti è fare dei sottogruppi di Stati (come per Schengen o per l’Euro), riunire Paesi di buona volontà che condividono obiettivi comuni, e provare ad andare avanti”. È quella che viene definita integrazione differenziata, prevista dai trattati, ma che richiede forte leadership politica, merce non diffusissima di questi tempi in cui i leader di alcuni dei principali Stati europei (da Macron a Scholz al nuovo primo ministro del Regno Unito Keir Starmer) sembrano navigare a vista nei loro rispettivi Paesi.
Durante la serata di Coscienza Svizzera è stata anche proiettata parte di una lunga intervista ad Alcide De Gasperi risalente al 5 gennaio 1952 tratta dagli Archivi radiofonici della RAI. Il politico democristiano era un sostenitore ante litteram della necessità di un esercito comune europeo: l’obiettivo della cosiddetta CED (Comunità Europea di Difesa), che la Francia avrebbe affossato poco più di due anni più tardi, 12 giorni dopo la morte dello stesso De Gasperi. Fu proprio quello il primo grande scacco dell’integrazione europea. Nel primo capitolo del suo libro, Bellini ricostruisce proprio i pilastri iniziali che hanno portato all’Unione odierna, di natura economica (la CECA, Comunità Economica del carbone e dell’Acciaio: trattato cinquantennale siglato il 18 aprile 1951), ma non militare.
Nello spezzone citato De Gasperi afferma testualmente: “Non vi parlerò dell’Italia, ma dell’Europa, e non dell’Europa di ieri o di oggi, ma di quella di domani. Di quell’Europa che vogliamo ideare, preparare e costruire. Che cosa si intende fare, quando si parla di fare una federazione europea? All’ingrosso, una specie di grande Svizzera che comprenda italiani, francesi, tedeschi. Ma è a proposito di questa impresa pacifica che si parla sempre di esercito, di organizzazione militare, di armamenti. Sì, rispondo, così si presentano le cose nella storia. La Svizzera com’è nata? Da una necessità di comune difesa. Gli Stati Uniti come sono nati? Da una guerra di indipendenza, da un ideale di libertà. Tutte le altre confederazioni, più o meno, sono nate da questa esigenza, reale o creduta, dei popoli che sentono la necessità di mettere insieme i loro sforzi per costruire qualche cosa di nuovo e dare un assetto diverso alla loro vita comune e collettiva”.
Secondo la testimonianza diretta della figlia Maria Romana, anche nell’imminenza della morte (quasi esattamente 70 anni or sono, il 19 agosto 1954), De Gasperi fu profeta: se fallisce (come poi fallì) la CED, per veder nascere l’Unione Europea dovranno passare dei lustri. In effetti, nel 1957 fu fondata la CEE (Comunità Economica Europea), che diventerà Unione solo con il Trattato di Maastricht del 1991.
Ancora oggi, la creazione di un organo di difesa e sicurezza comune è una delle tre sfide identificate da Draghi: le altre sono quella tecnologica, quella del Green Deal e quella della decarbonizzazione.
L’Europa, ha detto ancora Bellini, “va avanti solo quando c’è una crisi, una minaccia esterna. Perché siamo riusciti a fare il piano NextGenerationEU durante la pandemia? Perché erano dieci anni che eravamo intrappolati nel dibattito se dovesse venire prima la responsabilità di bilancio (come chiedeva l’Europa settentrionale) o la solidarietà (come preconizzava quella mediterranea). Di fronte a un virus mai visto prima, che colpiva indistintamente da nord a sud e da ovest a est e ha messo anche l’Europa sull’orlo del baratro, nessuno ha potuto sottrarsi. Idem di fronte a una guerra: la minaccia incombente dopo l’aggressione russa all’Ucraina del 24 febbraio 2022 ha spinto per la prima volta l’Europa – che in politica estera non ha di per sé competenze – a rispondere in maniera rapida e compatta”.
Insomma, prima durante la pandemia, poi mentre si combatteva la guerra, l’Europa ha saputo andare oltre le proprie competenze ordinarie per affrontare anche l’extra ordinario, per guardare avanti, un occhio alla contingenza, l’altro a nuove prospettive di più ampio raggio. L’Europa che, negli ultimi quattro anni, di fronte a due sfide colossali, ha funzionato, ma ha potuto farlo perché gli Stati nazionali aderenti l’hanno messa in condizioni di agire. Si pensi, nella fase emergenziale, all’acquisto in comune dei vaccini; alle misure di sostegno economico prese durante la pandemia, al già citato Next Generation EU (da cui è derivato poi il PNRR italiano), ma anche alla compattezza in politica estera dimostrata nei confronti della Russia dopo l’invasione in Ucraina.
La costruzione resta comunque fragile. Tra le concause delle difficoltà operative dell’UE segnalate da Bellini, anche le scarne risorse di cui essa dispone: paragonato al PIL dei singoli Paesi membri, il suo bilancio è pari all’1%.
Nell’immagine: Michele Bellini durante la serata
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