Uno spazio sicuro per condividere l’esperienza migratoria
La ricerca, con risultati anche sorprendenti, di un gruppo di studenti dell’Accademia di Mendrisio e giovani richiedenti asilo - Di Elena Coniglio
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La ricerca, con risultati anche sorprendenti, di un gruppo di studenti dell’Accademia di Mendrisio e giovani richiedenti asilo - Di Elena Coniglio
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La ricerca, con risultati anche sorprendenti, di un gruppo di studenti dell’Accademia di Mendrisio e giovani richiedenti asilo - Di Elena Coniglio
È difficile sapere ciò che accade nei centri per i richiedenti asilo. Spesso le persone che vengono ospitate non sono disposte a raccontarsi. Si sentono esposte al pericolo – un ricatto silenzioso – essendo in attesa di ricevere un permesso di soggiorno che consenta loro di vivere liberamente. Non cercano guai, vogliono vivere nel migliore dei modi e uscire al più presto. Come arrivare allora alle persone e alle loro storie? Così importanti per comprendere il fenomeno migratorio e promuovere una riflessione pubblica più consapevole?
Una delle risposte possibili risiede nelle attività di un’associazione nata di recente in Ticino, la Fabbrica di ospitalità. Un opificio speciale appunto, sorto dalle idee di studenti e docenti dell’Accademia di Mendrisio, dove si lavora con costanza per produrre materie prime altamente costruttive. Dialogo, scambio, ricerca. In un approccio che fonde architettura, spazio sociale e qualità delle relazioni umane.
E dove la chiave di volta è quella del “to work with”. Un lavoro che non cala dall’alto per aiutare qualcuno, con declinazioni quindi paternalistiche, ma che si sviluppa con tutti gli attori coinvolti e in particolare con le persone richiedenti asilo ospitate nei centri cantonali o federali. Un metodo che ha fatto scaturire l’idea di un laboratorio di denuncia che si è svolto lo scorso fine settimana proprio a Mendrisio.
Sono così stati soprattutto dei giovani migranti ad essere parte attiva in questa giornata di scambio. Un tavolo informale e ludico dove condividere con il dialogo e la scrittura anonima esperienze e problemi vissuti all’interno dei centri di accoglienza.
Si parla di aspetti essenziali per la qualità della vita. Di corretta nutrizione, di proprietà e pulizia degli spazi comuni. Dell’igiene presente in bagni e docce. Per loro le condizioni sono buone e accettabili. La pulizia è per lo più impeccabile, eccezion fatta per i casi in cui è la mancanza di disciplina di altri ospiti a generare dei disagi.
Si dimostrano molto saggi nonostante la giovane età. E tengono a precisare che il loro è un punto di vista parziale. Sostengono infatti che per avere un quadro più oggettivo si debba parlare anche con chi si sente meno a proprio agio all’interno dei centri. Con chi soffre più di loro, che invece accettano meglio questa condizione come passaggio obbligato.
“Il centro è ben organizzato” sostengono “ed è accettabile in quanto bisogna avere pazienza prima di uscire e per ottenere uno stato di maggiore libertà”. Uno tra loro dichiara che se gli venisse chiesto di ripartire per il paese di origine, sceglierebbe di restare in ogni caso. “Ci resterei tutta la vita” – afferma con energia – “anche se, per quanto ben organizzato, assomiglia comunque sempre ad un carcere”.
Non è così semplice condividere delle esperienze negative e in generale un percorso complesso come quello migratorio. Anche quando non presenta traumi, che spesso restano celati. Per evitare di rivivere la sofferenza e perché si temono ripercussioni peggiori sulla libertà personale, quando non un rifiuto della richiesta di protezione.
Raccontano di vivere dei piccoli problemi, piccole discriminazioni, ma che nel complesso la loro esperienza personale non può essere descritta come negativa. Emerge che a Balerna, per esempio, il centro d’accoglienza è molto affollato e che a volte sia addirittura difficile dormire a causa del rumore provocato dal gran numero di persone.
Dai racconti appare chiaro che ci sono delle difficoltà nella gestione della vita comune nonostante l’organizzazione possa ritenersi efficace. Concentrare sotto lo stesso tetto molte persone, che spesso si suddividono in gruppi con diverse provenienze, lingue e culture, può far esacerbare liti e malintesi.
La conversazione del laboratorio si fa vivace. È veloce e brillante, e si svolge in francese e in inglese. Un giovane si fa particolarmente loquace mostrando il proprio bisogno di raccontare. Insieme si affronta così il tema sempre spinoso del razzismo e dell’educazione sociale. Che in ultima analisi tutti vedono come una questione fondamentale. “Sia fuori che dentro i centri” in modo che i cittadini che abitano i luoghi dove sorgono e gli ospiti richiedenti asilo, vengano preparati a questa esperienza. Ad una dimensione sociale nuova che non deve essere necessariamente divisiva e fonte di strumentalizzazione.
Ci sono difficoltà concrete che anche se piccole possono costituire dei grossi problemi per chi è appena arrivato in un altro paese. Questi giovani hanno una scolarizzazione medio alta e pensano anche a chi non ha la stessa fortuna. Alle persone analfabete che necessitano inizialmente di una guida che possa spiegare loro e chiarire quale sia il comportamento da tenere nei centri. In generale, gioverebbe moltissimo poter conoscere le regole e le leggi basilari del Cantone, o semplicemente il sistema dei trasporti pubblici per potersi muovere con più autonomia e consapevolezza.
Rispetto alla cittadinanza locale, emerge come il rapporto più difficile da instaurare sia paradossalmente quello con i più giovani, mentre le persone più anziane dimostrano di essere molto più accoglienti e comprensive. “Cercare di socializzare vuol dire spesso umiliarsi” si afferma. Senza assumere una posizione vittimistica, questi ragazzi esprimono la loro volontà di vivere secondo il rispetto e le leggi basilari dello Stato, percorrendo la propria strada e guardando al futuro senza badare a ciò che pensano gli altri. Loro conoscono il proprio valore.
È particolarmente affascinante sentirli dialogare, si ha l’impressione che in questo spazio la società diventi realmente permeabile. È l’inizio di un lavoro che appare straordinario e foriero di novità interessanti per ciascuno di noi. Questi giovani si attivano insieme e analizzano costruttivamente dei problemi apparentemente semplici, ai quali però nessuno sembra aver ancora pensato.
Nell’immagine: un momento dell’attività della Fabbrica di ospitalità
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